Lo scandalo Toti è il remake di un sistema che non è finito con Tangentopoli. Politici e manager gestiscono miliardi del contribuente. E le aziende che li investono, da Fincantieri a Webuild, sono partecipate statali. E con Fincosit tornano i fantasmi dell’inchiesta sul Mose

Nella nuova diretta stile Grande Fratello sulla corruzione in Italia ogni spettatore può scegliere il suo momento clou. Però se si vuole davvero capire che cosa è Genova bisogna partire dal cazziatone che Gianluigi Aponte di Msc impartisce a Paolo Emilio Signorini, presidente dell’autorità portuale. È il 29 agosto 2022. Aponte, classe 1940, si lamenta dei favoritismi concessi al suo coetaneo Aldo Spinelli per le concessioni delle aree di bacino. Signorini incassa e riferisce a Giovanni Toti. Da bravo giornalista, il presidente della Liguria commenta: «Sarebbe meglio che alcune telefonate non le facessero». Le fecero, ahiloro, e quasi due anni dopo Toti è finito ai domiciliari, Spinelli idem, mentre Signorini è stato addirittura rinchiuso nel carcere di Marassi in compagnia dell’uxoricida Salvatore Cannella.

 

Fra sciò Spinelli e il non indagato Aponte, la tregua armata è arrivata nell’ottobre 2022, due mesi dopo la burrasca telefonica. Ma l’armatore con residenza elvetica, secondo italiano più ricco del mondo con un patrimonio stimato dalla rivista Forbes in 33,7 miliardi di dollari, ha imparato che nel territorio della Superba si entra solo con il permesso dei poteri locali. Su questa mentalità chiusa fino alla grettezza si è innestato in modo paradossale il trauma di un altro giorno di agosto, il 14 dell’anno 2018, quando il crollo del viadotto sul Polcevera ha distrutto la vita di 43 persone. Lì l’ex repubblica marinara è diventata un modello, il modello Genova che non solo ha concentrato sull’area investimenti pubblici per 16,27 miliardi di euro ma ha sostanzialmente spazzato via il labirinto di norme e controlli pensati per frenare l’irresistibile vocazione italiana alla mazzetta. Dal nuovo Morandi, realizzato a tempo di record da Webuild e Fincantieri, alla diga foranea del consorzio Breakwater passando per il tunnel subportuale affidato all’Aspi non più benettoniana e al commissario-sindaco Marco Bucci, non indagato, è stato tutto un tripudio di interventi straordinari. Oggi la magistratura si trova ad analizzare i mille rivoli di un vaso di Pandora che include porto, concessioni, tunnel, diga, strade, spiagge, sanità, supermercati, rifiuti e, come l’oliva nel Martini, un retrogusto di crimine organizzato.

 

Tanta modernità è la patina stesa sulla superficie di eredità antiche, fra l’eredità dei metodi corruttivi stile Prima Repubblica e la furia appaltatrice della legge Obiettivo del 2001. Non è un caso se Genova, e più in genere la Liguria, siano la trincea degli eredi berlusconiani. C’è Toti, con il suo partito-ditta individuale Noi moderati in sodalizio con Maurizio Lupi, l’ex ministro delle infrastrutture costretto a dimettersi nel marzo del 2015 per una faccenda di regalucci impropri, incluso un Rolex al figlio. A Ponente non molla di un millimetro Claudio Scajola, percettore di case a sua insaputa e sindaco di Imperia già da prima che la sua condanna a due anni incassata a Reggio Calabria fosse tombata dalla prescrizione.

 

Non che la sinistra sia stata a guardare. Raffaella Paita, battuta da Toti nelle elezioni del 2015 e attuale coordinatrice di Italia Viva è la moglie dello spezzino Luigi Merlo, ex assessore regionale ai trasporti con Claudio Burlando, a sua volta arrestato, assolto, risarcito per ingiusta detenzione e infine ospite fra tanti del Leila 2, lo yacht di Spinelli. Merlo è il predecessore di Signorini al porto di Genova e ha sfruttato il sistema delle porte girevoli. Oggi è direttore delle relazioni istituzionali di Msc-Aponte.

 

L’aspetto politico viaggia a latere dell’inchiesta ma è rilevante. Il ministro della giustizia Carlo Nordio, ex magistrato, ha espresso dubbi sulla tempistica degli arresti. In realtà, se proprio si deve trovare un cui prodest, il crollo dell’impero di Giovanni Toti con elezioni anticipate è un assist no-look al partito in crescita, dunque a Fdi. Uno dei maggiori problemi di Giorgia Meloni è la sua assenza dalla guida delle regioni del ricchissimo Nord, con la Lombardia, il Veneto, il Friuli a guida leghista, il Piemonte forzista e la Liguria in mano a un ex berlusconiano sommerso dai miliardi targati Mit profusi dalla coppia formata da Matteo Salvini e dal suo vice, il genovese Edoardo Rixi.

