PANE AL PANE
L’idea di ministro che ho maturato su treni in ritardo
Dal caos ferroviario dei giorni scorsi è nato questo decalogo: così dovrebbe essere il politico perfetto
Sconvolto da giorni di viaggi su treni in ritardo di ore e turbato dalla notizia che un chiodo possa bloccare un Paese (come nella filastrocca «per un chiodo che mancava…»), vi propongo un decalogo per migliorare la politica in Italia. Non spaventatevi: non è un programma politico. Più un «flusso di coscienza» tipo Joyce propiziato dalla mancanza di riposo dopo ore passate in treno. Non prendete tutto alla lettera, ma credo valga la pena di riflettere su queste proposte.
Primo: un ministro non può fare anche il leader di un partito. Fare il ministro è un impegno a tempo pieno. Non si possono fare due lavori allo stesso tempo. Il lavoro di ministro ha un aspetto operativo perché devi assicurarti che il ministero funzioni in tutti i suoi aspetti. (Chiarimento: diverso è il caso del presidente del Consiglio, che è certo meno operativo).
Secondo: appena nominato, un ministro deve firmare un contratto con una lista di obiettivi per far funzionare meglio il proprio ministero in termini di servizi forniti al pubblico, tipo ridurre il tempo di attesa per una mammografia da x a y mesi. Cose misurabili. E, se gli obiettivi non sono raggiunti, il ministro va a casa (o almeno deve giustificarsi).
Terzo: l’esclusività dell’impegno lavorativo deve valere anche per i parlamentari. Anche il lavoro del parlamentare non può essere part-time. Al momento lo è. I parlamentari non dovrebbero svolgere altre attività, soprattutto se remunerate, se non in forma minima.
Quarto: il parlamentare assenteista, non perché va a fare un altro lavoro, ma perché, comunque, ha di meglio da fare, deve subire un taglio drastico dello stipendio. Al momento ci sono tagli, ma sono irrisori e non scoraggiano l’assenteismo.
Quinto: dobbiamo pagare i politici eletti tanto quanto la media degli altri principali Paesi europei. C’era stato un tentativo in questa direzione anni fa. Riproviamoci.
Sesto: basta auto blu. E non tanto per risparmiare (non si risparmia molto), ma per dare un senso di normalità a chi svolge un servizio pubblico, politico o funzionario che sia. Lascerei l’auto blu solo al ministro. Gli altri vadano a piedi, usino la propria auto o prendano i mezzi. E che fare di auto e autisti blu? Mettiamoli a fare trasporti utili (ora spesso affidati al volontariato), tipo portare dal medico gli anziani soli che hanno difficoltà a spostarsi autonomamente.
Settimo: torniamo alle preferenze. Io voglio avere il diritto di scegliere chi mi rappresenta in Parlamento. Non mi basta mettere una crocetta sul simbolo del partito. Non voglio che chi va in Parlamento ci vada perché è stato messo in cima alla lista dal capo del partito.
Ottavo: regoliamo le lobby. Ci sono stati 97 tentativi di introdurre una legislazione che ci metterebbe in linea con gli altri Paesi avanzati. È ora di muoversi.
Nono: un’impresa che fa donazioni a un politico non dovrebbe partecipare a bandi di enti pubblici diretti da quel politico (tipo Genova). Donazioni ai politici devono essere ispirate da ideali, non dalla speranza di essere trattati meglio.
Decimo: obblighiamo i partiti politici a indicare nei programmi elettorali non solo cosa ci promettono, ma anche da dove prenderanno i soldi. Altrimenti è una presa in giro. Basta arrivare al potere e scoprire che non ci sono soldi. Non lo sapevano prima?
Forse seguendo questo decalogo si riavvicineranno i cittadini alle urne. Forse no. Ma almeno mi sono sfogato.