Jacopo Benassi è un artista a tenaglia, perché nelle sue installazioni si intravede tutto il senso di una manovra militare che circonda, che isola al centro di qualcosa in cui sei finito senza neanche capire il perché. Nella mostra “Sàlvati Salvàti” alla galleria Francesca Minini di Milano (fino al 30 novembre) sembra avere dichiarato questa sua strategia (permettendoci di scegliere se entrare o no fin dal titolo) perché ad accoglierci c’è una bandiera su cui è stampata l’immagine di una chela.
Svetta su una barricata creata da tubi innocenti e fari da cantiere, fotografie di macerie industriali e naturali, sacchi di sabbia che aspettano il disastro, pezzi di manichini un po’ macabri. E poi il segno distintivo di Benassi, le pantofole. Questo oggetto, che è sempre in coppia ed è sempre speculare, è per Benassi un simbolo intimo e autobiografico da fotografare: questa volta però non sono in plastica, ma in bronzo, che ancora nel segno della dualità possiamo dire che come materiale rappresenta la forza nell’arte, ma nello sport invece è il risultato raggiunto a fatica, il terzo posto, quello sempre in bilico tra vittoria e sconfitta.
Ed è proprio di fragilità che ci parla il lavoro di Benassi: le sue sono opere assemblate in modo precario con cinghie, unite a piccoli gruppi di due o tre o quattro, proprio come si fa in un magazzino per recuperare spazio. E poi che siano fotografie di farfalle, polpi, gamberi, spine o parti di corpi nudi, oppure le tele dipinte che raffigurano paesaggi eterei, queste opere mostrano sempre un mondo imperfetto. Pulp, ma con una sottotraccia comica. E anche quel flash sparato è una tenaglia che avvolge, che sorprende i soggetti e li emargina nella luce per metterli in quarantena e permetterci di analizzarli.
Al soffitto sono appesi strumenti musicali che Benassi usa per le sue performance (la prossima è il 6 novembre). L’ultima ha coinvolto il corpo fragile e potente di un pezzo di storia dell’arte contemporanea, il gallerista Massimo Minini, che si è scatenato suonando qualunque cosa gli capitasse a tiro, sotto la guida di Benassi, direttore d’orchestra e di caos.