I centri voluti dal governo Meloni sono nel mirino della Corte di Giustizia europea. E intantoi contrabbandieri di uomini studiano come sfruttare la nuova opportunità

In una delle aree del centro non è ancora stato ultimato il tetto, ma ormai non potevano esserci ulteriori rinvii; la nave Libra della Marina militare era già in viaggio mentre ancora gli operai lavoravano al cpr di Gjader. E così, i cancelli dei centri albanesi per i migranti, tanto voluti da Giorgia Meloni, sono stati spalancati. I primi ad arrivare lo scorso mercoledì sono stati uomini adulti, considerati non vulnerabili ma soprattutto tutti provenienti dai cosiddetti Paesi sicuri. All’elenco varato dal governo nel 2023, che contava 16 nazioni tra cui la Tunisia e l’Egitto, lo scorso 7 maggio ne sono stati aggiunte altre sei: Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka. «Un Paese può definirsi sicuro solo se si può dimostrare che non ci sono persecuzioni. È sicuro solo se lo è nella sua interezza e per tutta la popolazione», dicono dall’Asgi, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. «Nel caso specifico – dicono i legali – tra tutti quelli elencati, sicuramente non possono essere considerati sicuri la Tunisia, l’Egitto, il Bangladesh, la Nigeria». Secondo il governo, se provenienti da uno di questi 22 Paesi, i migranti arrivati in Albania dovranno aspettare l’esito della procedura per l’asilo e in caso negativo saranno immediatamente rimpatriati. I piani della premier, però, potrebbero dover cambiare. La Corte di Giustizia europea, infatti, ha bocciato i criteri che per il governo italiano rendono certi Paesi sicuri. «In pratica, il concetto di Paese sicuro, così come applicato dall’Italia, non è conforme alla normativa europea vigente», spiegano ancora dall’Asgi. Cosa vuole dire? Ora che ci sono i primi ospiti a Shengjin e Gjader, tocca ai giudici italiani decidere se applicare o no la sentenza della Corte di Giustizia. Se così sarà, i migranti verranno riportati in Italia il più velocemente possibile. «Questo iter è pieno zeppo di problematiche, sia di carattere etico sia di carattere giurisprudenziale», spiega Gianfranco Schiavone, avvocato, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. In ogni caso, comunque, l’intera operazione è sotto gli occhi di tutta Europa. L’idea di hotspot esterni al territorio Ue, infatti, piace a molti leader europei. E durante le prossime riunioni a Bruxelles potrebbero anche essere tutti d’accordo, o quasi, su quella che nei documenti è chiamata «azione esterna». In pratica, se la «soluzione innovativa di Giorgia», come l’ha definita Viktor Orbán, dovesse funzionare, molti migranti potrebbero presto venir spediti chissà dove.

Intanto, a Gjader la stradina che attraversa il villaggio è diventata una delle più trafficate. E il volto di questo tranquillo angolino d’Albania è cambiato sotto gli occhi impotenti dei residenti. «In tre giorni, lavorando di notte, hanno tirato su un muro altissimo a meno di 4 metri dalla mia casa», racconta Alberto che per anni ha costruito con amore una casa per la sua famiglia. «Ora è tutto deturpato. Mi hanno rovinato il panorama e la bellezza di questo luogo. Se mi affaccio dal balcone vedo un muro grigio e poco più in là un campo di detenzione. Come potremo vivere a pochi metri da un posto che viola i diritti umani?». Nei giorni precedenti all’apertura, c’è stato un gran movimento di gente all’interno del centro di Gjader, tra giornalisti in visita ufficiale e forze dell’ordine. «Ma nelle ultime settimane abbiamo notato anche un altro interesse particolare», aggiunge l’avvocato di Tirana, Andrei. «Ci sono, infatti, alcuni uomini che si aggiravano lungo il perimetro del centro e abbiamo la certezza quasi assoluta che si trattasse di smugglers (contrabbandieri, ndr) che studiavano la situazione». L’Albania è uno dei Paesi che i migranti attraversano lungo la rotta balcanica per poi arrivare alle porte dell’Europa. Ed è una tratta, peraltro, che si è riattivata negli ultimi sette mesi, dopo che le polizie di Ungheria e Serbia hanno blindato il confine. Il passaggio per le montagne albanesi, dunque, è ridiventato centrale. La costruzione di un cpr proprio nel Paese delle aquile è una notizia che i trafficanti hanno accolto subito con entusiasmo, già immaginando un nuovo business da intraprendere. «Qualcuno di noi – dice il residente Alberto – è riuscito anche a parlare con uno di questi uomini». Si starebbe preparando un nuovo traffico, sempre sulla pelle dei più deboli. Ammesso che davvero la rete del contrabbando riuscirà a mettere le mani sul cpr albanese.

A sorvegliare il centro ci sono le forze dell’ordine italiane, ma all’esterno è la polizia albanese a gestire ogni cosa e nessuno ha la certezza di quello che potrà avvenire. «I migranti portati al centro non saranno detenuti, però allo stesso tempo non potranno uscire», spiega l’avvocato Andrei. «Ci dicono che non è una prigione, però i migranti saranno di fatto incarcerati. Questo non solo rappresenta una violazione dei loro diritti, ma crea anche un enorme difetto legislativo».

«Le procedure in vigore a Shengjin e Gjader rappresentano una negazione radicale del principio che regola il diritto dell’Ue, sia sull’asilo sia sulle procedure di rimpatrio», spiega ancora Schiavone dell’Asgi, secondo cui è difficile capire se davvero ci sarà un giro di contrabbandieri nell’area del cpr. «Sappiamo che l’Albania è uno degli Stati più corrotti dell’Europa, non possiamo fare previsioni serie sul rispetto delle leggi». Al momento nessuno può escludere che davvero ci sarà un giro di trafficanti a gestire la rotta albanese.