Sostegno pienoa Israele. Stop alle armi all’Ucraina. La politica estera del secondo Donald riprende la linea oltranzista, isolazionista e antieuropea attuata nel primo mandato

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel gennaio 2025, con un potere ancora più grande di otto anni fa considerata la maggioranza repubblicana al Congresso, rimodellerà la politica internazionale per come l’abbiamo conosciuta in questi ultimi caotici anni. Temuto dall’Europa e dagli alleati internazionali (con l’eccezione di Israele) influenzerà in modo determinante i due più grandi conflitti in corso (Ucraina e Israele/Medio Oriente), aprirà un nuovo fronte di guerra commerciale con la Cina e diventerà determinante per le spinte populiste e antidemocratiche in atto in diverse aree del mondo. La sua politica estera enfatizzerà i principi di “America First”, concentrandosi sugli interessi nazionali Usa e riducendo al minimo gli impegni internazionali.

Ucraina

Chi rischia di più in tempi brevi è l’Ucraina del presidente Volodymyr Zelensky. È probabile che The Donald II cerchi di costringere Kiev e Mosca a un cessate il fuoco lungo le attuali linee del fronte, preludio di un accordo permanente che riconosca le conquiste territoriali della Russia, tra cui l’annessione della Crimea nel 2014 e i territori occupati dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. Lo ha detto e ripetuto in campagna elettorale, ha ricordato più volte la sua amicizia con Vladimir Putin, se taglierà (come ha promesso) la fornitura di armi a Kiev, gli ucraini – già oggi in difficoltà – saranno costretti a una drammatica capitolazione.

Nato

Strettamente legata a questo conflitto – quando Trump si insedierà alla Casa Bianca a gennaio saranno quasi tre anni di guerra atroce – è la questione della Nato. Trump non ha mai nascosto, era una sua fissazione anche durante il primo mandato 2016-2020, l’intenzione di «rivalutare radicalmente» lo scopo, la missione e forse l’esistenza stessa della Nato come la conosciamo oggi e lega il sostegno degli Stati Uniti all’Alleanza Atlantica a un consistente aumento della spesa per la Difesa da parte degli alleati.

Per l’Europa la necessità di rafforzare le proprie difese e di assumersi maggiori responsabilità all’interno della Nato diventa ora una questione più urgente, anche tenuto conto delle divisioni nella Ue e dell’aperto boicottaggio dell’Ungheria di Viktor Orbán, che si è già accreditato come l’uomo di Trump nel Vecchio Continente. L’asse franco-tedesco è quasi un ricordo con Emmanuel Macron indebolito e la coalizione di Olaf Scholz sull’orlo del collasso.

Israele

Chi ha brindato sicuramente al successo di Trump è Benjamin Netanyahu, che potrebbe avere, nel giro di due mesi, una mano ancora più libera contro Hamas, Hezbollah e in prospettiva anche con l’Iran degli ayatollah. Il risultato del 6 novembre ha fatto tirare un sospiro di sollievo al governo israeliano che si è scontrato più volte con l’amministrazione democratica di Joe Biden su Gaza e sul Libano. La prima Casa Bianca di Trump aveva del resto già dato grandi soddisfazioni a Netanyahu, quando, in contrasto con molti alleati Usa, aveva riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e aveva accettato la sovranità israeliana sulle alture del Golan. Brindano anche i coloni e chi, come l’ultradestra israeliana, preme per nuovi insediamenti anche nella Striscia di Gaza.

Cina

In Europa se ne è parlato di meno, ma il tema più importante nella politica estera della nuova Casa Bianca saranno i rapporti con la Cina. La seconda superpotenza mondiale è pronta alla guerra commerciale nel caso Trump dovesse seriamente dare seguito alle minacce di aumentare i dazi con l’obiettivo di ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni cinesi, in particolare in settori critici come l’elettronica, l’acciaio e i prodotti farmaceutici.

La Cina rappresenta inoltre il problema più impegnativo per la sicurezza nazionale americana. Il suo leader Xi Jinping, che resterà al potere a lungo, ha promesso che il colosso asiatico diventerà la prima potenza economica, militare e tecnologica al mondo entro il 2049, il centesimo anniversario della rivoluzione di Mao. A oggi è già la potenza nucleare in più rapida crescita, con un programma che è diventato chiaro durante il primo mandato di Trump e si è accelerato durante quello di Biden. Il nuovo avvicinamento tra Mosca e Pechino (sia pure con qualche frizione), i legami sempre più profondi con la Corea del Nord e l’Iran, la conquista economica di gran parte dell’Africa rappresentano per gli Stati Uniti una minaccia globale. Elbridge Colby, un ex funzionario del ministero della Difesa Usa che viene indicato come uno dei prossimi responsabili della politica estera nella nuova Casa Bianca di Trump, sostiene da tempo che gli Stati Uniti devono concentrarsi più sull’Asia che sull’Europa, più sulla Cina e meno sull’Ucraina.

Chi potrebbe rimetterci di più da uno scontro Usa-Cina è per assurdo Taiwan, da sempre alleato decisivo degli Stati Uniti. Negli ultimi mesi Trump (e i suoi uomini) hanno criticato Taiwan sostenendo che non dia abbastanza agli Stati Uniti in cambio del loro sostegno alla difesa. Da un punto di vista militare l’isola è fondamentale nella strategia Usa e la Casa Bianca non può rinunciare a questa alleanza, ma Trump potrebbe chiedere a Taiwan – proprio come fa con l’Europa sulla questione Nato – di aumentare la percentuale del Pil che spende per le sue forze armate. E un’altra preoccupazione per i governanti della “piccola Cina” viene da Elon Musk, il più grande finanziatore di Trump, che ha suggerito al presidente di trasformare Taiwan in una zona amministrativa speciale della Cina, di farla diventare come Hong Kong.

Elon Musk

Il proprietario di Tesla, SpaceX e X (ex Twitter), che è attualmente l’uomo più ricco al mondo, è stato dopo Trump il vero protagonista di questa campagna elettorale e ora è pronto a raccogliere i frutti del suo totale appoggio a The Donald. Si prepara a nuovi ingenti guadagni, ha fatto cambiare idea a Trump sulle auto elettriche e vuole avere voce in capitolo su nuove leggi del lavoro, sulla riduzione delle aliquote fiscali e la possibilità – in barba a qualsiasi conflitto di interessi – di ottenere più contratti governativi per la azienda spaziale SpaceX.

Clima e Onu

La prima cosa che farà, una volta insediatosi alla Casa Bianca a gennaio sarà quella di ritirare nuovamente gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi dopo che gli Usa vi erano rientrati con la presidenza di Biden. Inoltre avrebbe intenzione di limitare la cooperazione degli Stati Uniti con le organizzazioni delle Nazioni Unite che la sua precedente amministrazione aveva aspramente criticato, a iniziare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. E il fatto che – come più volte annunciato in campagna elettorale – il prossimo ministro per la Sanità possa essere Robert Kennedy Jr., complottista e negazionista del Covid, spiega meglio di ogni analisi quale sarà la sua politica in questa materia così delicata.