Deforestation Inc

Soldi italiani al regime birmano: così il legno dei super yacht finanzia i generali golpisti

di Scilla Alecci, Paolo Biondani, Gloria Riva e Leo Sisti   3 marzo 2023

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La nazione asiatica è il primo produttore mondiale di teak. Dopo il colpo di Stato la giunta militare è sotto embargo, ma controlla lo sfruttamento delle foreste. E molte società continuano a comprare il prezioso legname per riesportarlo in tutta Europa

Le foreste dei super poveri distrutte per fabbricare gli yacht dei super ricchi. Un disastro ecologico e sociale che viene nascosto con le etichette verdi: tante belle certificazioni di sostenibilità e rispetto della natura, che alla prova dei fatti si rivelano infondate. È il cosiddetto greenwashing, il finto ambientalismo, che aggira le leggi contro la deforestazione, aggrava la crisi climatica globale e colpisce direttamente i territori e le popolazioni più misere del pianeta.

Questa inchiesta giornalistica, coordinata dal consorzio Icij, ha analizzato i dati sulle importazioni di legname in più di cinquanta Paesi, dall'Europa all'Asia, dalle Americhe alla Nuova Zelanda. I cronisti di 40 testate internazionali, tra cui L'Espresso e IrpiMedia (in esclusiva per l'Italia), hanno identificato 48 società di certificazione che hanno rilasciato attestati di sostenibilità ambientale a imprese accusate di aver devastato foreste e boschi protetti, falsificato permessi e concessioni, organizzato commerci illegali di legno e prodotti derivati.

L'inchiesta, chiamata «Deforestation Inc» (Deforestazione spa), documenta che negli ultimi 25 anni, dal 1998 all'inizio del 2023, almeno 347 imprese del settore del legname hanno ottenuto certificazioni ecologiche anche se erano state denunciate pubblicamente, per gravi violazioni ambientali, da autorità locali, grandi organizzazioni ecologiste e spesso anche da agenzie statali. Almeno 50 di queste aziende hanno potuto vendere prodotti in legno con le etichette verdi di sostenibilità perfino dopo essere state sanzionate o condannate nei processi. E questa mole di casi è solo la parte visibile del problema: molti governi non pubblicano i nomi delle società (e dei manager) responsabili dei reati ambientali.

I 140 giornalisti che hanno collaborato per mesi a questa attività di ricerca, organizzata dallo stesso consorzio Icij che rivelò i Panama Papers, hanno scoperto aziende certificate che hanno comprato legname da fornitori accusati di disboscamento illegale in Romania. Hanno abbattuto distese di alberi in aree protette della Finlandia. Hanno importato carichi di legno da nazioni sanzionate, sotto embargo internazionale e perfino da zone di guerra. Hanno distrutto foreste indigene in Canada. Hanno fatto affari con società accusate di sfruttamento del lavoro minorile in Indonesia, con manager coinvolti perfino in casi di omicidio.

Per l'Italia il problema più grave riguarda le importazioni di teak. La Birmania (Myanmar) è il primo produttore mondiale di questo legno, considerato il più prezioso del mondo, perché è oleoso e impermeabile, dunque è fondamentale per l'industria nautica, soprattutto per le barche di lusso. Da più di mezzo secolo la nazione asiatica è oppressa da una feroce dittatura militare. I generali si sono ripresi tutto il potere nel febbraio 2021 con un sanguinoso colpo di stato, con oltre 2600 morti, un milione e mezzo di rifugiati all'estero e retate di massa per stroncare le proteste popolari, fino all'arresto della presidente democratica Aung San Suu Kyi, già premio Nobel, deposta con il golpe.

La casta dei militari controlla tutte le risorse naturali, compreso il teak: la società statale Mte ha il monopolio per lo sfruttamento delle foreste. Le coltri di alberi secolari che ricoprivano gran parte della Birmania continuano a ridursi: negli ultimi vent'anni è stata disboscata una superficie equivalente alla Svizzera. Dal 2014 l'Unione europea ha imposto obblighi speciali di controllo e certificazione a tutti gli importatori di teak, con l'obiettivo di frenare la deforestazione. Dal giugno 2021, per punire la giunta golpista, la Ue ha messo al bando le società statali Mte e Fpjv (che lavora il legno ed è controllata dalla prima) con sanzioni simili a quelle poi applicate alla Russia.

«Da allora, in teoria, non si potrebbe più importare nulla dal Myanmar, neppure un truciolo», riassume Alessandro Calcaterra, presidente di Fedecomlegno, l'associazione italiana degli importatori di legname. «In realtà tra gennaio e novembre 2022 l'Italia ha continuato ad acquistare l'83 per cento del teak birmano arrivato in Europa».

