Il conflitto che si allarga sempre di più affossa un settore cruciale per il Pil di molti Paesi dell’area. Della Giordania in primis, con Petra svuotata. Il pericolo fa cambiare meta, ma per Natale gli italiani non rinunciano all'Egitto

Gareth Johnson, travelblogger con il nome di streetfoodguy, non ci poteva credere: quando all’inizio di settembre è andato a Petra, la perla turistica della Giordania, l’ha trovata quasi vuota. Le sue foto e i suoi video mostrano uno dei posti più “instagrammati” al mondo come nessuno lo ha mai visto, in tempi normali: neanche un turista davanti ai templi scavati nell’arenaria rosa dai Nabatei nel primo secolo avanti Cristo; il blogger che sale in perfetta solitudine sulla gradinata che porta alle rovine di un edificio; una manciata di persone a spasso per sentieri e canyon. 

Per chi ha passato l’estate nelle mete turistiche europee, a combattere con l’overtourism e con l’insofferenza che ne deriva da parte degli abitanti delle mete più ambite, immagini come queste sembrano una beffa. E in effetti sono l’altra faccia della medaglia: se i turisti a Venezia o a Firenze sono diventati una marea ingestibile, è anche perché molte mete fino a ieri amatissime sono uscite dalla competizione.

«Petra vuota mi ha ricordato la visita al sito di Angkor Wat durante il Covid», scrive il blogger. In questo caso, però, a far sparire le folle di visitatori non è stata un’epidemia, ma una guerra sanguinosa che, a partire dalla risposta all’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele ha allargato da Gaza ad altri Paesi vicini. Non alla Giordania, però: non è solo streetfoodguy a considerarla «completamente sicura», ma anche il sito “Viaggiare Sicuri” del ministero degli Esteri che consiglia soltanto di evitare assembramenti, soprattutto vicino alle moschee, e di tenersi informati perché i voli possono essere annullati all’improvviso. 

Queste avvertenze risalgono all’inizio di ottobre, però da tempo i viaggiatori in ansia si erano diretti verso altre mete: già un anno fa Ludovico Scortichini, ceo del tour operator Go World e membro del board nazionale di Astoi Viaggi Confindustria, denunciava «l’80 per cento di cancellazioni sui viaggi nel Mar Rosso» e un calo di prenotazioni in generale verso il Medio Oriente, che in tempi normali «incide per un 12-13 per cento» sui fatturati delle aziende di viaggio italiane. 

In vista delle vacanze di Natale però il trend sta cambiando: parlando alla fiera Ttg Travel Experience di Rimini, il presidente di Astoi Confindustria Viaggi Pier Ezhaya ha detto che «l'inverno è partito molto bene, per il momento registriamo rialzi del 12-15%». La ripresa riguarda in particolare l'Egitto, che «nonostante i problemi geopolitici del Medio Oriente, sta tornando ai livelli del periodo pre-Hamas, con una vitalità sorprendente. Forse oggi è più chiaro che l'Egitto non ha nulla a che fare col conflitto ed anche per questo sta riprendendo il suo ciclo normale».

Il calo dei visitatori sta però mettendo in ginocchio interi Stati del Medio Oriente, che sui ricavi turistici costruivano buona parte del Pil. A partire dalla Giordania, che grazie ad anni di investimenti mirati aveva allargato il ventaglio delle proposte. Non solo archeologia romana e preromana e il fascino dell’Oriente, ma anche il relax di lusso, il trekking e soprattutto il turismo religioso: diversi luoghi importanti per la Bibbia e i Vangeli si trovano nel territorio dell’attuale Giordania. 

Secondo la banca dati worlddata.info, nel 2021 il Paese aveva accolto oltre 2 milioni di turisti (prima del Covid aveva superato i 5 milioni) per un incasso di oltre 3 miliardi di dollari (il 7,4 per cento del Pil). Il turismo era una voce importante anche per il Libano: nel 2019 (prima del Covid e anche della disastrosa esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020) due milioni di visitatori avevano coperto il 17 per cento del Pil. 

Il flusso turistico si è interrotto subito dopo l’attacco di Hamas, per paura che la rappresaglia israeliana si allargasse a Beirut: già alla fine del 2023 il quotidiano L’Orient-Le Jour denunciava che le compagnie di assicurazioni consideravano il Libano un Paese in guerra. In Israele, secondo l’Ufficio di Statistica nazionale, il turismo è crollato di oltre il 75 per cento, ma per l’economia locale era una voce meno importante che per i Paesi vicini: i 5 milioni di turisti del 2019 avevano coperto solo il 2 per cento del Pil.

Era però una voce importantissima per i palestinesi cristiani di Betlemme o – tornando in territorio israeliano – di Nazareth, che per il 72 per cento vivevano di turismo, e per il soft power di Israele: i giovani occidentali che si affollavano sulle spiagge di Tel Aviv come se fossero a Barcellona erano del tutto immemori di essere a una decina di chilometri dalla Striscia di Gaza, «la prigione più grande al mondo», secondo lo storico angloisraeliano Ilan Pappé. 

Ancora più importanti per l’immagine di Israele erano i pellegrinaggi dei cristiani americani: i fedeli della «Bible belt» che, ha ricordato Pappé in un’intervista per i podcast Tlon, sono diventati i maggiori sostenitori, senza se e senza ma, della cosiddetta unica democrazia del Medio Oriente, «mentre i giovani ebrei americani sono sempre più tiepidi». Quei pellegrini oggi sono spariti: all’inizio di settembre l’arrivo di un gruppo di cattolici senegalesi è stato un tale evento che a riceverli c’era il presidente Isaac Herzog in persona.

L’Opera Romana Pellegrinaggi ha organizzato quest’anno solo un pellegrinaggio a Pasqua. Prima dell’allargamento del conflitto a Libano e Iran, erano state aperte le prenotazioni per un altro viaggio a Natale, «ma solo e unicamente se si potrà fare in condizioni di sicurezza». Ai pellegrini orfani della Terra Santa l’Orp propone – non per ripiego, ma perché è la terra dei primi cristiani, ha spiegato l’ad don Remo Chiavarini – la Turchia: che continua ad attirare visitatori, così come la Tunisia, che però piange la scomparsa dei turisti russi, numerosi e spesso anche danarosi. 

Sì, perché anche la guerra tra Russia e Ucraina ha un forte impatto sul turismo: se quella in Medio Oriente incide sulle mete appetibili, l’invasione russa ha fatto crollare il numero dei viaggiatori. Che a volte si incrociano su spiagge lontane, al riparo da accordi di estradizione: a Bali giovani disertori russi e ucraini familiarizzano, uniti dalla fuga dalla stessa guerra.