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Esteri
dicembre, 2024

Tycoon Zelig in versione ipercattolica

“Dio ha risparmiato la mia vita per salvare il nostro Paese”, ha detto il presidente eletto. E la comunità più integralista lo ha premiato come in passato aveva fatto con Biden

Trump will fix it» era lo slogan che, fino a pochi giorni fa, ondeggiava nei comizi della campagna presidenziale di Donald Trump. Il tycoon aggiustatutto ha promesso di riparare gli Stati Uniti da inflazione, criminalità e immigrazione, malgrado siano già in calo dall’amministrazione che lo precede, quella di Joe Biden. In cosa Trump sarà “Il restauratore”, però, lo ha molto chiaro la comunità bianca che basa l’American way of life sui princìpi fondamentalisti cristiani: professionisti, mamme orgogliose, tik toker che vedono nel quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti il prescelto garante dell’ordine divino: «Alcuni mi hanno detto che Dio ha risparmiato la mia vita per una ragione e questa ragione è salvare il nostro Paese e riportare l’America alla sua grandiosità», ha detto Trump. La pensano allo stesso modo i cattolici che lo hanno sostenuto, come Catholic Vote, un’associazione di laici nata nel 2005 col proposito di garantire e difendere i valori cristiani nell’agenda politica della Casa Bianca: «Trump ha preso i voti della maggioranza dei cattolici in ben 40 Stati, il più largo margine dai tempi di Ronald Reagan. I cattolici hanno visto in lui la promessa di cambiare rotta con una maggioranza fondata sulla solidarietà e sul bene comune», spiega Brian Burch che, alla guida di Catholic Vote, ha supportato Trump in stati chiave come Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona, Georgia, North Carolina, Florida e Nebraska.

 

Secondo Nbc News, in 10 Stati, il 58 per cento dei cattolici ha votato per Trump contro un 40 che ha scelto Kamala Harris: un sorpasso notevole rispetto al 2020 quando – stando agli exit poll della Cnn – il 52 per cento degli americani cattolici aveva votato per Biden contro il 47 per cento che aveva scelto il tycoon. In realtà, secondo Patrick Whelan, medico fieramente democratico e fondatore dell’associazione Catholic Democrats, i numeri non mostrano una vittoria così schiacciante: «La campagna di Trump ha battuto quella di Harris per 18 punti percentuali fra i cattolici. Questo cosa significa? Che molti cattolici moderati sono rimasti a casa e non hanno votato», spiega, puntualizzando anche la disparità di risorse economiche rispetto ad associazioni reazionarie come Catholic Vote: «Il gruppo che fa capo a Brian Burch ha speso oltre venti milioni di dollari per supportare Trump negli Stati in bilico. Una differenza sostanziale rispetto alla nostra associazione di volontari».

 

La partita del voto cattolico si è giocata nei cosiddetti swing State come la Pennsylvania, lo Stato che ha alimentato la narrativa religiosa della politica di Trump: l’attentato sventato lo scorso 13 luglio prima, la convention del Partito repubblicano che si è chiusa il 18 luglio con la scelta del vicepresidente J. D. Vance poi, hanno fatto il resto. Con Vance un valore astratto come la speranza, il motto dei manifesti di Barack Obama, diventa la promessa pratica di una prosperità annacquata dal sogno democratico: «Sono nato in una cittadina dell’Ohio che era cresciuta intorno a un’acciaieria che non ha fatto altro che perdere posti di lavoro e speranze», scrive Vance nella sua biografia Elegia Americana (Garzanti, 2017). Lui, il ragazzo nato da una famiglia povera dell’Ohio, dal «destino segnato» dalla povertà, che riesce a laurearsi a Yale e si converte al cattolicesimo nel 2019, rimpiazza l’epica laica di Obama-Harris con quella religiosa del country boy can survive, per citare l’inno dei bianchi delle zone rurali: «Vance non si è mai staccato né dalle sue radici né dalle sfide di crescere nei contesti più poveri delle working class. Agli americani che si sono sentiti abbandonati dal loro governo, Vance parla di riscatto», sostiene Burch e lo confermerebbero i numeri: ad Associated Press John Fea, professore di storia alla Messiah University di Mechanicsburg, Pennsylvania, ha spiegato come i cattolici della classe operaia che avevano votato Biden nel 2020 – facendo perdere Trump per 80mila voti – non pensavano che fosse il candidato perfetto, ma almeno era uno di loro. Oggi il tycoon ha vinto nello Stato dove un quarto dei residenti resta fieramente cattolico. Per molti di loro, Vance non solo rassicura rispetto a un presidente imprevedibile, ma promette di restaurare il legame fra religione, politica e istituzioni nella promessa di una prosperità spirituale, quindi economica.

