L'ultima opera del maestro giapponese è, a sorpresa, in vetta al botteghino. Perché intorno alla storia del piccolo Mahito Maki, con la pirata Kiriko e la magica Himi c'è un mondo fantastico che ruota attorno al dolore di una perdita

Se come ha scritto Bifo, “chi immagina per primo vince”, allora l’Occidente è spacciato. Hayao Miyazaki torna dopo dieci anni con un film che è al contempo il testamento e la genesi del suo immaginario, che prende spazio affiorando oltre qualsiasi misura. È uscito in Giappone a luglio scorso e nonostante non ci sia stata nessuna campagna di lancio, nessun trailer o teaser da far rimbalzare sui social, in tre giorni dall’uscita in Italia ha già incassato quasi due milioni di euro raggiungendo il primo posto nella classifica degli incassi al botteghino dopo averlo già fatto con il box office americano. Una scelta di marketing del silenzio voluta e ideata da Toshio Suzuki, co-fondatore e Presidente di Studio Ghibli, mente creativa dietro al marketing dei film prodotti dalla società di animazione.


“Il ragazzo e l’airone” - il titolo originale è  “E voi come vivrete?” - è la storia di Mahito Maki, ma è anche il racconto plastico e grandioso della nascita dell’immaginazione di Miyazaki, degli stormi e degli sciami  di cui germina (fatti di parrocchetti mangia-umani, pellicani picchiatori e vecchiette golose) e delle lesioni e gli spasimi che la delimitano, come uno stretto cunicolo di antichi detriti familiari. Quello troppo piccolo che Mahito prova ad attraversare e che lo separa dalla torre magica nel suo giardino. Capirà, infine, che per raggiungerla serve inventare varchi nuovi e fantastici. 


La cornice narrativa è ben salda, e probabilmente tra le più coerenti e razionali dei film di Miyazaki: ricalca il topos del romanzo di formazione, della ricerca, direbbe Borges, dell’isekai, direbbe il regista premio Oscar de “La città incantata” - dove i giovani protagonisti trovano la via all’età adulta grazie a un’avventura vissuta in un mondo parallelo fantastico. Ma quello che accade all’interno di questo perimetro è sovrabbondante e sterminato. Pullulante di creature tenere e terribili, diaboliche e dolcissime, di catastrofi, incontri fortunati e talismani, esibisce la fantasia del regista come se non avesse fondo. Ci sono anche secoli di mitologia dell'airone, che fa parte della letteratura e dell'arte del Giappone da oltre un millennio: il primo riferimento noto a un airone nella letteratura giapponese potrebbe trovarsi nel Kojiki, secondo Marko Nagai, docente di letteratura giapponese presso la Temple University Japan. Il Kojiki è l'opera letteraria più antica del Giappone, redatta nel 712, e contiene una serie di miti della creazione che costituiscono la spina dorsale della religione shintoista e del folclore del Paese.

 

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La fantasia è vasta per tipologia e per quantità dei personaggi, ma anche per la moltitudine delle linee temporali che si spezzano e sovrappongono di continuo, senza seguire un solfeggio ordinato. Ci sono personaggi del passato che salvano quelli del futuro e tengono per mano quelli del presente. E questo giocare con il tempo - che diventa la struttura del racconto - è difficile non accostarlo ad alcuni film contemporanei famosissimi: un Interstellar e Everything Everywhere All At Once disegnato a mano e ambientato nella campagna nipponica, potrebbero pensare alcuni. 


Ma la storia è anche piena della biografia del regista: il produttore Toshio Suzuki ha detto che è il film più personale che Miyazaki abbia mai realizzato.  Per quasi la prima metà della pellicola - i cui fondali verde fronda e plumbei cielo sono ancora dipinti - la trama è descrittiva, regolare e introspettiva, priva di elementi e oggetti magici, introduce alla storia del dodicenne Mahito: un ragazzo nato a Tokyo che perde la madre in maniera tragica durante la guerra - morta bruciata per un incendio di un ospedale - e che si trasferisce in campagna con il padre - un imprenditore arricchito grazie all’industria bellica - e alla sua nuova compagna incinta - che è anche sua zia Natsuko, sorella della defunta mamma. E che è tormentato dalle visioni di quella morte così brutale e inaccettabile.


L’incontro con l’airone con i denti sembra il primo varco, la breccia ancora incontaminata al mondo immaginario di Miyazaki che, in questa ultima fatica iniziata dieci anni fa, mescola l’autobiografia famigliare - la madre si ammalò di tubercolosi durante la Seconda guerra mondiale passando la maggior parte del tempo in ospedale, il padre si arricchì fabbricando aerei - con alcuni testi fondamentali: nel film Mahito legge E voi come vivrete?, il romanzo pacifista di Genzaburo Yoshino pubblicato nel 1937 che è stato tra le letture più importanti della sua giovinezza. “E voi come vivrete la perdita, il lutto, la morte”, sembra chiederci Miyazaki durante tutto il film. Come vi salverete, o che cosa vi salverà. 


Oltre ai riferimenti stratificati e alla tradizionale rilevanza assunta dai piccoli oggetti della quotidianità - la freccia con la piuma dell’airone magico, le bambole vudù delle vecchiette che lo proteggono, il pane burro e marmellata offerto dalla divina Himi - che diventano strumenti magici e preziosissimi, sono fuoco, aria, terra e acqua ad essere imponenti, che si prendono tutta la prospettiva dello spettatore sullo schermo, e con loro anche l’intero corredo dei suoi abitanti: pesci giganti e la loro carne, pellicani un tempo nutriti dalla fauna acquatica e ora costretti a mangiare i wara wara che "vanno a nascere” sulla Terra. Un immaginario che sembra ancora acerbo e sovrafollato, proprio perché è di un immaginario bambino che si tratta, brusco e poco aggraziato, eppure già potente. Ci sono poi i simboli di nascita e morte, la sala parto piena di vento e la tomba circondata dal cancello d’oro, ma anche la pietra volante controllata da Shoei Hino, il prozio mago che vorrebbe lasciare a Mahito l’eredità del mondo magico e il suo controllo. 


Ma soprattutto le eroine del mare e del fuoco che sono personaggi solidissimi di questa storia, senza le quali Mahito non avrebbe potuto compiere il suo viaggio. «Il tuo nome significa “sincero”. Ecco perché sento questa puzza di morte», dice la coraggiosa pirata pescatrice Kiriko a Mahito, senza che lui capisca bene il significato di quelle parole. Mahito le spiega di venire da “sopra”, ma che il “sopra” non gli piace più molto. Quella puzza di morte assomiglia alla paura di Mahito di accettare la fine di chi lo ha amato di più. E la necessità di sperare in un mondo dove quel male non esista, da poter inventare daccapo ogni volta. Assemblandone i tasselli per creare un’armonia tutta nuova. Il mondo della sua immaginazione, quella di Miyazaki, che scoprirà essere bellissimo ma anche spietato. E che infine, un po’ ci salva davvero dalla gabbia dei desideri già scritti e dei finti bisogni che la contemporaneità ci suggerisce in continuazione. Dando in pasto agli occhi degli spettatori un mondo fantastico dentro la storia più comune di tutte: quella del dolore di una perdita.