Un'emergenza che colpisce soprattutto il Sud. Come denuncia il report Svimez, i divari tra i territori crescono a causa di un Sistema sanitario pubblico sempre più debole. Così aumentano gli investimenti dei privati

In Italia vivono due donne: Sofia a Bologna, Maria a Reggio Calabria. Hanno entrambe 60 anni, lavorano come impiegate ma il futuro che le aspetta potrebbe essere molto diverso. Sofia da quando ha compiuto 50 anni si è sottoposta periodicamente ai controlli al seno previsti dal Sistema sanitario nazionale. Ha scoperto a 55 anni di avere un principio di tumore e ha cominciato subito le cure previste dal sistema pubblico, frequentando i presidi sanitari locali non lontani da dove abita.

 

Maria, invece, ha iniziato a sentirsi male, stanca e priva di energie dopo aver compiuto i 60 anni. E solo dopo aver fatto i controlli, ha scoperto di avere un tumore in fase avanzata e di dover essere operata: ha deciso di effettuare l’intervento chirurgico in una regione del nord, come il 43 per cento delle donne della sua Regione a cui viene diagnosticato un tumore al seno.

 

Sofia non ha avuto contraccolpi né di salute né economici. Maria ha dovuto affrontare un lungo viaggio e far fronte alle spese per lei e per i familiari che l’hanno assistita. E il suo caso non è un'eccezone: Sono 629 mila i migranti sanitari in Italia, quasi la metà si sposta da Sud verso Nord.

 

 

Nel video diffuso da Svimez, associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, che accompagna il report "Un paese, due cure" presentato il 7 febbraio, si capisce quanto i due sistemi sanitari, quello dell’Emilia Romagna e quello calabrese, siano differenti. E godano di investimenti molto diversi da parte dello Stato: a fronte di una media nazionale per la spesa sanitaria per abitante di 2.140 euro, quella più bassa si registra proprio in Calabria, 1.748 euro.

 

A dimostrare che il divario interno al sistema nazionale pubblico si riflette anche sulle vite delle due donne ci sono i dati: secondo Istat negli ultimi 10 anni, in Emilia Romagna il tasso di mortalità per tumore al seno si è ridotto del 17 per cento. In Calabria è cresciuto del 2 per cento. E anche la speranza di vita cambia in base al territorio di nascita: chi abita al Sud vive in media 1,3 anni in meno rispetto a chi è nato nel resto del Paese. Sebbene, come si capisce dal report Svimez, la debolezza del sistema sanitario italiano sia generalizzata. Anche a causa delle scarse risorse pubbliche destinate a finanziarlo. Se messa a confronto con gli altri Stati Ue, ad esempio: l’Italia investe in media il 6,6 per cento del Pil per la sanità, contro il 9,4 per cento di Germania e l’8,9 per cento di Francia. «Da un lato, il bilancio nazionale della sanità non copre integralmente i Lea, quelle prestazioni e servizi che dovrebbero essere offerti in quantità e qualità uniformi in tutto il territorio nazionale. Dall’altro, la distribuzione regionale delle risorse non rispecchia gli effettivi bisogni di cura e assistenza dei diversi territori», si legge nel rapporto.

 

Così, per tappare i buchi del Ssn che eroga sempre meno prestazioni, in concomitanza con la riduzione delle risorse pubbliche, crescono gli investimenti dei privati nella sanità. Che però non si fanno carico del principio di equità scritto nella Costituzione che prevede che la tutela della salute sia per tutti, anche per gli indigenti. E trasformano l'accesso alla cura in un privilegio, solo per chi può permetterselo: in base alle stime del Crea, il centro per la ricerca economica applicata in sanità, sono 1,6 milioni le persone che hanno dovuto rinunciare alle spese sanitarie per motivi economici o si sono impoverite per sostenerle. La povertà sanitaria si concentra soprattutto nel Mezzogiorno, dove affligge l’8,2 per cento dei nuclei familiari, quasi il doppio rispetto a chi vive nel resto del Paese.