Il medico racconta uno spaccato di cosa succederà continuando a sottofinanziare l'Ssn, cedendo il passo alla sanità privata

Viaggio nella sanità italiana del 2030. Oggi è il 9 febbraio, uno di quei giorni in cui alzarmi dal letto diventa una mission impossible. Mi chiamo Luca, classe 1999, lavoro in fabbrica, da quasi 6 anni mi hanno diagnosticato il morbo di Crohn, una malattia infiammatoria dell’intestino che mi ha intrappolato in un corpo che si ribella contro di me. Purtroppo siamo nell’Italia del 2030, dove il diritto alla tutela della salute è diventato un privilegio riservato solo a chi può permetterselo. Sono un naufrago in un oceano di disuguaglianze, mi aggiro tra le macerie del nostro Servizio Sanitario Nazionale, una volta fiore all’occhiello del Paese, ora un circo di marionette che obbediscono senza dignità alle regole del libero mercato. La mia malattia è il mio carceriere personale, una scusa per spremere il mio portafoglio fino all’ultima goccia. Ogni appuntamento medico è un’odissea attraverso un labirinto di prenotazioni da fare, di autorizzazioni da ottenere, di polizze assicurative da rinnovare.

 

Se me l’avessero detto quando ancora ero sui banchi di scuola non ci avrei creduto: la mia salute si è trasformata in un gioco d’azzardo, dove le carte da puntare sono inaccettabili: dolore, sofferenza, vita. Mentre affronto le sfide quotidiane della malattia, mi chiedo dove sia finito il Ssn istituito nel 1978 per tutelare la salute delle persone come sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Possibile che, come cittadini, non ci siamo accorti che stavamo inesorabilmente perdendo una così grande conquista sociale? Mentre sono assorto in questi pensieri un dolore acuto all’addome mi lascia senza fiato: non posso ignorarlo, so che devo cercare aiuto. Mi faccio portare nel posto di cui mi sono sempre fidato: un ospedale pubblico, relitto di un’epoca d’oro svanita. Arrivato al Pronto Soccorso mi trovo catapultato in un girone infernale. Le file si snodano lungo i corridoi come serpenti velenosi e i malati gemono nel dolore e implorano per una mano che non arriva. Medici e infermieri sono talmente pochi che non sanno di chi occuparsi prima e io sono solo un numero nella loro infinita lista d’attesa. Il medico che alla fine mi visita è un’anima coraggiosa, un angelo caduto in questo inferno.

 

Con mani esperte esamina la mia condizione, ascolta il mio respiro affannato, legge il dolore nei miei occhi. Eppure, anche lui è schiavo di un sistema che non risparmia nessuno: «Mi dispiace, Luca. Secondo i nostri standard l’intervento di cui hai bisogno non è urgente. Vai pure a casa, prendi questi farmaci e spera di stare meglio. Torna solo se dovessi peggiorare». Le parole mi colpiscono al cuore come un pugnale. Mentre torno verso casa il dolore si fa più intenso. Svoltando l’angolo resto abbagliato dall’insegna luminosa di una elegante clinica privata. Entro. Mi accolgono a braccia aperte, ma i loro falsi sorrisi mi fanno rabbrividire: «Possiamo fare l’intervento. Ma se non ha un’assicurazione, deve pagarlo. Il prezzo sarà molto, molto alto». È la mia vita: ovvio che sono disposto a pagare fino all’ultimo centesimo. Così, mi trovo disteso su un lettino, circondato dal sibilo di apparecchiature e dall’incomprensibile chiacchiericcio di medici e infermieri. L’anestesia mi avvolge, le luci del soffitto svaniscono, mi auguro che al risveglio tutto questo sarà solo un brutto ricordo. Ma quando torno in me, l’incubo è appena cominciato: i miei occhi si posano sul salatissimo conto, che è già lì sul comodino. Mi hanno salvato, sì, ma subito dopo si sono trasformati in carnefici, seppellendomi sotto una montagna di debiti che annientano la speranza di una vita normale. È assurdo: sono un malato, non sono un consumatore, non posso essere schiavo del mercato. Sono un essere umano, con diritti da tutelare e dignità da conservare, e non accetterò di piegarmi a un sistema che mi considera solo un numero su una fattura. Voglio riscrivere le regole: e so che non sarò solo nella mia battaglia. C’è una generazione di malati, professionisti e cittadini che sta alzando la testa, pronta a combattere per un’Italia dove la tutela della salute non può essere un privilegio, ma deve tornare a essere un sacrosanto diritto costituzionale. Salviamo il nostro Servizio Sanitario Nazionale. #SalviamoSSN

 

Nino Cartabellotta è Presidente e Fondatore Gimbe, Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze