Narcotraffico
Trieste porto franco della coca colombiana. Bloccato carico da 80 milioni di euro
L'operazione con la tecnica dello stoccaggio della merce in un magazzino controllato da finanzieri sotto copertura. Svelati i retroscena della connection sudamericana
Ci sono cascati di nuovo e il prezzo pagato, questa volta, è di 21 tra venditori e acquirenti in manette e di oltre 7 quintali di cocaina persa. È un altro duro colpo al narcotraffico internazionale quello che la Direzione distrettuale antimafia di Trieste ha inferto mercoledì 27 settembre, all’esito della seconda operazione sotto copertura condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza dello stesso capoluogo giuliano, dopo quella che, nel giugno 2022, aveva portato già al sequestro record di 4,3 tonnellate di cocaina e all’arresto di 38 persone, compresi esponenti della potente organizzazione colombiana del “Clan del Golfo”.
Non meno elevato lo spessore criminale degli interlocutori con cui gli inquirenti, vestiti i panni dei trafficanti, si sono di volta in volta misurati: a cercare piazze nuove per lo smercio della droga in Italia, ora, era il gruppo paramilitare rivoluzionario colombiano Ejercito de Liberation National. E sono state ancora le dritte della polizia di Bogotà a dare l’ulteriore abbrivio alle indagini. O meglio, alla sceneggiatura che il pm Federico Frezza ha scritto e poi diretto, dimostrando quanto una cooperazione investigativa possa rivelarsi vincente anche da un capo all’altro del mondo.
Come con la precedente operazione, il punto di partenza è stato fare credere ai colombiani che il porto di Trieste potesse rappresentare una destinazione sicura per i carichi spediti oltre oceano via mare. Ottenuta la fiducia dei narcos, i finanzieri undercover si sono proposti come mediatori della logistica: sotto le mentite spoglie di magazzinieri, hanno operato nelle attività di stoccaggio e, poi, di distribuzione all’ingrosso della cocaina, convogliando la merce in magazzini sparsi tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto. Così per un totale di 15 consegne “controllate”. Una sorta di regia occulta, insomma, che, senza mai spostare nemmeno un grammo di sostanza stupefacente – quella vera era stata sequestrata all’origine, prima di essere imbarcata, ed era stata poi “scortata” in Europa in aereo –, ha permesso di gestire l’intera catena di custodia e di ricostruire così la rete dei produttori e dei loro broker, ma anche dei trasportatori e dei tanti fiancheggiatori coinvolti nella filiera.
Il trucco ha prodotto un ulteriore risultato immediato: l’incasso, dalle stesse mani dei malviventi, di una parte dei soldi ottenuti dal traffico della droga. «Poco più di 2,5 milioni di euro, tra la prima e la seconda operazione – ha spiegato il procuratore capo Antonio De Nicolo –. Ossia il corrispettivo, pari al 10 per cento del valore della merce, che i (nostri) magazzinieri si facevano pagare per il disturbo. Accade assai di rado di riuscire a incamerare e restituire alla collettività i profitti del narcotraffico: quando i sequestri avvengono nelle abitazioni degli spacciatori, per esempio, non è affatto scontato dimostrare la provenienza illecita del denaro». Quanto alla cocaina recuperata, una volta tagliata e immessa sul mercato si calcola che avrebbe fruttato tra i 70 e gli 80 milioni di euro.
«La regione rimane un importante snodo del traffico internazionale di droghe pesanti e leggere, anche per la posizione strategica del suo porto», scrive la Direzione investigativa antimafia anche nell’ultima relazione semestrale al Parlamento. Da qui, l’importanza della collaborazione con la polizia e le autorità giudiziarie straniere – compresi, in questo caso, l’agenzia statunitense Homeland security investigations e la Guardia civil spagnola –, interessati a propria volta a stroncare non soltanto l’uscita, ma anche l’ingresso nei rispettivi confini delle sostanze stupefacenti. Nello scrivere un’altra pagina nella lotta ai cartelli sudamericani, l’inchiesta triestina ha così scoperto che ad approvvigionarsi erano gruppi criminali di origine francese e marocchina e altri collegati alla ‘ndrangheta e alla camorra e presenti in Lombardia, Campania e Calabria.