Il ministro dei Trasporti per contare deve scegliere il nuovo amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, ma il gioco di sponda fra Fratelli d'Italia e Forza Italia rischia di tenerlo ai margini. Meloni invece pensa solo a Cassa depositi e prestiti. Tutti i nomi in ballo

Per non spaventare i lettori, e annoiarli oltremisura, che è assai peggio, brevemente si premette: questo è un pezzo che parla di nomine nelle aziende di Stato senza parlare davvero di nomine nelle aziende di Stato. Non è una regola. È un obbligo morale. Tutto qui. La grossa tornata s’è tenuta lo scorso anno. Quest’anno la portata principale è Matteo Salvini. Lo scorso anno c’erano di mezzo Eni, Enel, Poste, Leonardo. Il tema era: la presidente Giorgia Meloni, più che il governo intestato a Meloni come summa di percorsi affini e diversi, si avventa sul tavolo imbandito e ne fa strame o lo spartisce con i soci mingherlini di maggioranza?

 

Meloni fu compita e un pizzico ingenua: parecchie conferme per indossare il buon abito istituzionale, e anche per occultare l’assenza di una propria una classe dirigente, e troppe esitazioni con gli alleati che s’erano organizzati la strana coppia per Enel con amministratore delegato Flavio Cattaneo (nuova idea di Salvini) e presidente Paolo Scaroni (da sempre idea di Berlusconi). Un anno fa, un eone fa. I parametri utilizzati lo scorso anno non sono più validi. Sono moneta fuori corso. Forza Italia e la Lega non sono più una minoranza dentro la maggioranza che si aggrega per incidere di più, sono due partiti rabberciati che lottano per sopravvivere, più lottano ferocemente e più Meloni apprezza lo spettacolo. Oggi il tema è: Matteo Salvini verrà umiliato con le nomine nelle aziende di Stato? Quest’anno il calendario degli eventi offre una condizione speciale. Sommando i consigli di amministrazione e i relativi collegi sindacali delle società direttamente o indirettamente controllate dal ministero dell’Economia, in palio ci sono circa 500 posti. Quelli che contano per la stabilità di governo sono tre: Cassa Depositi e Prestiti, Ferrovie dello Stato e, in subordine, la radiotelevisione pubblica Rai. Quello che conta per l’onore di Salvini è uno: l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato. Il motivo è abbastanza intuitivo. Salvini ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti è il referente politico del gruppo Ferrovie dello Stato, la più ricca stazione appaltante d’Italia (25 miliardi di euro col Piano nazionale di Ripresa e resilienza, di cui 18 ancora da spendere) che ha dentro Anas, Trenitalia, Busitalia, Mercitalia e soprattutto possiede la rete di Rfi, i servizi, la logistica, la manutenzione. È pleonastico ricordare che il criterio indispensabile che muove le nomine di Stato non è il merito. Almeno non sempre e non soltanto. Però l’estro dei politici è solitamente contenuto da alcuni fattori esterni, in particolare le rigide norme che riguardano le società quotate in Borsa. Le liste per il cda vanno presentate con un anticipo di tre settimane dall’assemblea degli azionisti. Oppure il candidato deve avere un profilo accettabile per il mercato, riconoscibile, credibile. Quest’anno le decisioni politiche più attese non riguardano società quotate in Borsa, non che i candidabili possano essere inaccettabili, irriconoscibili, non credibili. Un esempio. Per Cassa Depositi e Prestiti, la massima istituzione finanziaria d’Italia seppur non quotata, bisogna soddisfare i requisiti bancari. Comunque per le nomine di rilievo, quest’anno non ci sono scadenze inderogabili. All’occorrenza, ci sono le proroghe automatiche. Perciò Salvini è molto preoccupato.

 

Dario Scannapieco

 

