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Saltano tutti sul carro di Trump
Con la cravatta rossa come Salvini. Contro i giudici come Meloni. A sollevare Ape come Bandecchi. Esasperati ed esasperanti. Così l’onda di Donald arriva in Italia
In prima fila c’è sempre lui, ancora aspirante Trump d’Italia, come otto anni fa. Nel 2016 faceva il profeta fosco del no euro, stavolta nell’incessante processo di semplificazione del messaggio politico Matteo Salvini mira direttamente all’estasi: ha sfoggiato da subito la cravatta rossa, annunciando che non la toglierà più fino alle prossime elezioni americane; ha virato al mistico parlando non solo di una novità che «potrebbe cambiare la vita ai nostri figli», ma persino di «luce che viene da fuori»; ha dato prova di credere che adesso è possibile il «ritorno della pace» ma anche – direbbe Mario Draghi – del condizionatore: «A quanti cambierebbe la vita se si riaprono commerci e importazioni?», ha domandato durante un comizio, affollato peraltro di trumpiani col cappellino rosso. Se negli Stati Uniti vince chi ha annunciato di voler «deportare» milioni di immigrati clandestini, senza neanche sapere quanti siano, tutto è lecito sperare, tutto è possibile. Per gli Stati Uniti, per i populisti d’Italia, persino per Trieste: «Si aprono nuovi scenari che vedono anche il Friuli Venezia Giulia potenzialmente coinvolto», attraverso «il rilancio degli accordi di Abramo» e il «nuovo progetto di collegamento tra Indo Pacifico e Mediterraneo, col porto di Trieste come terminale finale» ha detto agile il senatore e segretario della Lega Fvg Marco Dreosto, all’indomani delle elezioni Usa. «Il mondo si sta raddrizzando», «tanti volonterosi con zeppe e tiranti, con cime e verine ma, soprattutto, con tante Decime al posto giusto lo stanno rimettendo nel verso corretto», ha esultato il generale Vannacci. La vittoria di Trump del resto è come l’alba dei morti viventi: non c’è speranza che non possa dirsi rinfrancata. «Mi leggo il libro di un amico», annuncia infatti il numero tre di FdI Giovanni Donzelli, postando una foto con in mano il libro dell’ex ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.
Estrema, esasperata, esasperante, più larga e variegata dell’altra volta dicono le analisi del voto, la rivittoria di Trump piomba sull’Italia populista come una conferma. E un incoraggiamento. Vince chi si posiziona sulla coda più estrema dell’elettorato - altro che centro, gli elettorati di repubblicani e democratici non sono più sovrapponibili, anche questo dicono i dati che vengono dagli Stati uniti. E vince perché tra ragione e sentimento vince il voto a sentimento, a suggestione, non importa se contraddittorio purché faccia provare qualcosa, subito. Esemplare uno dei video Instagram di Stefano Bandecchi, il sindaco di Terni, maestro di sputi e di sollevamento Apecar, accucciato accanto ai pupazzi di due gnomi di Orvieto «col cappello rosso a puntini bianchi, perché noi siamo un po’ di qua e un po’ di là, noi siamo quelli che vi danno tutto ciò che cercate». Tutto.
Sorride quindi il populista democratico (definizione di Marco Travaglio) Giuseppe Conte, colui che ha dato tutto ciò che cercavano ai gialloverdi prima, ai giallorossi poi, a se stesso sempre, e che adesso pure in mezzo al caos del congresso a Cinque Stelle si sente furbissimo per non aver mai, neanche sotto tortura, sottoscritto un qualche sia pur vago endorsement alla perdente democratica Kamala Harris. E come avrebbe potuto? In questi anni the Donald non ha mai perso di vista il suo «Giuseppi», addirittura chiese al corrispondente di Repubblica come era andato il M5S alle elezioni del settembre 2022, lo ha raccontato il Corriere della Sera. Già si sprecavano gli aneddoti sugli amorosi sensi tra il ciuffo giallo e la pochette tricolore, ma dopo il voto americano è saltato addirittura fuori che una volta, durante il G7 dell’agosto 2019, a Biarritz, fu l’allora cancelliera Angela Mekel a chiedere l’intercessione presso The Donald: «Giuseppe, visto che avete questo rapporto così stretto, parlaci tu con Trump, io ho delle difficoltà», fu quella volta la richiesta. Ecco è chiaro che adesso, essendosi diciamo buttato a sinistra, Conte non potrà sbracciarsi come quando era a Palazzo Chigi: intanto però i suoi commenti alla vittoria di Trump sono di stampo istituzionale, i più vicini in stile a quelli di Giorgia Meloni. Non si sa mai la vita cosa possa riservare.
Nell’italia polarizzata, quella dove a Bologna per un sabato è sembrato di stare in un pezzo della meglio gioventù, con una premier che parla di «sinistra che foraggia i facinorosi» e un vicepremier che evoca la chiusura dei centri sociali «covi di zecche» (avendo frequentato il Leoncavallo a Milano, una volta Salvini assicurava invece che nei «nei centri sociali ci si trova per discutere, confrontarsi, bere una birra e divertirsi»), l’era trumpiana parte seconda arriva come un’autorizzazione all’espansione. Il trumpismo erige muri, certo, ma il trumpismo in un Paese solo non esiste - ha argomentato Giuliano Ferrara. Ecco dunque la rosa dei populisti europei, quelli che fanno il verso al Maga e autorizzano a sognare un Make west great again: l’ungherese Viktor Orbán, Marine Le Pen, lo spagnolo Santiago Abascal, l’olandese Geert Wilders, il portoghese André Ventura. Ed ecco un nuovo pezzo della maggioranza, un appoggio esterno virtuale: i giudici italiani che martedì 12 non hanno convalidato il trattenimento dei migranti (è il secondo gruppo: stavolta sono in 7) portati in Albania e ritorno, vengono giudicati non da Lollobrigida o da Mollicone, ma direttamente da un Elon Musk fedele alla linea («questi giudici devono andarsene», ha detto). Col padrone di Tesla protesta, ancora, lo stesso Salvini, che vede una perfetta corrispondenza tra sé e il presidente americano: «La lezione è che Trump difenderà i confini americani, io il 20 dicembre potrei essere condannato a sei anni di galera per aver difeso i confini italiani, per aver impedito lo sbarco di clandestini». Ecco, la condanna: potrebbe essere una benedizione, per il leader leghista, un nuovo propulsore che lo tiene su. Anche se in Italia il presidente che riesce a tornare sfidando il politicamente corretto, i processi e gli scandali già s’è visto: era Silvio Berlusconi.
Ma l’effetto flipper tra noi e gli Usa è sempre in atto, e lo stesso Trump non è più come nel 2016 la scheggia impazzita, l’incidente della storia, il puro rischio sovversivo. È lo scontento e l’establishment insieme, la rabbia e il governo, è un mainstream travestito da rivolta: esattamente come avviene in Italia, guidata da oltre due anni da una presidente del Consiglio tuttora più brava a fare opposizione che ad articolare una cultura di governo. A radunare tutti i Bandecchi d’Italia, in una maggioranza Vannacci-Musk. Di questo passo, andrà a finire che il centro di trattenimento costruito in Albania sarà messo a disposizione per la deportazione: magari Trump ci fa uno sconto sui dazi.