Belle storie
«A Milano c'è una sartoria sociale dove Africa e Italia si fondono»
Cheikh Diattara è arrivato nel nostro Paese dal Senegal. Nonostante le molte difficoltà che ha incontrato, è riuscito a formarsi e a realizzare il suo sogno. Grazie all'amicizia e a un lavoro che incarna una delle forme più alte d'integrazione
Questa è la storia di un’amicizia, di un sogno e di un filo di seta che lega l’Africa e l’Italia.
«Sono venuto in Italia perché sono un musicista, suono il djembè e anche se vivo sulla sedia a rotelle non ho mai pensato che fosse un limite per le mie attività. Spesso non è stato facile per me, perché in Italia ci sono ancora molti limiti di accessibilità, ma la mia rete di amici è stata una grande risorsa anche per realizzare il mio sogno: sono diventato un sarto e oggi ho una sartoria sociale. Avevo imparato a cucire nella bottega del centro disabili di Dakar».
Cheikh Diattara è senegalese, non ha ancora cinquant’anni, ma ha vissuto tante vite da quando, bambino, si è ammalato di poliomielite. Arriva da Diender, un villaggio vicino alla capitale Dakar. È riuscito anche a diventare un ballerino danzando sulle stampelle e un giocatore di basket: prima nella nazionale del Senegal e poi in Italia, dove è stato inserito nella squadra di basket in carrozzella di Cantù. Appena arrivato a Milano ha frequentato centri di accoglienza e ha cominciato ad avere amici anche italiani che gli hanno insegnato la lingua. Ha ottenuto un tirocinio presso un laboratorio di sartoria finanziato dal Comune e durante un festival culturale ha conosciuto Valeria Zanoni, ufficio stampa di quell’evento che si affeziona a lui.
«In preda all’emozione e all’improvvisazione gli propongo: se non troviamo una sartoria che ti assuma, facciamola noi! Tutto questo non avendo la più pallida idea di come fare e da che parte iniziare, visto che non so cucire un bottone, non mi sono mai occupata di moda, ma ho una formazione di liceo classico/laurea in Lettere e specializzazione in Storia dell’arte. Non avevamo nulla: solo una macchinetta regalata a Cheikh da amici. Il nostro laboratorio diventa la mia cucina. Proviamo a ispirarci a modelli che ci piacciono, sperimentiamo, studiamo i tessuti e facciamo così dialogare l’Africa e l’Italia».
Il progetto fin dai primi lavori è motivato da un desiderio di condivisione culturale, più che legato soltanto al progetto estetico. I due amici iniziano a realizzare magliette in cotone biologico con le sagome del Duomo e della moschea di Touba. Anche per i tessuti si sceglie sempre un mix perché sono convinti che è dall’unione che nasce la bellezza. Il loro progetto cattura l’attenzione del Politecnico di Milano, che propone un corso finanziato dai fondi sociali europei per l’imprenditoria straniera in Italia.
«Abbiamo studiato, ci siamo formati e così è nato Kechic, la nostra sartoria sociale – spiegano – oggi abbiamo una sartoria in zona Isola e con noi lavorano Keita, assunto da un anno, rifugiato politico del Mali, e un nuovo tirocinante sempre del Mali che si chiama Mustafà. Collaborano con noi, poi, anche Assane, Ousame, Geniva e altri sarti o modellisti. Per noi Kechic è un miracolo e una scoperta continua. È la bellezza di avere sempre punti di vista diversi sulla realtà, la difficoltà di esercitare la pazienza perché abbiamo tempi e modi molto diversi, mentalità e usanze differenti, la sfida di imparare, la curiosità di stupirsi per ciò che accadrà domani». E intanto? «Intanto noi ce la mettiamo tutta», conclude Cheikh.