 

Kamala Harris, invece, ha remato contro: «Siete al raduno sbagliato», aveva liquidato i contestatori cristiani in un comizio a La Crosse Wisconsin, alimentando lo scetticismo degli elettori indecisi. Alla vigilia delle elezioni, ha poi snobbato l’Al Smith Dinner, l’evento benefico cattolico più importante dell’anno a cui partecipano politici di entrambe le fazioni, e a cui nessun candidato presidenziale si era mai sottratto dal 1984. È, però, sui temi della libertà religiosa e dell’aborto che si è consumata la vera distanza fra Kamala Harris e gli elettori cattolici. Come procuratrice generale della California, Harris ha sostenuto il Reproductive fact act, che avrebbe imposto a tutti centri per la gravidanza, anche i cattolici, di promuovere l’aborto. Pena? Multe salate, come quella richiesta ad alcune suore cattoliche che ritenevano immorale l’interruzione volontaria di gravidanza: «Credo che Harris abbia fatto sentire le persone come isolate e percepite come razziste, sessiste, patriarcali, come se le nostre idee non siano più le benvenute nella società», puntualizza Burch. Per i democratici cattolici come Whelan, invece, quello dell’aborto è un paradosso: «Per 40 anni il numero degli aborti negli Usa è calato e l’Affordable care act, l’iniziativa dell’amministrazione Obama-Biden che ha allargato la copertura dell’assicurazione a circa 50 milioni di persone, proseguiva in questa direzione. Con il ribaltamento della Roe vs Wade – che garantiva il diritto federale all’interruzione volontaria di gravidanza – il numero degli aborti è, invece, aumentato e ora peggiorerà sempre di più».

 

Poco importa che la first lady, Melania Trump, nella biografia scriva: «È fondamentale garantire che le donne abbiano autonomia nel decidere se avere figli, in base alle proprie convinzioni, libere da qualsiasi intervento o pressione da parte del governo». Con la vittoria di Trump è sentita l’idea che i diritti delle donne siano al capolinea. Da questa frustrazione, alcune attiviste hanno preso parte al Movimento “4B”, nato in Corea del Sud come strumento di lotta per le disparità di genere attraverso una castità imposta come ultimo atto di ribellione alla società patriarcale, per negarsi, di fatto, agli uomini americani. Eppure, proprio fra i cattolici americani, il movimento A Million Women, riunitosi lo scorso 12 ottobre a Washington per supportare il tycoon, ha invocato l’eroina dell’Antico Testamento Esther come icona di femminilità rea- zionaria nell’America di Trump: «Dovremmo incoraggiare i nostri figli a sposarsi e ad avere figli. Dovremmo insegnare loro che il matrimonio non è solo un contratto, ma un’unione sacra e, nella misura del possibile, per tutta la vita. Dovremmo scoraggiarli da comportamenti che minacciano la stabilità delle loro famiglie» ha scritto Vance a esergo del libro Dawn’s Early Light: taking back Washington to save America, scritto dal controverso Kevin Roberts, presidente della Heritage foundation e volto pubblico del Project 2025, un progetto politico di ultra-reazionario. Con la promessa della prosperità divina, i cattolici conservatori si sono ripresi Washington per renderla il faro di valori religiosi che in Europa, anche a Roma, sono visti come sbiaditi.

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