Le due star sono ricorse prima alla mastectomia preventiva, ma come spiega il professore Luca Bocciolone a l'Espresso: «Le tube sono la prima sede di insorgenza delle lesioni pre-neoplastiche correlate al carcinoma ovarico. Inoltre l’annessiectomia »Profilattica – asportazione di ovaio e tube – riduce di circa la metà la probabilità di eventuale insorgenza di tumore al seno. Mentre la mastectomia preventiva non ha alcun ruolo positivo sul rischio di tumore ovarico».

Angelina Jolie è stata più fortunata. Mentre per Bianca Balti, purtroppo, attendere è stata una scelta imprudente. Involontariamente, l’approccio delle due star al carcinoma dell’ovaio rischia di portare in errore quelle donne che apprendono e comprendono l’importanza di una corretta prevenzione dalle pagine Instagram, dalle notizie e dalle interviste di Jolie e Balti.

Oltre alla stratosferica bellezza, le due hanno in comune una predisposizione famigliare alla mutazione del gene Brca1 che è la causa, fra gli altri, di un aggressivo cancro ovarico. Nel 2013, proprio per evitare che si sviluppasse quel carcinoma, Angelina Jolie si era sottoposta a una doppia mastectomia preventiva, ovvero alla rimozione del tessuto mammario, sostituendolo con protesi. Due anni più tardi, la star hollywoodiana aveva annunciato con una lettera pubblicata sul New York Times di aver deciso di rimuovere anche ovaie e tube di Falloppio per prevenire il cancro: «Due anni fa – scriveva al Nyt – ho scritto sulla mia scelta di subire una doppia mastectomia preventiva. Un semplice esame del sangue mi aveva rivelato la presenza della mutazione nel gene Brca1. Mi hanno dato una stima di rischio dell’87% di cancro al seno e un rischio del 50% di cancro ovarico. Ho perso mia madre, la nonna e la zia a causa di quel cancro». Tale scelta aveva scatenato un ampio dibattito sull’opportunità o no di procedere a una simile e invasiva chirurgia preventiva.

La storia di Bianca Balti è più recente. La top model lodigiana, tempo fa, si è a sua volta sottoposta al test genetico, che aveva evidenziato la mutazione del gene Brca1, correlata a un maggior rischio di insorgenza di diversi tumori, a partire da quello a seno e ovaie. Così, a dicembre 2022, Balti si era sottoposta a mastectomia bilaterale profilattica, per prevenire e scongiurare il pericolo del cancro al seno. Già allora aveva manifestato l’intenzione di rimuovere anche le ovaie. Purtroppo il 20 settembre 2024, attraverso un post sulla pagina Instagram della top model, si è scoperto che nel frattempo il tumore si era sviluppato a livello di apparato riproduttivo: un cancro ovarico al terzo stadio. Dopo essersi presentata al pronto soccorso a causa di un forte dolore addominale è stata operata. Successivamente la modella ha scritto su Instagram: «Ho un lungo viaggio davanti a me, so che ce la farò».

In occasione del mese rosa, dedicato alla prevenzione dai tumori femminili, L’Espresso ha intervistato il responsabile della Ginecologia oncologica chirurgica dell’Ospedale San Raffaele di Milano, Luca Bocciolone, che spiega: «Le storie di Jolie e di Balti hanno in comune la decisione prioritaria di sottoporsi alla rimozione del seno, scelta che potrebbe essere fatale per tutte quelle donne che si trovano ad affrontare situazioni analoghe e subiscono, consciamente e inconsciamente, il potenziale errato messaggio comunicato dalle due star». Con l’intento di fare chiarezza e offrire un aiuto, il professor Bocciolone, specializzato nella diagnosi e nel trattamento delle neoplasie dell’apparato genitale femminile, continua: «Involontariamente, Angelina Jolie e Bianca Balti hanno provocato e stanno provocando un effetto boomerang nella cura preventiva dai carcinomi causati dalla presenza di una mutazione dei geni Brca1 o Brca2. Entrambe si sono sottoposte a mastectomia, rinviando l’asportazione preventiva delle ovaie. Qui sta il messaggio sbagliato: perché la mutazione di quei geni causa un tumore molto più aggressivo alle ovaie, non al seno».

Il tumore ereditario ovarico, quello che ha colpito Balti, «è una neoplasia rara ma altamente letale», spiega il professore che continua: «Il rischio di ammalarsi di neoplasia dell’ovaio nel corso della vita è di poco superiore all’1%. Rappresenta tuttavia la principale causa di morte nelle donne con diagnosi di cancro ginecologico e la seconda più frequente neoplasia ginecologica dopo il tumore dell’utero». Ogni anno 300 mila donne nel mondo ricevono una diagnosi di tumore ovarico, in Italia le nuove diagnosi sono 5.500 l’anno. L’elevata mortalità (circa 70-80%) è spesso causata dalla mancanza – ancora oggi – di efficaci test di screening in grado di rilevare la malattia in una fase precoce come quelli per il tumore del collo dell’utero, individuabile attraverso il pap test, e della mammella, per cui periodicamente le donne si sottopongono a mammografia ed ecografia.

