Belle storie
I genitori che riscrivono la storia di Taranto: «Così abbiamo portato l'Ilva davanti alla Corte di Giustizia Ue»
Con la causa contro l'acciaieria sono arrivati fino a Lussemburgo per chiedere che la lesione del diritto alla salute e alla vita - loro e dei loro figli - venga risarcita. E soprattutto fermata. Come Davide contro Golia
Nel nostro Paese, da anni, si consuma una strage che mina la salute ed è collegata all’inquinamento. E il silenzio ne è complice. Dello stabilimento ex Ilva-Acciaierie d’Italia si parla quando i politici si rinfacciano i fallimenti e le responsabilità reciproche, ma quando si parla di adulti e di bambini ammalati, di morti, di malformazioni cala l’indifferenza e non ci si schiera. Non spaventano i veleni che hanno messo a rischio la salute dei cittadini?
Nel 2022 un rapporto dell’Onu ha definito Taranto come una «zona di sacrificio», una macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità. Vivere è un diritto, non può essere un sacrificio e difenderlo non può interessare solo il territorio coinvolto. Nel rapporto delle Nazioni Unite si legge: «Spesso create dalla collusione di governi e imprese, le zone di sacrificio sono l’opposto diametrale dello sviluppo sostenibile, danneggiando gli interessi delle generazioni presenti e future. Le persone che abitano le zone di sacrificio sono sfruttate, traumatizzate e stigmatizzate. Sono trattate come usa e getta, le loro voci ignorate, la loro presenza esclusa dai processi decisionali, la loro dignità e i loro diritti umani calpestati».
Massimo Castellana è il portavoce dell’associazione “Genitori tarantini”, che dal 2015 si batte per tutelare il diritto alla salute della comunità e la sua dignità. I componenti dell’associazione, ancora prima di unirsi, erano già impegnati nel sociale perché la lotta contro l’azienda era già in atto da anni. «Alcune donne decisero di fondare questo gruppo che si chiamava “Donne e Futuro per Taranto libera”, al quale aderimmo anche noi uomini per aiutare i minori».
Nel 2021 dieci associati e un bambino affetto da una malattia genetica rara hanno presentato presso il Tribunale di Milano, sezione Imprese, un’azione inibitoria contro Acciaierie d’Italia holding spa, Acciaierie d’Italia spa e Gruppo Ilva in amministrazione straordinaria spa, chiedendo la cessazione delle attività dell’area a caldo dell’ex Ilva per porre fine alle condotte che provocano danni ai residenti, «per la lesione del diritto alla salute e del diritto al tranquillo svolgimento della vita familiare causati dall’inquinamento da parte di impianti tuttora non rispettosi delle norme di qualità ambientali».
Il Tribunale delle Imprese di Milano ha sospeso la causa sull’inibitoria trasmettendo gli atti alla Corte di Giustizia dell’Ue a Lussemburgo per porre sostanzialmente tre quesiti sull’interpretazione della normativa europea in materia di emissioni inquinanti di impianti industriali in relazione alle norme italiane. «Davanti alla Corte di Giustizia eravamo noi genitori con i nostri due avvocati, mentre la controparte è arrivata con tredici avvocati. È stato un momento solenne: si materializzava tutta la nostra battaglia. Noi come Davide contro Golia. Abbiamo investito tutto, con dei rischi; i nostri straordinari legali hanno lavorato pro bono e hanno fatto un lavoro encomiabile».
La class action risarcitoria, presentata nel 2022, è stata firmata da 136 adulti e un bambino dell’area di crisi: Taranto, Massafra, Crispiano, Montemesola e Statte. Il 18 aprile prossimo ci sarà l’udienza di comparizione delle parti. «Vogliamo riscrivere la storia di Taranto. Vogliamo che la Bellezza vinca sulle brutture».