Una nuova inchiesta internazionale dell'Espresso e Icij mette in luce il continuo traffico illecito di legname del Myanmar, che serve all'industria nautica, ma finanzia il conflitto nel paese asiatico

L’ultima operazione è scattata a novembre. Dopo una serie di indagini coordinate dall’Europol, la centrale europea delle forze di polizia, i carabinieri hanno bloccato un carico illegale di legname che non sarebbe mai dovuto arrivare in Italia: un container con tonnellate di teak, ricavato dall’abbattimento di alberi secolari delle foreste primordiali della Birmania, fra i polmoni verdi del pianeta. È il legno più prezioso al mondo e doppiamente proibito: la sua importazione è vietata non solo dalle norme ambientali varate nel tentativo di fermare la deforestazione, ma anche dagli accordi internazionali che hanno decretato un embargo economico contro una dittatura impopolare e violenta.

 

Il traffico di teak è infatti una delle più importanti fonti di finanziamento del regime militare, che il primo febbraio 2021 ha deposto e arrestato con un colpo di Stato il governo di Aung San Suu Kyi, la presidente rieletta democraticamente nel 2020. Nonostante le sanzioni dell’Occidente, il prezioso legname birmano continua a essere contrabbandato sul mercato europeo e americano, come riconferma il blitz dei nostri carabinieri.

 

Esattamente un anno fa L’Espresso, in collaborazione con decine di giornalisti investigativi coordinati dal consorzio Icij, ha pubblicato l’inchiesta “Deforestation Inc” per far luce sulla corsa al disboscamento che colpisce gran parte del globo, dal Brasile alla Russia, dal Canada al Cile, e sulle lacune dei sistemi di controllo e certificazione che dovrebbero garantire la legalità delle produzioni e dei commerci di legname. L’inchiesta ha mostrato che, dal 1998 fino all’anno scorso, più di 340 aziende detentrici di marchi verdi di sostenibilità erano in realtà finite sotto accusa per reati ambientali, pratiche illegali di deforestazione e violenze contro le popolazioni indigene. Il caso limite è una società brasiliana che, nonostante 36 multe per disboscamento dell’Amazzonia, ha ottenuto la certificazione ecologica.

 

 

A un anno di distanza, 44 testate internazionali, fra cui Le Monde, Paper Trail Media, Der Spiegel, IrpiMedia e L’Espresso per l’Italia, sono tornate sul tema con una nuova indagine che si è concentrata sul teak birmano. Secondo la contabilità ufficiale del ministero del Commercio, tra ottobre 2021 e giugno 2023 il Myanmar ha esportato legname per un valore di oltre 235 milioni di dollari. E l’Italia, nonostante l’embargo, ha continuato a essere uno dei maggiori importatori europei, ma non il solo. Un’analisi del consorzio Icij sui dati doganali statunitensi (raccolti nel database Importgenius) mostra come, nel solo 2023, le imprese americane abbiano acquistato almeno 300 tonnellate di teak del Myanmar attraverso esportatori di Yagon, base commerciale del Paese asiatico. Fra loro c’è una piccola azienda del Maryland che è addirittura nella lista dei fornitori della Casa Bianca.

 

Tra gennaio e ottobre 2023, quindi a due anni di distanza dal varo delle sanzioni europee contro la dittatura militare e contro l’azienda di Stato (gestita direttamente dai generali) che ha il controllo monopolistico sull’industria del teak, le imprese italiane hanno importato prodotti in legno dal Myanmar in misura maggiore di qualsiasi altro Paese europeo, per un prezzo all’origine di oltre 3,3 milioni di dollari. Il teak birmano serve soprattutto alla nautica per ponti e coperture di yacht e navi di lusso, perché presenta caratteristiche ideali di resistenza a funghi, insetti, agenti chimici e usura. A causa dell’embargo, il prezioso teak non potrebbe essere utilizzato, ma secondo la Forest Declaration Assessment, che raggruppa numerose organizzazioni ambientaliste internazionali, il Myanmar rimane uno dei Paesi con il più alto tasso di deforestazione al mondo.

 

 

I dati italiani sono stati forniti a L’Espresso da Fedecomlegno, associazione nazionale degli importatori di legno e derivati, che fa parte di Federlegno Arredo Confindustria. Il presidente, Alessandro Calcaterra, spiega: «Non preoccupano tanto le importazioni dirette dal Myanmar, che stanno scendendo a zero e non sono paragonabili alle grandi quantità del passato. Il problema sono le triangolazioni, in particolare quelle che coinvolgono l’Indonesia e l’India». Per aggirare le sanzioni, il regime birmano esporta il pregiato legname soprattutto in quei due Paesi, che poi lo rivendono ai clienti finali europei o americani. «L’India ha recentemente scoperto di possedere foreste di teak nelle proprie regioni del Nord, al confine con la Birmania: un fatto piuttosto anomalo, se si considera che quel tipo di legname risultava scomparso fin dal 1300. L’Indonesia, invece, gode ancora di un accordo preferenziale di import-export con l’Europa, in base al quale la verifica di legalità viene fatta all’origine, quindi deresponsabilizzando gli importatori da qualsiasi obbligo di controllo», conclude Calcaterra che da anni si batte per arginare questi fenomeni di concorrenza sleale.

