I "casi" ripetuti, le accuse del Congresso, le denunce che piombano da ogni parte: anche se le pratiche predatorie del social network allarmano il mondo intero, gli utili crescono e il titolo in Borsa vola

L’inizio del 2024 è stato rovente per Mark Zuckerberg, padre padrone di Facebook, l’antesignano e di gran lunga il più potente dei social network. Il 31 gennaio è rimasto impietrito durante la sua audizione al Congresso, quando il senatore repubblicano Lindsey Graham lo ha apostrofato bruscamente («È consapevole che avete le mani sporche di sangue?») durante la discussione di un disegno di legge sulla tutela dei minori dagli abusi. Zuckerberg era stato convocato appunto per parlare del potere dei social network; dopo cinque minuti di silenzio, a testa bassa ha risposto: «Chiedo perdono per tutto il dolore che tante famiglie hanno sofferto». E ha aggiunto: «Stiamo investendo massicciamente per prevenire cyberbullismo e violenza». Ma pochi giorni dopo, il sindaco di New York, Eric Adams, ha denunciato alla magistratura lo stesso capo di Facebook assieme a quelli di Snapchat e TikTok: richiamando un’azione legale simile avviata in California nel 2022, il sindaco vuole che vengano punite «le tattiche di marketing aggressive e gli algoritmi che attirano, intrappolano e alimentano la dipendenza nei giovani, esponendoli a contenuti dannosi e contribuendo alla crisi della loro salute mentale». Non è finita. Il 16 febbraio a Monaco di Baviera si apre la Conferenza mondiale sulla sicurezza. In mattinata, la doccia gelata dell’uccisione di Aleksei Navalny con la moglie Yulia, presente alla Conferenza, che scandisce: «Putin pagherà per quello che ha fatto». Subito dopo, contenuta la commozione generale, si arriva all’ordine del giorno: i social network, ancora loro, Facebook ma anche YouTube, TikTok e gli altri, devono impegnarsi in quest’anno pluri-elettorale a non ospitare «deepfakes», le fake news al quadrato fabbricate con l’intelligenza artificiale. Anche stavolta, Zuckerberg & Co. s’impegnano a correggere il tiro.

 

Per Facebook non potrebbe essere più amaro il ventesimo compleanno. Il padre di tutti i social è stato lanciato il 4 febbraio 2004 come una goliardata fra gli allievi di Harvard (che Zuckerberg lascerà senza essersi laureato): «Era un rating della fuckability delle studentesse», ha puntualizzato con un’espressione-shock che non si può tradurre il docente di Computer science, Cory Doctorow, in una conferenza il 6 febbraio a Berlino intitolata a Marshall McLuhan. Proprio l’istituto dell’Università di Toronto che porta il nome del padre della massmediologia, scomparso nel 1980, è stato diretto per quindici anni da Derrick De Kerckhove, che ora spiega: «Zuckerberg ha proseguito sulla strada dell’inizio, con arroganza e insolenza. Il cyberbullismo è solo l’ultimo anello di una catena: Facebook ha mandato alla Casa Bianca un personaggio come Donald Trump, ha provocato la Brexit, ha seminato caos e turbolenze nel mondo arabo, ha persino interferito con la guerra civile in Myanmar».

 

De Kerckhove, ottant’anni portati garibaldinamente, adesso vive in Italia e tiene corsi di Sistemi e tecnologie per la comunicazione all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Dice ancora: «Quello che è incredibile è che non si sia fermata in tanti anni questa macchina impazzita. Hanno giocato col fuoco e ci siamo scottati tutti. Con il dettaglio che Zuckerberg e gli altri padroni di Big Tech sono nel frattempo diventati super-miliardari». Però forse siamo ancora in tempo: «Voglio sperare in qualche forma di ravvedimento. È sicuramente un ottimo segnale che, proprio alla Conferenza di Monaco nei giorni scorsi, Zuckerberg e i capi di Google (da cui dipende YouTube, ndr), Amazon, ByteDance (proprietaria di TikTok) e simili, si siano impegnati a un lavoro comune per controllare i contenuti dei social, fissando incontri periodici ravvicinati. Se riusciranno a coinvolgere Elon Musk il cerchio sarà completo, anche se ho i miei dubbi sull’adesione del capo di X (l’ex Twitter, ndr). Comunque l’impegno è preso ed è molto confortante vista la minaccia che incombe su tutte le elezioni di quest’anno, dall’Europa agli Usa». Vedremo come andrà, «considerando che ora – aggiunge De Kerchove – c’è l’incognita addizionale dei prodigi dell’intelligenza artificiale e dei diabolici abusi che rende possibili, come i discorsi e gli annunci falsi di questo o quel leader perfettamente imitato».

