Zone contese
Beni comuni, l'Italia resta a geometria variabile
Da Napoli a Bologna, Da Torino a Brindisi. Le amministrazioni delle città italiane che cercano delle soluzioni per preservare gli spazi autogestiti
L’Italia dei beni comuni è a geometria variabile. Se a Roma regna il caos, in altre città si sperimentano soluzioni per gestire spazi destinati a cultura, welfare e iniziative sociali. Giunte con sfumature politiche diverse stipulano accordi con associazioni, cooperative, fondazioni bancarie per rivitalizzare aree abbandonate, sottoutilizzate, occupate. Ha fatto discutere la recente intervista rilasciata da Alessandro Barbero a La Stampa, in cui il professore giudica positivamente il progetto del Comune, governato dal sindaco dem di Torino Stefano Lo Russo, di trasformare il centro sociale Askatasuna in bene comune, con biblioteca, aula studio e servizi per le fasce più deboli. È la spia di una visione: nel capoluogo piemontese è attivo un network che riunisce otto Case di quartiere, concesse in comodato d’uso dal Comune. «La nostra esperienza riesce a tenere insieme lo spontaneismo dei cittadini attivi con il Comune e la Compagnia San Paolo», afferma Roberto Arnaudo, direttore della Rete delle Case di quartiere: «È una modalità che si diffonde a macchia d’olio, collaboriamo anche con Bologna e Brindisi».
Se nella città pugliese è attiva la rete di dieci spazi del Comune tra centro e periferia, a Bologna – dove il sindaco Matteo Lepore governa con una maggioranza Pd-5Stelle – da un anno è stato rinnovato il Regolamento sulle forme di collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni, che comprende patti di collaborazione, libere forme associative, laboratori e la rete di 33 case di quartiere. A Napoli, infine, dove di recente è stata approvata la delibera per il conferimento e alienazione del patrimonio comunale al fondo previsto dal “patto per Napoli” (il sindaco Gaetano Manfredi è sostenuto da una coalizione molto ampia), è ancora in vigore il provvedimento voluto nel 2014 dall’allora sindaco Luigi de Magistris, che ha trasformato i centri sociali. «I beni comuni rappresentano ancora una sfida alla concezione classica della gestione degli spazi dismessi. Con la nuova giunta registriamo un cambio di rotta», dice Chiara Capretti, consigliere della II municipalità di Napoli e attvista dell’ex Opg Je so’ pazzo: «Nella nostra città, che ha un forte debito pubblico, il Comune cerca di fare cassa. Noi siamo fuori dalla logica della valorizzazione economica».