Grande partecipazione popolare per il quesito sulla cittadinanza. Ma il governo lo ostacolerà

Il 30 settembre scorso sono state presentate in Cassazione 637.487 firme per sostenere la richiesta di referendum sulla cittadinanza. Raggiungere e superare ampiamente in un tempo ridotto il traguardo delle cinquecentomila firme necessarie è stato un miracolo, pur se laico. Pochi, infatti, ci credevano. È il segno di una partecipazione di soggetti fuori dai circuiti della politica tradizionale, in questo caso si tratta di giovani, e in particolare di donne, dai 18 ai 42 anni. Un fenomeno che andrà analizzato e studiato. Un popolo in marcia, che meriterebbe un Pellizza da Volpedo del nostro tempo, ha fatto proprio un quesito chiaro, che riporta l’Italia a una legislazione europea, concedendo la cittadinanza a persone presenti nel nostro Paese, regolari, da cinque anni.

Si parla tanto di discriminazione, di razzismo e d’improvviso la risposta all’aspirazione di una società dell’inclusione si impone con un click. Con livoroso sconcerto di alcuni politicanti che non conoscono il Paese reale e che, avvinghiati alle briciole di un potere parassitario, cercano di diffamare una nuova forma di espressione di diritti sociali che impongono una diversa agenda delle priorità. Un tempo, per fare il consigliere comunale bisognava superare la prova di alfabetizzazione, oggi si dovrebbe dimostrare di saper usare lo Spid: molti dei critici superficiali sarebbero bocciati. Coloro che oggi, grazie a una legge elettorale truffaldina, vengono eletti dalla minoranza degli elettori si ergono tuttavia a censori della pretesa facilità di raccogliere le firme online e propongono di abolire questa forma di espressione della volontà dei cittadini, che risponde a indicazioni dell’Onu, o di aumentare il numero delle firme necessarie.

La verità è che non è il mezzo che decreta il successo, ma il tema e il consenso che suscita. E anche l’entusiasmo. Paradossalmente il più accanito e minaccioso nemico è un’esponente della Lega (non di Bossi) che quando ha provato a raccogliere le firme sulla giustizia non vi è riuscita né con i banchetti né con la firma digitale ed è dovuta ricorrere alle deliberazioni di cinque Consigli regionali come prevede la Costituzione. Qualche anima bella suggerisce che sia il Parlamento a cambiare la legge sulla cittadinanza, magari con la truffa dello ius scholae, facendo finta di non sapere che si tratta di una speranza impossibile. Questa maggioranza agli ordini del governo è capace solo di approvare leggi repressive, di introdurre nuovi reati, di aumentare le pene, di affollare le carceri con donne in gravidanza (peggiorando il Codice Rocco) e con coltivatori di canapa senza proprietà stupefacenti.

I referendum devono ora superare il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale e immaginiamo le pressioni del potere o le opinioni di tanti mozzaorecchi del diritto per impedire il voto del popolo la prossima primavera. Nel 2022 la decisione della Corte contro il referendum su eutanasia e cannabis impedì il cambiamento, indebolì la vita del governo Draghi e favorì la reazione. Non sappiamo se a decidere tra gennaio e febbraio sarà una Corte senza plenum (a dicembre cessano dal mandato tre giudici) o un consesso rimodellato dalle nomine meloniane: in ogni caso una decisione negativa provocherebbe delusione e rabbia e costituirebbe un colpo alla democrazia che vive di passioni e diritti. Non è il caso di scherzare con il fuoco.