Scomparsa nel 1980 a Beirut insieme al collega Italo Toni, aveva scoperto che i proiettili usati dalle Br per uccidere la scorta di Moro facevano parte di una partita della ditta Fiocchi di Lecco destinata all’esportazione in Medio Oriente. Ma sul suo caso non ci sarà mai verità

Esattamente un anno fa The Guardian scrisse che siamo in «piena recessione sociale» e che, privi di fiducia nelle relazioni e nella partecipazione, ci chiudiamo nel privato, nonostante tutti i nodi non sciolti del nostro presente. Lo ricorda il sociologo Filippo Barbera nel saggio Le piazze vuote, uscito per Laterza, dove sottolinea che la politica non riesce a districarsi dall’eterno presente in cui viviamo, non progetta, ragiona solo in termini di consenso immediato e subito dopo dimentica, contando sul fatto che dimenticheremo tutti. Il nostro modo di reagire dà una grossa mano alla politica, in effetti: mentre l’Italia annaspa da ogni punto di vista, reddito familiare, lavoro, sanità, scuola, ci occupiamo moltissimo della paradossale dichiarazione di Lavinia Mennuni (quella del presepe obbligatorio nelle scuole) sulla maternità come massima aspirazione della ragazze.

 

Non si può lasciar correre, è vero, ma è altrettanto vero che le reazioni da social hanno la durata di un sospiro. Magari si potrebbe rispondere alla senatrice con la storia di una ragazza di ieri, che per un brevissimo tempo è stata persino al centro dell’attenzione del partito di governo, finché serviva. La ragazza aveva altre aspirazioni: nell’estate del 1980 aveva 24 anni e voleva diventare una giornalista d’inchiesta. Anzi, lo era già. Il suo ultimo articolo, uscito nel marzo di quell’anno per Paese Sera, riguardava il coinvolgimento dell’Italia nel traffico di armi con il Medio Oriente. A giugno aveva consegnato a L’Astrolabio una rivelazione sorprendente: i proiettili usati dalle Br per uccidere la scorta di Moro facevano parte di una partita della ditta Fiocchi di Lecco destinata esclusivamente all’esportazione in Medio Oriente. Quelli erano gli anni del lodo Moro e di Stefano Giovannone, capocentro del Sismi a Beirut, nome in codice Il Maestro, che la ragazza evoca nel suo ultimo articolo, senza sapere che sarebbe stato proprio lui a indagare sulla sua scomparsa, e con ogni probabilità ad adoperarsi per occultare la verità sulla sua morte.

 

Quella ragazza si chiamava Graziella De Palo e scompare con il collega Italo Toni a Beirut, il 2 settembre 1980. Dopo anni di depistaggi e silenzi, non è neanche possibile sapere dove sono sepolti e, soprattutto, perché sono stati uccisi. Il 13 dicembre 2022, durante un convegno dedicato al caso, venne promessa una commissione parlamentare d’inchiesta per provare a capire almeno un frammento di verità: ma con ogni probabilità la verità che si cercava riguardava la cosiddetta pista palestinese per la strage di Bologna, e non la sorte di una ragazza che aveva fra le mani una storia gigantesca, che coinvolgeva molta parte oscura del nostro Paese, e forse la coinvolge ancora. Infatti, dopo la sentenza della corte d’Assise di Bologna sulla strage, nello scorso aprile, di commissione non si parla più. Forse perché la storia di Graziella ha perso utilità politica, e la politica, oggi, ha troppa fretta per cercare verità.

 

Dunque, la cosa preziosa di oggi è un libro di poesie di Grace Paley, Una donna ha inventato il fuoco e l’ha chiamato ruota. Una poesia, in particolare, che comincia così: «Certi si prefiggono imprese/altri dicono fai come ti pare vivi e basta». C’è stata una ragazza che si prefiggeva imprese, ed è importante ricordarla, proprio in questi primi giorni del 2024.