Comizi d'amore
Demisexual, asexual, sapiosexual: nel sesso a ognuno il suo. E la coppia resta l'unico ancoraggio
Parole nuove e dizionari, manuali e antologie tentano di descrivere il caos delle relazioni
Io rientro in una patologia erotica che secondo me, se state leggendo questo giornale, riguarda molti di voi. Sono “demisexual”con tratti marcati da “sapiosexual”. L’ho scoperto da poco, grazie ai nuovi dizionari sul sesso, e sento il bisogno di costituirmi, se non altro per sdoganare la nostra segreta perversione.
Beh, non è proprio una patologia, ma un orientamento. Il demisexual si sente attratto sessualmente da persone con le quali ha anche una connessione emotiva, e il sapiosexual, in particolare, dalla loro intelligenza.
Il termine sapiosexual era già comparso nel 2012 nell’Urban dictionary, ma è diventato corrente nel 2014, quando la dating app di incontri Ok Cupid lo ha inserito in un orientamento sessuale preciso. Oggi esistono anche app specifiche come la Sapio-intelligent dating e Sapiophile, a selezionare provvidamente i temerari interessati al campo.
Ma c’è una cosa, sappiate, che rende singolare tutto questo, stavo per dire imbarazzante: il demisexual fa parte, in tutte le mappe sul tema, della categoria asexual, quasi a intendere che se hai bisogno di connessione emotiva e intellettuale, e non sei del tutto indiscriminato e libero nell’approccio sessuale, come accade invece, per dire, ai nostri amatissimi gatti e cani, hai un deficit di sessualità. C’è pure una bandiera per dirlo, dove nel grigio dell’asessualità (greysexual) si muovono a graduarla il viola e il rosa, e la vedremo sventolare il 6 aprile, per l’International Asexuality Day, giornata nata nel 2021 per «promuovere una campagna mondiale di informazione, celebrazione e solidarietà riguardo all’intero spettro dell’Asessualità».
Per il normosexual dunque l’empatia e la sintonia non sono importanti (quando non deterrenti, o impedimenti) nell’attrazione? Parrebbe di sì. Ma siamo fuori strada. Il normosexual non esiste. Orientarsi, incasellarsi e poi evadere beffardamente dalla nuova selva di categorie e sottoinsiemi è un’avventura, se non del corpo, certo dello spirito.
Allosexual ad esempio, è il contrario dell’Asexual – apprendiamo dall’Aven, cioè “The Asexual Visibility and Education Network”, che ha pure una sezione italiana - perché è il soggetto che prova naturalmente attrazione e desiderio di altri corpi. Da non confondere con l’abrosexual, cioè il soggetto che vive la propria sessualità in modo mutevole e fluido, passando dal pansessualismo all’asessualità senza bisogno di definirsi – e sospetto dunque che non sarà felice di vedersi affibbiato un’etichetta. (La più scorretta e infelice, come etichetta, è comunque skoliosexual, che definisce chi è attratto da persone trans, non polarizzate o in transizione: skolio significa storto, deviato. Perché non cercarne una più rispettosa?).
Se arrivati a questo punto non avete ancora trovato la vostra definizione, il che forse vi inquieta o rassicura, un attimo di pazienza. Ce n’è per tutti. Ad esempio, il cupiosexual, che come dice la parola stessa (potenza inerme dell’etimo, così cedevole ai nostri slanci manipolativi!) è il soggetto che pur provando regolarmente (cupidamente) desiderio di sesso non prova alcuna attrazione sessuale – e questa è forse la beffa peggiore, degna di un sadico contrappasso dantesco.
In realtà, l’idea alla base del complicato atlante è quella di liberare la sessualità da ogni vincolo e definizione di normalità/devianza, per lasciarla libera di muoversi in ogni direzione o forma, tutte legittime e di pari valore. Di fatto, in questa volontà tenace di etichettare e definire, forse si ottiene l’esito contrario, costringendo in appositi spazi ciò che al contrario si vorrebbe emancipare dalla costrizione sociale e lessicale, dal conformismo dei ruoli.
Però. Se non ci fossero queste categorie come vivrebbero gli spettrosexual, cioè quelli che provano attrazione per chi rientra in un preciso spettro e categoria di gusti sessuali? C’è bisogno di amore. C’è urgenza, fatica, spreco e rabbia d’amore. Mai come oggi. Piovono sul mercato antologie di versi e film d’amore, manuali di manutenzione e cura, come trovarlo e come liberarsene, quando è tossico e quando fuggire. Fioccano on line tutorial sul come guarirne o riconquistarlo, strategie sistemi e trucchi per rinascere e rigenerarsi, rassodando anima e corpo tra yoga, tricotting e dieta.
Se l’amore è un linguaggio, in un mondo in continua mutazione perdiamo l’alfabeto, la sintassi. Annaspiamo voraci e indigenti, scettici e disincantati. Siamo tutti analfabeti d’amore, funzionali. E la famigerata coppia? È un dramedy, infinito e irrinunciabile. Nel nostro caos di segni e bisogni, aperta o monogamica, fluida o asessuale, cede ma resta. Binaria o multipla, queer e metamorfica, si sfalda e si rinnova, riproduce. Con narrazione regolare, con inizio e fine, o frammentata nel tempo, destrutturata, resta spesso lo spazio più semplice e naturale per fronteggiare la solitudine, la paura e l’ansia di una società conflittuale e violenta, precaria e insicura sul lavoro e nelle strade, fra relazioni avare o false, strumentali.
In un ambiente devastato, fra città e persone lasciate a sé stesse da istituzioni assenti o malfunzionanti, in un mondo orientato al profitto, dove tutto è merce e mercato, la coppia appare e può essere l’unico ancoraggio, un baluardo di intimità e fiducia, progetto e rifugio insieme, di cura e solidarietà. Un microcosmo portatile. E pazienza se è sempre una “relazione complicata”, come attesta Facebook nel profilo di chi vuol dichiararlo. Lo diceva Troisi col suo spietato candore: «Io ci credo nel matrimonio! Però un uomo e una donna non sono le persone più adatte per sposarsi».
Meno male che resta, fermo e indelebile alle offese del tempo, l’amore detto sui muri.Io voglio a te, solo a te, x sempre a te. Mi manki Sebastiano.
Mara, rimanerai per sempre nel mio cuore.
Scatto una foto, ne farò un file. E salverò con nome.