 

Dopo l’inchiesta “Deforestation Inc”, sia il governo degli Stati Uniti sia la Commissione europea si sono impegnati a rafforzare i controlli. Da qui derivano le operazioni come il raid dei carabinieri italiani di novembre, che fa parte di una più ampia azione di contrasto condotta dalle forze europee. L’Europol afferma che il commercio illegale di legname è la seconda fonte di entrate più redditizia per la criminalità, seconda solo al traffico di droga. E nonostante negli ultimi dodici mesi le importazioni di teak si siano ridotte dell’80 per cento, lo stop effettivo è legato all’introduzione di una più stringente normativa europea, che prevede rigorosi sistemi di tracciamento per identificare l’origine del legno. La nuova disciplina, chiamata Eu Deforastation Regulation, riguarda tutti i prodotti delle foreste e dovrebbe consentire ai cittadini europei di avere la certezza della sostenibilità del cacao da assaporare, del parquet da mettere in casa, della carta o dell’olio di palma. Per ogni carico importato è previsto un codice digitale che deve essere apposto all’origine. Senza quel codice, la merce non può entrare in alcun porto europeo. Ma diversi Paesi hanno già avvertito di non avere personale sufficiente per eseguire i controlli richiesti. Ad esempio, la Romania ha ammesso di non avere nessun ispettore, il Belgio schiererà 10 funzionari anziché i 22 inizialmente dichiarati necessari, l’Olanda (che ha il porto più grande d’Europa, Rotterdam) avrà solo sette addetti. E l’Italia? Il nostro ministero dell’Agricoltura non ha risposto alle domande del consorzio Icij e de L’Espresso. Ma un fatto è certo: la direzione ministeriale chiamata a controllare le importazioni fatica a svolgere le proprie verifiche, perché riceve i dati dall’Agenzia delle Dogane circa sei mesi dopo che il legname è già stato sdoganato nei porti. E solo sulla base di quei dati, poi, i carabinieri forestali possono avviare le successive indagini. Questo ritardo strutturale del sistema dei controlli spiega perché è così difficile concretizzare qualche sequestro di legame illegale.

 

Se le autorità europee hanno varato, bene o male, nuove regole per contrastare la deforestazione a livello globale, il governo italiano si è mosso in direzione opposta. In un decreto legge con norme di ogni tipo, dai trasporti alle opere strategiche, varato il 10 agosto 2023, l’attuale maggioranza politica ha inserito un comma che liberalizza le motoseghe anche nei boschi protetti. «Per incentivare e sviluppare le potenzialità della filiera nazionale» dei produttori di legname, la nuova norma ha abolito «qualsiasi obbligo di preventiva autorizzazione paesaggistica».

 

 

Prima di questa grande riforma, per poter abbattere distese di alberi secolari nelle zone vincolate (non le normali campagne, ma i boschi protetti da norme nazionali o regionali) era necessario chiedere e ottenere un via libera dalle autorità pubbliche di controllo e tutela dell’ambiente e del paesaggio. Ora le aziende del settore possono far partire subito le motoseghe. I controlli sulla legalità del disboscamento si faranno in seguito, dopo aver tagliato le piante.

 

Secondo gli ultimi dati (aggiornati al 2023) dell’Inventario forestale italiano, nel nostro Paese si contano ancora più di undici milioni di ettari di boschi, soprattutto sulle montagne o in zone spopolate o inaccessibili: un patrimonio verde che finora è sopravvissuto alla progressiva cementificazione e devastazione del territorio. Ma solo il 31 per cento di questa superficie alberata è inserito in aree protette. E due terzi dei boschi italiani (il 66,4 per cento del totale) sono di proprietà privata.

L’ipotesi che tutti i produttori di legname possano autoregolarsi e rispettare volontariamente i limiti, dopo l’abolizione del sistema delle autorizzazioni pubbliche, è già smentita dai fatti.

 

Gli avvocati del Gruppo d’Intervento giuridico (Grig) hanno censito i risultati di tre anni di indagini dei carabinieri e dei corpi forestali delle Regioni a statuto speciale: ne risulta che dal 2020 al 2022 in Italia sono state applicate ben 14.737 sanzioni amministrative per tagli illegali di boschi. La media è di oltre dieci multe al giorno. In quasi un decimo dei casi, sono state accertate violazioni tanto gravi da far scattare denunce penali contro oltre 700 accusati (con 14 arrestati) per un totale di 1.122 reati ambientali: boschi distrutti nelle parti intoccabili dei parchi naturali, o nelle aree a rischio di frane o alluvioni e altri abusi di ogni tipo.

 

Gli esperti che hanno scritto le nuove regole europee spiegano che gli alberi sono la miglior difesa contro il dissesto idrogeologico, la crisi climatica, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Ma in Italia comandano le lobby del cemento e delle motoseghe, oggi più che mai.