L'innovazione
Via dalla rete disastro telco
La frammentazione, l’eccesso di concorrenza hanno prodotto un disimpegno dagli investimenti. E il settore, unico nell’Ue, ha bruciato 15 miliardi negli ultimi cinque anni
Il mercato delle telecomunicazioni italiano è una storia triste e anche, tutto sommato, paradossale. La società, l’economia, si fondano sempre più sul digitale che, a sua volta, ha bisogno di reti diffuse e veloci per funzionare. Ma quelle reti sono in profonda crisi. Una disavventura che «finiamo per pagare tutti noi. Cittadini, aziende, il sistema Paese, che rischia di perdere in innovazione e competitività», spiega Marta Valsecchi, degli osservatori del Politecnico di Milano, che hanno contributo al rapporto Asstel 2024 (associazione degli operatori) presentato la scorsa settimana. Lì si legge che dal 2010 il mercato delle telco ha perso il 35 per cento del valore. «Dopo anni di cali di ricavi e profitti, ora cominciano a diminuire, di conseguenza, anche gli investimenti degli operatori sulle reti», aggiunge Valsecchi. Ed è un guaio perché «il digitale dà vantaggi a noi e al Paese solo se le reti sono affidabili», continua.
Le telecomunicazioni soffrono in tutta Europa, «ma in Italia in particolare», aggiunge Stefano Da Empoli, economista presidente dell’osservatorio I-Com. Per il report Mediobanca, presentato a novembre, il mercato italiano è stato il solo a calare in Europa negli ultimi cinque anni del 9,7 per cento. In Italia il giro d’affari del settore ha perso 15 miliardi di euro. Anche Mediobanca rileva un conseguente calo di investimenti in reti fisse e mobili. Così si allontana in Italia quell’orizzonte a cui tutto il mondo tende, costituito da reti super veloci capillari e abbinate a servizi innovativi, in fibra ottica e 5G.
E, come se non bastasse, il governo e la maggioranza mostrano segni di incertezza nella ricerca di una soluzione. Almeno così è sul fronte fair share, progetto europeo di fare pagare alle big tech un “equo compenso” per l’uso della rete. I tentativi di leggi italiane per farlo partire continuano a fallire e il governo è diviso, «ma sbaglia: è giusto che le big tech, vampire universali, paghino il giusto», spiega il senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia), già ministro di Silvio Berlusconi alle Comunicazioni. Da qualche giorno ha presentato un emendamento (al decreto fiscale) per riprovare a introdurre il fair share in Italia.
Per capire un po’ di più come siamo arrivati al disastro, vale la pena indagarne le cause. Almeno qui tutti gli esperti sono d’accordo, anche perché sono bene o male le stesse da dieci anni. «Come emerge anche dal nostro rapporto Italia Connessa 2024 presentato a novembre – spiega Da Empoli – da una parte gli operatori sono incapaci di valorizzare i servizi innovativi e le offerte di reti più veloci; dall’altra famiglie e aziende non ne comprendono a fondo l’utilità e preferiscono il massimo risparmio». A questo si aggiunga un mercato molto frammentato, che solo da poco ha cominciato a consolidarsi (fusione Fastweb-Vodafone). Ne derivano: eccesso di concorrenza, prezzi stracciati per la rete fissa e (soprattutto) i servizi mobili e conseguente pressione drammatica sui margini degli operatori, come notano il Politecnico e Asstel. Margini ridotti si traducono in difficoltà a investire – appunto – e l’eterno spettro di licenziamenti di massa, spesso paventato dai sindacati. Più complicato il fronte delle soluzioni da trovare. Ma di necessità, virtù: il mercato è arrivato a un punto così preoccupante che ora i potenziali salvatori si affrettano al soccorso. «Si evidenziano i recenti
studi per una soluzione a livello europeo, da parte di Mario Draghi ed Enrico Letta, con l’ex commissario Ue Thierry Breton», dice Valsecchi. Ad esempio favorire i consolidamenti ed evitare nuove frammentazioni, «con un possibile nuovo ruolo dell’Antitrust, diverso da quello che ha portato all’arrivo dell’operatore Iliad in Italia», dice Valsecchi. Iliad ha contribuito al super ribasso dei prezzi. «Gli operatori accusano Iliad e l’Antitrust, ma in altri Paesi, come la Francia, situazioni simili di concorrenza non hanno portato agli stessi disastri italiani», ribatte Da Empoli. «C’è una difficoltà tutta nostrana a fare pagare reti e servizi a valore aggiunto», continua. Il consolidamento e la crescente tendenza degli operatori fissi e mobili a condividere gli investimenti sono comunque almeno parte della soluzione, perché migliorano efficienza e scala, quindi gli utili. Sulla stessa scia, «l’idea che si fa strada in Europa è di varare regole uniformi per operare nei diversi Paesi Ue e così favorire progetti su scala europea», aggiunge Valsecchi. La separazione della rete fissa nazionale di Tim (venduta al fondo Usa Kkr), novità eccezionale di quest’anno, è pure vista con favore da molti esperti (oltre che dallo stesso ex monopolista). Può aumentare le efficienze e consentire agli operatori di concentrarsi su servizi innovativi invece che sul vecchio business delle infrastrutture di rete. Infine, il jolly fair share, su cui però non ci sono certezze. Favorevole il ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso, ma contrario il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, stando a quanto dichiarato. Ma anche un sostenitore convinto come Gasparri non si ferma qui, sa che il problema è anche nelle telco, «che sono state troppo passive in questi anni; si sono chiuse a innovazioni e collaborazioni con altri settori lasciando il terreno alle big tech». «Se vogliono un futuro devono reinventarsi», dice Gasparri. Persino «investire in innovazioni che daranno frutti solo fra qualche anno», aggiunge Valsecchi. La loro mancanza di coraggio è un male per tutti.