Politica
19 dicembre, 2025Il tono del saluto del presidente alle alte cariche lo fa soprattutto ciò di cui non parla: il ritardo nella manovra di bilancio, il referendum sulla giustizia, l'esito del Consiglio europeo. In sala il ministro dell'Economia Giorgetti non c'è
Sorpresa: dopo tanti discorsi forti, e anche duri, il tono del discorso di Sergio Mattarella alle alte cariche l’ha fatto ciò che non c’era, ciò che non è stato detto. Al Quirinale, insieme agli auguri di fine anno, è arrivato un saluto per sottrazione.
Saltava all’occhio la mancanza di tre argomenti. Il ritardo nell’esame della legge di bilancio che a cinque giorni dalla Vigilia non ha ancora registrato un voto, con tensioni nella maggioranza che sono arrivate a manifestarsi con la sedia rimasta vuota del ministro dell'Economia Giorgetti; l’approssimarsi del referendum sulla riforma della giustizia, principale appuntamento elettorale del 2026 e che molto deciderà sui successivi; l’esito del consiglio europeo, così distante dalla direzione che il Quirinale auspicava alla vigilia.
Su questi tre punti il capo dello Stato non ha voluto dire alcunché.
Segno, per i primi due, di una volontà quasi esplicita di distribuire pacatezza in direzione di Giorgia Meloni, accontentata e scontentata nelle varie sfumature e sottointesi (come quando ha parlato della «affidabilità» dell’Italia, scansando il meloniano «credibilità»); e invece un silenzio freddo per quel che riguarda il terzo, le decisioni prese in Europa, sulle quali del resto il Capo dello Stato e la presidente del Consiglio avevano già avuto modo di confrontarsi e apprezzare le reciproche differenze.
Per quel che riguarda i rapporti tra Europa e Stati uniti, la relazione transatlantica così pesantemente messa in forse da Donald Trump, Mattarella ha detto tutto nell’incipit, citando l’aspirazione alla «pace permanente» del presidente americano Frankin Delano Roosevelt e ricordando i soldati americani venuti a morire in Europa per costruire nella pace «una nuova civiltà». Un «patrimonio» che ha definito «irreversibile», in qualche modo non sabotabile, fuori portata anche per i Trump di oggi.
Sulla democrazia e i suoi rischi, come sulla Russia e Putin, Mattarella ha detto molto già nel discorso del 15 dicembre agli ambasciatori. Qui si limita a sottolineare che «il modello democratico oggi appare sfidato da Stati sempre più segnati da involuzioni autoritarie che, contro la storia, si propongono come modelli alternativi», ma la democrazia è «più forte dei suoi nemici, soprattutto dov’è stata edificata con sacrificio».
Ricordando che nel 2026 ricorreranno gli 80 della Repubblica, Mattarella ha insistito parecchio sul problema dell’astensionismo, avvertendo che «una democrazia di astenuti, di assenti, di rassegnati è una democrazia più fragile, e a subirne danno sono i cittadini». Mentre, dopo i passaggi sullo stato dell’economia e del lavoro, più enfasi ha dato alla necessità di «programmi a lungo termine, impegni e sacrifici che riguarderanno le generazioni a venire», e tra queste ha inserito il tema della difesa comune europea alla quale contribuire («anche se poco popolare non è stata mai così necessaria»), perché«sicurezza nazionale e sicurezza europea sono oggi inscindibili».
I capannelli d’ingresso e quelli d’uscita, tutti amichevoli, si segnala un divertito confronto a tu per tu tra Elly Schlein e Gianfranco Fini, mentre in un angolo Dario Franceschini si informava dal neo Governatore Roberto Fico sulla giunta campana e il ministro Guido Crosetto scherzava contento mentre il ministro Foti è svicolato via rapidamente.
In sala assente la sensazione di star facendo la storia.
L’unico davvero entusiasta era il presidente del Senato Ignazio La Russa, che nel suo breve discorso introduttivo ha fatto una summa attenta di tutto ciò che riteneva di dover ricordare: i morti sul lavoro, le carceri e i detenuti, le forze armate e le forze dell’ordine, e naturalmente le donne, chiamate in molti modi, addirittura «sorelle».
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