La giunta militare ha dichiarato, nel 2022, di aver incassato 106 milioni di dollari in meno di un anno con le esportazioni di questo legname. «Secondo i nostri, dati le imprese italiane hanno versato 18,2 milioni di euro su un totale europeo di 22,5», dice Calcaterra, che conferma l'inefficacia pratica del sistema dei controlli, suddivisi tra quattro diversi ministeri, carabinieri forestali, magistratura e apparati doganali di ciascuna nazione. «Noi di Fedecomlegno collaboriamo con le autorità italiane e abbiamo fatto una grande azione di convincimento sui nostri iscritti: molte aziende hanno scelto di non acquistare più teak da foresta, che esiste solo in Myanmar, per sostituirlo con quello delle piantagioni, create negli ultimi decenni anche in Africa o Sudamerica. Ma il teak migliore per le barche, con l'effetto rigato, si ricava solo dagli alberi secolari della Birmania. Quindi il mercato della nautica ha continuato ad acquistarlo per i super yacht e per alcuni tipi di barche a vela e navi da crociera. Solo nel corso del 2022, grazie alla nostra moral suasion, molte società italiane hanno optato per prodotti sostitutivi: sughero, legni termo-trattati, teak da piantagione. Ma un gruppo di aziende ha deciso di uscire dalla nostra associazione».

Ora gli affari segreti sul teak birmano sono documentati da una serie di atti finora inaccessibili, provenienti dagli uffici fiscali e doganali del regime, condivisi con il consorzio Icij da un'organizzazione per i diritti umani, Justice for Myanmar, un'associazione internazionale per la trasparenza, Distributed Denial of Secrets, e un sito inglese di giornalismo investigativo, Finance Uncovered. Tra molte operazioni finora sconosciute, queste carte birmane mostrano, ad esempio, che il 7 dicembre 2021, cioè sei mesi dopo le sanzioni, la società di regime Mte ha registrato l'abbattimento di tonnellate di alberi di teak in una foresta in teoria protetta: un carico di legname che risulta esportato nell'aprile 2022 verso l'Italia.

L'intermediario è una ditta privata birmana, Win Enterprise, il destinatario finale è una società friulana, Comilegno srl, mai coinvolta in scandali o indagini giudiziarie, che pubblica sul suo sito una regolare certificazione ecologica. Qui sotto pubblichiamo uno dei documenti del regime che confermano l’esportazione di teak in Italia anche dopo le sanzioni. Secondo le carte ottenute dal consorzio Icij, la stessa società italiana, negli ultimi due anni, avrebbe comprato più di 80 tonnellate di teak birmano.

La Win Enterprise ha continuato a fare mediazioni sul legname del regime con molte altre aziende occidentali, almeno fino a tutto il 2022, nonostante le sanzioni. Nell'estate 2021, mentre i generali scatenavano la repressione più violenta, la stessa Win ha venduto teak birmano per oltre 100 mila dollari a una società americana, J. Gibson McIlvain, che in passato ha fornito mobili e prodotti in legno anche alla Casa Bianca. Il suo manager ha risposto al consorzio che quel carico sospetto risultava tagliato prima del 2021, per cui poteva sfuggire legalmente alle sanzioni. La regolarità di quell'importazione è attestata dalla stessa ditta di Singapore, Double Helix Tracking Technologies, che ha certificato i carichi veduti dalla Win alla Comilegno.

Anche l'amministratrice della società italiana, Fabrizia Comisso, ha chiarito di aver acquistato solo teak che risultava tagliato prima delle sanzioni, come risulta da quelle certificazioni. E ha aggiunto di non aver trattato con aziende statali, ma solo con la Win, conosciuta come «una società privata, che non ha alcuna connessione con il regime». Comunque, per prudenza, ha concluso la manager e azionista di Comilegno, «abbiamo deciso non comprare più teak dalla Birmania».

L'Espresso ha contattato molte altre società italiane, che hanno fornito risposte dello stesso tipo: confermano di aver comprato teak birmano anche negli ultimi due anni, ma spiegano che era tutto certificato e risultava tagliato già prima delle sanzioni. Sulla carta le autorità di regime identificano addirittura il singolo albero che viene segato, numerato e timbrato: sono queste carte birmane che permettono alle società di certificazione di rilasciare le etichette verdi. Le verifiche sul posto sono rarissime.

Justice for Myanmar contesta però l'intero sistema delle certificazioni: «Non ha alcun senso giustificare le importazioni con documenti prodotti da un regime dittatoriale: i generali cercano il massimo profitto, corrompono i controlli e violano sistematicamente le norme internazionali».

Win Myo Thu, l'esperto di ambiente che guidò la campagna di ispezioni nelle foreste disposta nel 2018 dal governo democratico, conferma che già prima del golpe era «praticamente impossibile» verificare il rispetto delle regole sul disboscamento nelle aree più remote. E aggiunge che le sue ispezioni, le prime e uniche mai effettuate in Birmania, hanno dimostrato «enormi discrepanze» tra i dati ufficiali e la realtà verificata sul campo.