 

Eppure nel cocktail del modello Genova una componente domina le altre. In una città rilanciata nel dopoguerra dalle industrie pesanti dell’Iri, lo Stato è tornato padrone sotto altre forme. Il dominio sugli appalti di Webuild, di Fincantieri e di Autostrade per l’Italia ha un denominatore comune. L’azionista di riferimento o di controllo di queste imprese è Cdp equity, la cassa di risparmio degli italiani, che ha lasciato ampia autonomia ai manager.

 

Pietro Salini di Webuild ha conquistato una fetta spessa delle opere dalla diga foranea alla cittadella della tecnologia sulla collina di Erzelli (90 milioni di euro di lavori) con l’aggiunta della Milano-Genova dell’Av ferroviaria, e ha distribuito le carte con maestria.

 

La diga foranea, la più profonda del mondo a cinquanta metri sotto il mare per una lunghezza in superficie di 6,2 chilometri, è tecnicamente impegnativa quasi quanto l’altro azzardo in portafoglio a Webuild, il ponte sullo Stretto. Ma il nuovo Morandi, un’opera semplice sotto il profilo ingegneristico, ha acceso l’entusiasmo. All’apertura dei lavori della diga, nel maggio di un anno fa, la foto di rito ha inquadrato i sorrisi di Toti, di Bucci, di Salvini, di Rixi, di Signorini non ancora trasferito alla multiutility Iren. A quel punto, i giochi societari erano fatti. La diga è stata affidata per direttissima al consorzio Breakwater con Webuild capofila al 40 per cento, seguita da Fincantieri, da Fincosit, entrambe al 25 per cento, e dalla romana Sidra, controllata dai belgi del gruppo De Cloedt.

 

Per il gruppo Grandi Lavori Fincosit (Glf) Genova è stata la luce dopo anni di purgatorio. Glf, che ha un’antica tradizione nei lavori portuali, è risorta dopo il ciclone del Mose di Venezia e del Consorzio Venezia Nuova (Cvn). Per trascinarla fuori dalla crisi giudiziaria che ha portato all’arresto del proprietario del gruppo Alessandro Mazzi nel 2014 (articolo a pagina 12), si sono mobilitate le migliori menti della capitale di qua e di là del Tevere.

 

Uno dei tre commissari giudiziari di Glf, azionista unica di Fincosit, è Antonio Maria Leozappa, esperto in crisi di impresa e vicino al Vaticano che lo ha messo a seguire le vicende dell’Istituto dermatologico dell’Immacolata (Idi). A novembre del 2020 Glf ha ottenuto l’omologazione del concordato e uno sconto sul debito da 270 milioni in modo da lasciare la controllata Fincosit libera di tornare in azione con ottimi risultati: i 52 milioni di fatturato 2021 sono diventati 103 nel 2022. In cima alla catena societaria c’è una piccola srl da 10 mila euro di capitale, la Dona di Donatella Rocco, moglie di Mazzi, e alla figlia Giuliana. L’amministratore unico è Alessandro Mazzi, considerato vicino a Gianni Letta. Il costruttore di origine veronese ha chiuso il processo penale per il Mose con un patteggiamento a due anni, 4 milioni di risarcimento e sospensione condizionale della pena. Anche il danno erariale da 5,3 milioni per la corruzione è stato pagato dal Consorzio dopo un giro complicato di cause incrociate tra Fincosit, Mit e lo stesso Cvn. È bastato aspettare e il rientro nel giro è arrivato puntuale.

 

A risollevare il gruppo Mazzi contribuisce anche la darsena Europa di Livorno, 377 milioni assegnati a Fincosit, Fincantieri e Sidra a fine 2023 dopo la valutazione ambientale Via-Vas.

 

Al porto di Livorno ha lavorato per anni anche Spinelli che, come a Genova, aveva abbinato le banchine al calcio comprando il club toscano e riportandolo in serie A dopo oltre mezzo secolo fino alla serie D e al fallimento nel luglio 2022. Tra il Genoa e il Livorno, l’imprenditore di origine calabrese è stato per 32 anni protagonista dello sport che, più di ogni altro, garantisce visibilità. L’intoccabilità gli è garantita dall’età avanzata, come ha ricordato lo stesso Spinelli che aveva arruolato come consulente l’ex procuratore della Repubblica di Genova Francesco Cozzi.

 

In attesa di sviluppi dell’inchiesta sulla diga, lo scorso marzo il presidente dell’Anticorruzione, Giuseppe Busia aveva lanciato l’allarme sull’appalto da 1,3 miliardi finanziato dai fondi Pnrr, dal Mit e dall’autorità portuale. Il rapporto mandato dall’Anac alla magistratura ordinaria e alla Corte dei conti evidenziava il rischio di costi in aumento per lo Stato. Due mesi dopo, il sistema Genova è sotto gli occhi di tutti. Che tipo di sistema fosse lo ha spiegato il sindaco-commissario Bucci in un’intercettazione. «Mi sembra come quando da piccolo davo da mangiare ai maiali». Aspro, come impone lo stile genovese, ma giusto.