Nuovi consumi
Il culto della levigatezza: come è nato il mito della K-beauty
Dalla ricorsività di Gangnam style alla suicida sete di accumulazione capitalistica di Squid Game. Dal ritratto plastico delle disuguaglianze messo in scena da Parasite ai BTS. E adesso la skincare. La Corea del Sud sembra la fucina dell’immaginario consumistico del mondo. Ecco come si costruisce un dominio culturale
Secondo il filosofo coreano Byung-Chul Han è il “culto della levigatezza” ad aver impoverito la bellezza contemporanea. Han parla di levigatezza per descrivere le caratteristiche del nuovo “bello digitale”, che si nutre di una liscia positività che ci priva di quella possibilità di essere feriti, essenziale per vivere una vera esperienza estetica. Un culto delle superfici prive di increspature, così come di profondità e abissalità.
Fa riflettere che la levigatezza constatata nel libro “La salvezza del bello” dal filosofo coreano, diventato celebre e quasi pop per i suoi saggi sulla teoria della cultura contemporanea e digitale, sia la parola chiave su cui si basa oggi il marketing dei prodotti cosmetici coreani. Il termine “glass skin”, letteralmente “pelle di vetro”, priva di imperfezioni, purificata e perfettamente levigata, riempie oggi i feed di TikTok e la bacheche Instagram anche degli occidentali. Video, spesso sponsorizzati, che hanno per protagoniste ragazze coreane che mostrano i passaggi necessari per una cura perfetta del viso - tra sieri nutrienti, maschere, schiumogeni e creme che promettono di sciogliere qualsiasi tipo di trucco - esibendo pelli liscissime e inestetismi magicamente scomparsi. Forse è vero che la levigatezza è lo Zeitgeist.
Un Paese con una superficie pari a un terzo dell’Italia e nato poco più di settantacinque anni fa, è stato in grado di generare negli ultimi quindici anni alcuni paradigmi culturali iconici che dicono moltissimo di noi e della contemporaneità in cui viviamo: dalla ricorsività di Gangnam style che anticipa la soddisfazione dello scroll, alla suicida sete di accumulazione capitalista di Squid Game, dal capolavoro plastico delle disuguaglianze messo in scena da Parasite, ai BTS, la band asiatica più famosa del mondo, la Corea del Sud sembra oggi la fucina dell’immaginario consumistico del mondo.
Dopo il K-pop e i K-drama, è quindi senza dubbio il turno della cura della pelle, l’ultima frontiera della cultura di consumo asiatica a spopolare su tutti i social network e i blog di bellezza del globo. L'hashtag e i video Youtube a tema “K-beauty” - il termine generico che indica tutti prodotti e i metodi per la cura della pelle, del corpo e il trucco provenienti dalla Corea del Sud - sono infatti in aumento esponenziale, e attorno a questa routine di bellezza si è creata una narrazione e un’aura mitica che valgono un mercato miliardario.
L'industria della bellezza coreana è infatti cresciuta molto nelle esportazioni verso il mercato globale : nel 2016 sono state di 4,2 miliardi di dollari, pari a un aumento del 61,6% rispetto all'anno precedente secondo la Korea Pharmaceutical Traders Association; e secondo un rapporto pubblicato da Yonhap News, il ministero della sicurezza alimentare e dei farmaci della Corea del Sud ha rivelato che le esportazioni di cosmetici del Paese hanno toccato un livello record nel 2021, aumentando del 21,3% su base annua per raggiungere i 10,5 trilioni di won (8,3 miliardi di euro). Anche le statistiche di Google Trends dimostrano che la ricerca di prodotti coreani per il trucco e la cura della pelle è in costante aumento dal 2010 e che in particolare l’interesse per la skincare ha superato quello per il makeup su Google.
Pure l’Europa ha fiutato l’affare e nel 2020 è nato il brand Yepoda (che in coreano significa “carina”), ideato da Veronika Strotmann e Sander van Bladel. Lei tedesca, lui olandese e coreano per parte paterna, hanno la missione di rendere la K-beauty accessibile al mercato occidentale. L’azienda ha sede in Germania ma produce in Corea, come Han, che insegna in Germania ma è nato a Seul. Se non sono coincidenze queste. Una massiva campagna pubblicitaria sui social durata alcuni anni, con alti e bassi, è uno dei motivi per cui la K-Beauty in Italia è ormai così conosciuta tra le generazioni più giovani: il brand nel 2021 aveva avviato una prima strategia di iper-sponsorizzazione dei suoi prodotti, coinvolgendo decine di content creator italiane. Una strategia azzardata che ha avuto anche un effetto boomerang con relativo scandalo dentro la bolla di TikTok Italia: diverse consumatrici del brand - invogliate dalla martellante pubblicità delle influencer- hanno poi riscontrato problemi e alimentato l'hashtag #casoyepoda che nel giro di poche settimane ha totalizzato 1.4 milioni di views con non poche polemiche. Un altro caso che ha rilanciato i tanti interrogativi rispetto al mestiere degli influencer oggi, spesso poco specializzati e pronti a pubblicizzare qualsiasi prodotto. Il “caso Yepoda”, che risale a nemmeno un anno fa, non ha comunque impedito al brand di aprire il suo primo punto vendita al mondo a Milano a novembre, dopo una nuova campagna avvenuta nell'estate del 2023. Tra le prime influencer italiane a pubblicizzare l'apertura del nuovo punto vendita milanese c’è stata la stessa Chiara Ferragni.
Resta da chiarire come sia nato il mito della K-Beauty e come la levigatezza abbia scansato la bellezza: oltre alla strategia di influencer marketing particolarmente aggressiva, sono i rituali di consumo di questi prodotti e la relazione con una presunta tradizione atavica di legame con il mondo naturale le leve principali di questo mercato in ascesa. Perché, nel contesto della globalizzazione culturale, è l’autenticità il dato sempre più spendibile e plasmabile per rendere un prodotto appetibile. Nel 2011 ricercatori come Eunju Ko, Eunha Chun e Seulgi Lee, spiegavano sul Journal of Global Fashion che, mentre sempre più Paesi stavano facendo grandi sforzi per riconoscere i propri valori e sviluppare contenuti culturali, la Corea mancava ancora di un'immagine nazionale o di un'identità culturale distintiva rispetto ai Paesi vicini, come il Giappone e la Cina. «In particolare, lo stile di vita e i valori tradizionali coreani non vengono presentati al mondo. Un prototipo culturale può essere utilizzato per rendere più attraente l'immagine di una certa nazione. Vivendo in un mondo altamente diversificato, è necessario riscoprire e comprendere adeguatamente il vero valore della nostra cultura tradizionale». Da qui la necessità di far emergere dei tratti primordiali, riconoscibili e originari. Non a caso un elemento fondamentale del marketing legato ai prodotti cosmetici è diventato la “mitizzazione della cura della pelle”, suggerendo che i coreani se ne siano tradizionalmente occupati e che la tradizione sia stata poi trasformata nello sviluppo di una routine fatta di prodotti innovativi. L’uso di ingredienti naturali, permette di rafforzare l'associazione originaria con la natura e la tradizione. Alcuni attribuiscono infatti l'uso di questi ingredienti a pratiche casalinghe tramandate da madri e nonne, come l'impacco di fagioli mung.
Alcuni studi recenti, tra cui "The emergence of k-beauty: rituals and myths of Korean skin care practice”, pubblicato per l’Iowa State University Digital Press nel 2018, confermano anche l’importanza del rito del consumo: analizzando 61 articoli provenienti da 31 diversi siti web, insieme ai relativi video YouTube, emerge che la ritualizzazione della pratica della cura della pelle è centrale in tutti i tutorial e video a tema skincare coreana, che mettono in evidenza una serie di step da eseguire in sequenza, la cui efficacia dipenderà proprio dalla loro ripetizione nel tempo. Fa riflettere come, in realtà, ripercorrendo la storia dei rituali di bellezza coreani, non ci sia traccia di una delle routine più iconiche della K-Beauty, quella dei “dieci passaggi". L’idea è da ricondurre probabilmente al libro di Chalotte Cho “The Little Book of Skincare”, poi diffuso grazie a Youtube, influencer e personaggi noti, che lo hanno consacrato come un must della cosmesi.
E anche se «consumo e bellezza si escludono reciprocamente», incalza Byung-Chul Han, poco importa ai consumatori che tutto questo sia vero o no. Come cantano i BTS, in “Answer: Love Myself": "Mi hai dimostrato che esistono delle ragioni per cui dovrei amarmi/Il fiato che ho in corpo, la strada percorsa, queste sono le mie risposte/ Il me di ieri, il me di oggi, il me di domani/ Senza alcuna eccezione, nessuno escluso, fanno tutti parte di me". Soprattutto se hanno una pelle perfetta.