Alle elezioni europee mancano due mesi scarsi. Meloni non ha voglia di scheggiare la campagna elettorale con pericolose trattative per le poltrone. Se la maieutica di maggioranza porta a un accordo, bene. Altrimenti, se ne parla a giugno per Ferrovie dello Stato. È una provocazione, ovvio. Per l’ammaccato Salvini, certo. Quelli di Forza Italia non hanno fretta. Sul serio. Non ne ha il ministro Antonio Tajani che attraversa un momento da capo non osteggiato e neppure sa come sia successo. «Perché mettersi a litigare adesso?», dicono da Forza Italia. Lo scorso anno ai negoziati, in caso di liti, c’era Gianni Letta che ribadiva l’ultima parola di Silvio Berlusconi, che non c’è più, ma Gianni Letta c’è ancora e stavolta ribadisce l’ultima parola della famiglia Berlusconi. Non ha lo stesso peso. Letta è defilato. Mentre lo scorso anno fu l’artefice della strana coppia Cattaneo più Scaroni per Enel. Oggi Forza Italia è rappresentata da Tajani e, in sua vece, dal capogruppo Paolo Barelli. Né Tajani né Barelli né tantomeno Gianni Letta hanno piacere, o interesse, a tutelare Salvini. Ecco la più grossa novità: Salvini non ha più sponde, è ai margini, è isolato, è accerchiato nel partito e nel governo. Se non sceglie o non concorre a scegliere l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, sarà un ministro senza regno. Un ministro farsesco. Scegliere chi, poi? L’attuale ad Luigi Ferraris ha una larga esperienza e un’ottima aderenza alla politica. Fu indicato dal governo di Mario Draghi col supporto di Gianni Letta (l’unico che Draghi ascoltava di Forza Italia, e questo a Super Mario fu fatale per le ambizioni di presidente della Repubblica). Ex direttore finanziario in Finmeccanica, dunque di Enel e infine di Poste nonché amministratore delegato di Terna, in quest’ultimo periodo Ferraris s’è avvicinato molto e molto rapidamente al governo Meloni. Ha studiato, e non ha interrotto, l’ipotesi di quotazione dell’intero gruppo Ferrovie o di una sua società per aiutare il ministero dell’Economia nell’affannosa ricerca di capitali per evitare altre tasse. Era un modo anche per mostrare a Palazzo Chigi la sua abilità con le quotazioni. Le interlocuzioni chigiane di Ferraris hanno infastidito Salvini. Che ormai è diffidente con chiunque. Forse non con Luigi Corradi, l’amministratore delegato di Trenitalia che potrebbe fare il salto in Ferrovie. Per rassicurare chi ci legge o altri che ne hanno a cuore le sorti, è improbabile che Ferraris rimanga libero se non dovesse bissare in Ferrovie. Pare che il fondo americano Kkr abbia già individuato in Ferraris l’ad giusto per la nascitura società della rete unica dopo lo scorporo di Tim. Orbita attorno a Ferrovie, così come a ogni tipo di società pubblica, la figura di Stefano Antonio Donnarumma, l’antesignano della classe dirigente di Fratelli d’Italia per aver partecipato alla conferenza programmatica del partito quand’era all’opposizione. L’ex amministratore delegato di Terna, lo scorso anno, era già materialmente pronto al trasloco in Enel e da allora è una nomina imminente che suo malgrado non si concretizza, però da settembre con la sua società di consulenza collabora con la banca d’affari Equita.

 

Stefano Antonio Donnarumma

 

Per i presidenti del Consiglio degli ultimi dieci anni Cassa Depositi e Prestiti, sebbene la funzione originaria sia quella di gestire il risparmio postale degli italiani, è il ministero più importante del governo. Dunque l’amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti è il ministro più importante del governo e da ciò ne consegue che debba avere un rapporto privilegiato col presidente del Consiglio. Fu quasi scontata nel 2021 la nomina del vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti Dario Scannapieco, bruciato nel 2018 dai ministri gialloverdi di Giuseppe Conte per l’appartenenza alla elitaria cerchia dei draghiani. Gli fu preferito Fabrizio Palermo. Non avvezzo alla politica, come il mentore Draghi, peraltro, Scannapieco non ha conquistato numerosi estimatori nei partiti e, spesso, per conquistarli ha delegato Fabio Barchiesi. Oggi menzionare le attività nel gruppo Cdp di Barchiesi richiede un considerevole spazio, a titolo esemplificativo si ricordano i suoi incarichi di «direttore Sviluppo e Governance di Cdp Equity e Responsabile monitoraggio e implementazione del piano strategico di Cdp e di consigliere di amministrazione di Autostrade per l’Italia». Appena due anni fa, i giornali lo presentarono come il «fisioterapista di Malagò e di Draghi» strappato a Coni Sport Lab, l’Istituto di Medicina dello Sport, per guidare lo staff di Scannapieco. Adesso Barchiesi fa interviste riflessive agli stessi giornali e fa annunci da miliardi di euro oppure decanta gli sforzi per la transizione verde e le belle sinergie di Cdp. Il potere ammanta e blandisce. È Barchiesi che rinfocola le speranze di Scannapieco presso il governo Meloni, frequenta assiduamente Palazzo Chigi e tenta di sfruttare le sue doti di relazione anche col sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, uno snodo meloniano per le nomine.

 

Luigi Ferraris

 

L’azionista di Cdp è il ministero dell’Economia e, se si permette un suggerimento, va consultato pure il ministro dell’Economia. Il ministro Giancarlo Giorgetti poteva avanzare la soluzione Antonino Turicchi, che fu la prima nomina del governo Meloni, presidente operativo di Ita Airways in sostituzione di Alfredo Altavilla (16 novembre 2022, a 22 giorni dal giuramento). Turicchi è caduto in quella che per tanti manager è una fossa delle Marianne, cioè la vendita/il rilancio della compagnia aerea di bandiera. La fusione con i tedeschi di Lufthansa è più che lontana. Come Cassa Depositi e Prestiti. Marcello Sala dal Tesoro potrebbe trasferirsi in Cdp. È direttore generale del dipartimento Economia e Finanze, Giorgetti l’ha inserito in una zona cruciale del ministero. Sala è stato vicepresidente esecutivo di Banca Intesa e quindi ha le competenze tecniche per succedere a Scannapieco. Palazzo Chigi ha il dovere (non diritto) di veto su Cassa Depositi e Prestiti. Meloni vuole seguire il processo di nomine. Su Ferrovie il governo lascia a Salvini la sensazione di essere influente. Tant’è che Fratelli d’Italia potrebbe accontentarsi del presidente designando Tommaso Tanzilli (consigliere in Ferrovie) in quota ministro/cognato Francesco Lollobrigida.

 

Antonino Turicchi

 

L’attuale direttore generale Giampaolo Rossi, come ampiamente previsto e nonostante Fazzolari, sarà il prossimo amministratore delegato della Rai secondo le volontà di Meloni. Altri discorsi per viale Mazzini sono prematuri. È un appuntamento per il dopo voto. Purtroppo per Salvini.