 

 

L’elenco delle cadute di Facebook, non solo di stile come quella iniziale, è impressionante. Tutte le volte si è rialzato e lo scivolone ha lasciato delle ferite che però si sono incredibilmente sempre sanate. Lo scandalo più grave scoppia il 19 marzo 2018, quando lo stesso gruppo conferma quanto pubblicato due giorni prima dal New York Times: Cambridge Analytica, una società di gestione dati a fini pubblicitari, ha carpito da Facebook (con il suo consenso, come ammetterà il 10 aprile successivo Zuckerberg sempre davanti al Congresso) una miriade di informazioni personali riservate su 87 milioni di elettori americani. Il “pentito” dell’occasione si chiama Aleksandr Kogan, è un Data scientist che se le è inventate tutte pur di ottenere i dati (come un finto questionario sanitario spacciato per «solo uso accademico»), ricostruendo perfino il profilo di «terzi» usando gli account Facebook. Il tutto per confezionare annunci personalizzati, quindi certamente più convincenti, per la campagna vincente di Trump nel 2016. Non solo: la società inglese ha usato, sempre con la complicità di Facebook, la stessa procedura in plateale violazione della privacy per il voto sulla Brexit nello stesso anno e anche per le elezioni in Messico del 2018. Alla fine Zuckerberg viene multato per 5 miliardi dalla Federal Trade Commission (e 500 mila sterline dall’autorità di controllo britannica perché la Cambridge Analytica ha davvero sede nella celebre città universitaria), Facebook perde in Borsa oltre 100 miliardi di capitalizzazione e il giudice federale rinuncia all’azione penale, ma impone una rigida revisione delle regole interne sulla privacy.

 

Un impegno abbastanza disatteso: stavolta è il Washington Post a pubblicare, il 26 ottobre 2021, i “Facebook papers”, dossier di nefandezze consegnato alla Sec (l’autorità di controllo sulla Borsa americana) da Frances Haugen, giovane e promettente dirigente del gruppo che ha abbandonato disgustata. L’obiettivo è massimizzare la durata di ogni visita di un utente a Facebook, per il quale il tempo è denaro. I metodi sono diabolici: si scopre per esempio che attirano molto di più i messaggi astiosi, se non di odio, quelli che solo oggi Facebook si è impegnata a contenere, rispetto alle faccine sorridenti. Così, l’azienda ci mette più del dovuto a eliminare i post violenti e mendaci, e addirittura 13 mesi a cancellare l’account del gruppo suprematista Qanon che così ha tutto il tempo per organizzare, appunto via Facebook, l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Sotto accusa poi le carenze di controlli su Paesi che non parlano inglese, dal Myanmar all’Etiopia fino al mondo arabo, dove il social network assomiglia a un Far West di messaggi deliranti. I “papers” rivelano poi che mentre Zuckerberg asseriva di aver eliminato il 94% dei messaggi di odio e violenza, fonti interne del gruppo riducevano questa percentuale al 5%. Anche sul benessere mentale dei giovani il dossier è illuminante: uno studio interno tenuto segreto rivela che l’esposizione a Instagram (dello stesso gruppo ridenominato dal 2020 Meta) peggiora il rapporto con il proprio corpo del 22% delle ragazze.

 

Il quartier generale di Meta a Menlo Park, in California

 

Chissà se, un inciampo dopo l’altro, Facebook applicherà regole più rigide. «Più che altro è da capire se il suo obiettivo è solo di arricchire gli azionisti, Zuckerberg in testa», riflette il massmediologo De Kerckhove. Quanto a questo, gli è riuscito benissimo: il titolo in Borsa, che valeva un anno fa 250 dollari, viaggia oggi sui 500. Zuckerberg è il quarto uomo più ricco al mondo secondo Forbes, con 167 miliardi di fortuna personale. I ricavi del gruppo Meta (di cui Facebook è ampiamente la voce principale) sono arrivati nel 2023 a 135 miliardi di dollari, dai 117 del 2022, e l’utile a 39 miliardi, anch’esso in rialzo a doppia cifra. Mistero invece sul numero degli utenti: Facebook avrebbe, a quanto ha confermato la casa madre americana, 2 miliardi di utenti attivi, che arrivano a 3 considerando Instagram e WhatsApp, anch’essi parti integranti di Meta. Quasi metà della popolazione terrestre. Ma c’è un dubbio mai chiarito: sono utenti “fisici” o vengono conteggiate anche le migliaia di account di polisportive, centri culturali, associazioni di ogni tipo? Rimane uno dei tanti misteri di Facebook.