Nella seconda stagione della serie Netflix di Francesco Bruni ogni cosa si aggiusta e sembra trovare il suo posto. Ed è un po’ un peccato

Li avevamo lasciati su quella piattaforma infinita, a un passo dal vuoto, mano nella mano: Daniele e Nina, sommersi e poi salvati, pronti ad affondare di nuovo, con una consapevolezza che ti può dare solo il riuscire a guardare la tua vita. Ora sono tornati, nella seconda stagione di “Tutto chiede salvezza” (Netflix) e nulla meglio del loro essere in bilico racconta questa serie che corre sul filo. 

 

Il particolare funziona, come un meccanismo bene oliato. Gli attori e le attrici, facce masticate dal quotidiano, affossate da un cuore e uno stomaco e una pelle che brucia. La musica con cui il regista Francesco Bruni (che la serie l’ha scritta insieme a Daniela Gambaro e Daniele Mencarelli) muove i suoi personaggi, facendoli danzare sulle espressioni che abbracciano il dolore e la gioia in un solo sguardo. E la scrittura, il dettaglio, quello scavare con un punteruolo in un disagio mentale che corre veloce da una generazione all’altra, menti in fuga per un’andata che non sempre può contemplare un ritorno. 

 

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Poi però c’è il generale, che da quel particolare di cui sopra si allarga, come la macchina da presa. E qui c’è qualcosa che scricchiola, la nota stonata di un concerto ben fatto. Perché ci ritrova all’improvviso in un microcosmo perfetto nonostante un mondo imperfetto, dove tutto, troppo, torna, si aggiusta, si illumina. E in cui l’empatia comanda, la solidarietà vince, il giudice è giusto, i fantasmi ti sorreggono, l’amicizia è vera, la sanità è pubblica e persino la strega cattiva (un’inaudita interpretazione di Drusilla Foer) si trasforma in angelo custode. 

 

In questo modo passa l’illusione che quella salvezza sia dietro l’angolo pronta ad attenderti, come una poesia che dal cassetto in cui è stata a lungo nascosta, trova casa in un libro applaudito. Insomma, questa seconda stagione rinnova un incantesimo per poi spezzarlo all’improvviso. 

 

Il primo episodio fulminante, il secondo interessante ma avvicinandosi al gran finale scivola via il principio di realtà che tanto aveva terremotato lo sguardo precedente. Dalla nave dei pazzi si approda in una sorta di ospedale dei sogni, un luogo impossibile dove la cura è a portata di mano. E allora succede, con discrezione, che quell’amore oscuro con cui si era guardata la prima prova di Bruni a tratti si trasformi in stupore per questo lieto fine sbandierato, dai commoventi colori pastello, che lascia aperta la porta per una terza probabile avventura. 

 

E viene da chiedersi per quale motivo, visto il tesoro di partenza, si sia passati dall’inferno a un Purgatorio a tempo determinato. Insomma, visto da vicino nessuno è normale. Ma dipende dalla stagione.

 

 

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DA GUARDARE 

Non sbaglia un colpo Maurizio Crozza, eppure con il suo Ministro Giuli, (sempre “Fratelli di Crozza”, sempre La 7) forse è andato oltre: «La Destra, anche quando è radicale, è sempre stata colta e curiosa. Per esempio la Marcia su Roma: è stata una gita di curiosità per conoscere la città, facendo anche del sano podismo».

 

MA ANCHE NO

Bruno Vespa furioso: «Ho abbandonato la celebrazione dei 100 anni della radio e dei 70 della televisione indignato per il trattamento riservato a “Porta a Porta”». Che tradotto sarebbe: io sono l’artista, vengo a festeggiare la Rai per cui lavoro ma a patto che si parli di me. Sennò prendo il pallone e me ne vado.

 

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