Ecco perché il tumore ovarico viene frequentemente definito silent killer, che si manifesta quando ormai si trova già in una fase avanzata – al terzo o al quarto stadio, ovvero quando si presentano metastasi anche all’addome e al torace – a causa dell’assenza di sintomi o della sola presenza di disturbi vaghi (sensazione di sazietà precoce anche a stomaco vuoto, gonfiore persistente all’addome, dolori addominali associati a perdite ematiche vaginali, alterazioni della funzione intestinale con diarrea alternata a stitichezza e disturbi vescicali con necessità di urinare frequentemente). Purtroppo in Italia il 70-80% delle pazienti si presenta con una malattia in stadio avanzato: e allora la sopravvivenza a 5 anni è del 40%.

«Nonostante molteplici studi e ricerche, le cause di insorgenza del tumore ovarico sono ancora poco note, anche se vi sono delle condizioni cliniche che aumentano la probabilità di contrarre questa malattia: non aver avuto figli, menarca precoce e menopausa tardiva, oltre ad alcuni stati infiammatori cronici, come l’endometriosi, possono talvolta associarsi a elevato rischio di sviluppo del tumore ovarico. Inoltre sappiamo che il 25-30% dei tumori dell’ovaio è di origine ereditaria, causata dalla presenza di una mutazione dei geni Brca1 o Brca2. Sono soprattutto i carcinomi epiteliali ovarici, che rappresentano la maggior parte di tutti i tumori dell’ovaio, a essere causati dall’alterazione genetica». Mutazioni che sono state riscontrate ad Agelina Jolie e Bianca Balti dopo essersi sottoposte al test genico.

Anche in Italia il test è garantito in tutte le Regioni ed effettuabile in regime di Servizio sanitario nazionale su indicazione di un genetista oncologico. «Stiamo inoltre studiando un sistema per intercettare mutazioni geniche attraverso la ricerca della proteina P53 dal pap test. È ancora una sperimentazione, ma i risultati sono incoraggianti», dice il primario del San Raffaele, che continua: «I geni Brca1 e Brca2 sono incaricati della produzione di proteine che riparano eventuali danni al Dna, evitando quindi la proliferazione incontrollata di cellule tumorali. Ma in caso di una loro mutazione, il Dna non viene riparato correttamente, portando a un accumulo di più alterazioni genetiche che causano la trasformazione tumorale».

Se il test dà esito positivo, spiega il professore, «la cosa più importante da fare è effettuare una “prevenzione primaria” del tumore ovarico, programmando una chirurgia profilattica di asportazione delle tube e delle ovaie. L’intervento chirurgico riduce significativamente (96%) il rischio di insorgenza del tumore dell’ovaio e di oltre il 50% il rischio di quello al seno. Tale procedura è fortemente raccomandata entro i 40 anni di età per le donne sane portatrici di mutazione Brca1 e intorno ai 45 anni per quelle con mutazione Brca2 o in ogni caso al termine della vita riproduttiva». L’indicazione, dunque, è l’esatto opposto di quanto effettuato da Jolie e Balti, che sono prima ricorse alla mastectomia: «La mastectomia è secondaria rispetto all’urgenza dell’ovariectomia. Infatti le tube sono la prima sede di insorgenza delle lesioni pre-neoplastiche correlate al carcinoma ovarico. Inoltre l’annessiectomia profilattica – asportazione di ovaio e tube – riduce di circa la metà la probabilità di eventuale insorgenza di tumore al seno. Mentre la mastectomia preventiva non ha alcun ruolo positivo sul rischio di tumore ovarico. Eppure, con sempre maggiore frequenza la paziente percepisce come primario e di maggiore importanza l’intervento al seno, anziché alle ovaie. È più che comprensibile la questione psicologica: un eventuale problema al seno viene percepito come immediatamente tangibile, mente si ha meno percezione delle ovaie, un organo interno, nascosto e quindi (a torto) trascurabile».

I motivi che portano molte a rinviare l’intervento sono anche altri: «La scelta di sottoporsi alla chirurgia profilattica è penosa, non di facile accettabilità, soprattutto nelle pazienti giovani, in età fertile. L’intervento preventivo deve sempre essere discusso e condiviso dalla donna e necessita di adeguato supporto psicologico. L’operazione causa la cessazione della produzione degli ormoni femminili inducendo una menopausa anticipata con una serie di effetti collaterali sia a breve termine (vampate, disturbi del sonno e sessuali) sia a lungo termine (osteoporosi, malattie cardiovascolari) che non sempre è possibile contrastare con la terapia ormonale sostitutiva e rende impossibile una successiva ricerca di gravidanza, a meno che non si sia provveduto precedentemente al congelamento di ovociti. La buona notizia è che la crioconservazione ovocitaria risulta possibile e sicura anche in caso di mutazione genetica».