PERSONAGGI E INTERPRETI
Elly Schlein la leader che subisce veti
Il no di Conte a Renzi mette in forse la vittoria in Liguria. E anche la guida della coalizione
Quella che sembrava una passeggiata in discesa si sta trasformando in una faticosa arrampicata tra ostacoli e trappole, per Elly Schlein. La Liguria doveva essere, dopo la Sardegna, la seconda Regione strappata al centrodestra. E il modo in cui si è arrivati al voto anticipato – l’arresto per corruzione che ha costretto alle dimissioni Giovanni Toti – pareva avere spianato la strada a una vittoria facile del candidato del Partito democratico, Andrea Orlando. Ma in politica non bisogna mai dare nulla per scontato, e all’inaspettato ingresso in campo del sindaco di Genova, Marco Bucci, si è aggiunta all’ultimo minuto la frattura nel centrosinistra, dove il veto posto imperiosamente da Giuseppe Conte ha espulso i centristi di Italia viva dalle liste e dall’alleanza.
Sotto accusa ora c’è Elly Schlein. Non per ciò che ha fatto, ma per ciò che non ha fatto. L’intransigente rifiuto del Movimento 5 Stelle di accettare la presenza dei renziani nell’alleanza era infatti noto da tempo, eppure la segretaria del Pd ha teso la mano al leader di Italia viva, condividendo con lui le campagne referendarie sull’autonomia differenziata e sulla cittadinanza ma anche il rifiuto di partecipare alla lottizzazione del cda Rai (mentre Conte e la coppia Fratoianni&Bonelli piazzavano i loro candidati). La ragione appariva evidente: per sperare di vincere le prossime elezioni il Partito democratico deve riuscire a mettere insieme un’alleanza che sia la più vasta possibile, e non può rinunciare a priori a quel 6-7 per cento che i centristi riescono, nonostante tutto, a intercettare. Si era dunque diffusa la convinzione che lei avesse un piano per salvare capra e cavoli. Eppure, quando a Genova è arrivato il momento di depositare le liste e il Movimento ha alzato il disco rosso, Elly Schlein non ha mosso un dito, lasciando che i renziani venissero sbrigativamente messi alla porta. Come se la cosa non la riguardasse.
Ma in ogni alleanza è il leader che mette il veto. Non lo subisce. Accettare i veti dei partiti mette in discussione la sua stessa autorità. Se un alleato è in grado di imporre un veto su un altro, significa che il leader ha perso il controllo della situazione, lasciando spazio a rivalità e giochi di potere che rischiano di portare all’esplosione della coalizione. Invece di collaborare per il bene comune, i partiti si concentrano sui propri interessi particolari, creando divisioni insanabili. Ma il leader ha la responsabilità di preservare l’unità, l’efficacia e la credibilità della propria squadra politica. Solo con un dialogo costante, il rispetto reciproco e la capacità di negoziazione, una coalizione può sperare di mantenersi coesa e funzionante. I veti, in questo contesto, rappresentano un pericolo che il leader non può permettersi di tollerare. Semmai li aggira, come fece astutamente Silvio Berlusconi nel 1994, quando Gianfranco Fini si rifiutò di sostenere candidati comuni con Umberto Bossi e lui escogitò la doppia alleanza: al Nord con i leghisti e al Sud con i missini.
Le cose dunque si complicano, per Elly Schlein. Che corre due rischi. Il primo è quello di essere sconfitta a Genova nella prima delle tre sfide d’autunno, vedendo svanire il sogno di un 3 a 0. Il secondo, ancora maggiore, è quello di perdere la leadership del centrosinistra e di vedere fallire quel progetto che lei, a dispetto dei distinguo dei Cinque Stelle, insiste a chiamare «campo largo».