Queste critiche, confermate dai dossier dei importanti gruppi ecologisti, hanno spinto alcune nazioni europee, come la Germania, ad anticipare il bando sul legname birmano già dal 2018, dichiarando «non utilizzabili» le certificazioni ecologiche per «l'impossibilità di controllarne l'attendibilità». Nel 2020, dopo una serie di pronunce anche giudiziarie, l'apposito comitato di esperti dell'Unione europea ha votato un embargo totale, per lo stesso motivo: le importazioni birmane «non possono essere certificate». Questa conclusione, però, non è vincolante per i singoli Stati, ma vale solo come «raccomandazione». E in Italia, come conferma il nostro ministero dell'agricoltura e foreste, «non esiste un embargo totale sul legname birmano», per cui «i controlli si fanno», approfonditi e numerosi, ma resta comunque lecito «importare teak legalmente, attraverso società diverse da quelle sanzionate». In altre parole, basta trovare un intermediario con una certificazione di origine birmana, in apparenza regolare.

Pietro Olieni, direttore generale del dipartimento forestale del ministero, sottolinea di aver chiesto «controlli doganali rafforzati sulle importazioni di prodotti in legno dal Myanmar». Ma il teak del regime continua ad arrivare. «Nel luglio 2022 è stato segnalato all’agenzia delle dogane che, nonostante le iniziative intraprese, i dati sulle importazione dal Myanmar non avevano registrato alcuna diminuzione sostanziale», per cui il ministero è tornato a chiedere alle dogane di «attuare misure di controllo più rigorose».

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In questa situazione, a partire dal 2018 il nostro Paese è diventato la porta d'ingresso del teak birmano in Europa. I dati delle dogane, recuperati da Der Spiegel e IrpiMedia, mostrano in particolare che le aziende tedesche, impossibilitate a comprare direttamente dalla Birmania, hanno importato centinaia di tonnellate di teak attraverso società italiane. In gran parte sono imprese con diversi operai e fabbriche proprie di prodotti in legno, che hanno rivenduto carichi all'estero per approfittare del boom dei prezzi. Alcune però sono meri intermediari (broker), come la Timberlux srl, una società senza alcun dipendente, con base vicino a Trieste, che da anni fattura milioni con l'import-export di teak, anche in Germania, pur avendo aperto il primo magazzino-deposito in Italia solo cinque mesi fa. Il suo amministratore e azionista unico, Matteo Rossi, ha risposto alle nostre domande chiarendo che la sua società «ha interrotto le importazioni dal colpo di stato, fin dal primo febbraio 2021», e ha poi rivenduto solo «importazioni effettuate in precedenza», tutte «verificate e accettate come idonee dalle autorità italiane».

Un'altra azienda italiana, Arredoteak srl di Viareggio, ha richiamato l'attenzione dei giornalisti del consorzio perché pubblicizza apertamente sul suo sito, anche in questi giorni, di poter vendere «teak pregiato proveniente dalla Birmania». La società toscana non ha risposto alle nostre domande.

Senza mettere in dubbio la buona fede degli imprenditori italiani, le carte dell'inchiesta sollevano dubbi pesanti sulla neutralità di vari intermediari stranieri. La Win Enterprise, ad esempio, veniva indicata fino a pochi giorni fa come «società controllata» dalla Fpjv, la società statale birmana colpita dalle sanzioni (insieme alla sua capogruppo, la monopolista Mte). La notizia è stata cancellata dal sito aziendale poco dopo che il consorzio Icij aveva mandato le prime domande sui legami con il regime. Non solo. Min Thaw Kaung, un azionista di Win Enterprise, è stato addirittura nominato direttore della stessa Fpjv nel luglio 2021, sei mesi dopo il colpo di Stato. Kaung ha però replicato al consorzio di aver lasciato la società statale nel settembre 2021, assicurando: «Da allora non ho più alcun coinvolgimento in Fpjv né in Mte».

Il controllo e il possibile blocco delle importazioni in Italia spetta alla dogane, che non hanno risposto alle nostre domande. I carabinieri forestali possono verificare solo la regolarità delle carte per i carichi già arrivati e magari riesportati: «Facciamo da anni centinaia di controlli e li abbiamo aumentati notevolmente dopo le sanzioni», spiega il tenente colonnello Claudio Marrucci, che però non nasconde le lacune del sistema legale italiano: «Per verificare un singolo carico, dobbiamo tradurre centinaia di pagine di documenti scritti in lingua birmana. Per contestare un reato serio, dovremmo dimostrare che è stato commesso un illecito in quella nazione. Di fatto riusciamo a contestare solo contravvenzioni e infrazioni amministrative, che possono essere impugnate, ridotte o annullate nei vari gradi di giudizio». Il ministero precisa che le aziende importatrici rischiano «multe fino a mezzo milione di euro e la confisca del legname». Ma di fatto i carabinieri, nell'ultimo anno, pur avendo contestato numerose violazioni, sono riusciti a far pagare alle società sanzionate, in totale, «circa 50 mila euro».