La responsabile alle Pari Opportunità della Lega annuncia una proposta di legge con cui porta per la prima volta nel parlamento italiano una battaglia cara alla destra fondamentalista: «Che male c'è?»

I leader di partito annunciano crociate contro "il gender" da anni ma nessuno è mai stato in grado di spiegare cosa sia. La stessa Giorgia Meloni nel 2019, durante una conferenza stampa nella sede di Fratelli d'Italia confessò: «Ah guardi, io non l’ho mai capito bene. E credo neanche quelli che lo propongono, infatti ne propongono sempre di nuovi». 
Poi arriva Laura Ravetto, responsabile del dipartimento alle Pari Opportunità della Lega dopo 15 anni e 4 legislature dentro Forza Italia con la sua proposta di legge: "Divieto dell'inserimento di obiettivi educativi fondati sulle teorie del gender nell'offerta formativa delle istituzioni scolastiche".
In senso tecnico, all'articolo 1 si legge: "Le istituzioni scolastiche [...] non possono introdurre [...]obiettivi di apprendimento improntati alla cultura gender“.

 

A memoria d’uomo è la prima volta che nel Parlamento della Repubblica entra ufficialmente, per iscritto, questa parolina che da anni incendia le piazze dei fondamentalisti cattolici, viene scagliata contro la comunità Lgbt, urlata nei comizi elettorali. 

«Ma io non sono un'oltranzista del cazzo». Si sfoga Ravetto al telefono mentre difende il progetto di legge che per adesso le ha fatto collezionare solo insulti. Per lei "la teoria gender" ha un significato molto preciso, spiega. «D'altra parte» insiste, stupita dell’altrui stupore «queste sono cose che attengono una sfera prettamente familiare». 

Sappiamo che per "ideologia gender" si intende una categoria polemica creata dal Vaticano verso la fine degli anni ’90 per delegittimare le analisi elaborate dai movimenti femministi ed Lgbt sul sistema di inferiorizzazione che pesa ancora fortemente sulle spalle delle donne o delle persone non eterosessuali. Non per Ravetto, donna di destra «veramente liberale», dice di sé: nel 2016 votò convintamente per le unioni civili, favorevole all'adozione per i single («quindi anche persone gay e lesbiche»), non certo un'oscurantista («La prego lo scriva», ci tiene). 

«Faccio differenza tra educazione sentimentale e sessuale. Non è discriminazione ognuno fa quello che vuole. Lo dico dopo aver esaminato più contesti europei, le faccio l'esempio del Regno Unito: sotto il manto dell'educazione sessuale spiegano cose come binarismo, non binarismo. Poi hanno detto "stop". Se permette quelle cose le spiego io a mia figlia, anche volentieri ma è l’educazione spetti alla famiglia e l’istruzione alla scuola».

 

Onorevole andiamo per ordine: lei fa riferimento all'iniziativa del governo conservatore di Rishi Sunak che ha lanciato una stretta sull'educazione sessuale nelle scuole primarie dell'Inghilterra, limitandola ai bambini dai nove anni in su, con le discussioni "esplicite" su argomenti come la contraccezione da ritardare fino all'età di 13 anni.  Lei parla dunque di educazione sessuale che in Italia però non esiste?
«Ma certo, "gender" è una semplificazione giornalistica».

 

Insomma, nella sua proposta c'è scritto nero su bianco: "ideologia gender"
«Sì e sono contraria anche a questo».

 

A cosa?
«Che si dica ai bambini: tu puoi essere uomo o donna. Guardi può anche farmi passare per transfobica, omofoba, non importa. Ma sappiamo che quando c'è di mezzo l'educazione sessuale si entra comunque in questioni di cui si dovrebbe occupare la famiglia».

 

Ma lei ha presentato questa proposta di legge perché ci sono stati episodi del genere? Può raccontarceli?
«No, però c'è un dibattito in Italia su questo. Ho un'altra proposta di legge che sta andando avanti e che prevede che nell’ora di educazione civica si parli di rispetto delle donne. Ci troviamo di fronte per il 70% dei casi a delitti intrafamiliari o commessi dal partner o dall’ex partner. Su questo si vuole un affiancamento scolastico. Poi c'è il ministro Valditara che inizia a parlare di educazione sentimentale, ecco, io metto un paletto con la pdl contro il gender, dico fermiamoci un passo prima. Se mia figlia dovesse fare un giorno coming out come non binaria, parlerà con me che sono sua madre non con un'insegnante che non so chi è, che studi ha fatto, cosa pensa».

 

Per legge il piano offerta formativa deve essere noto e accettato dai genitori.
«Sì, ma io fisso un principio generale. Poi se ne può discutere. Prenderemo le proposte che ci sono e le metteremo insieme».

 

Ancora non è chiaro del perché lei parli di teoria gender
«Che male c'è?».

 

Non esiste.
«Guardi è una teoria che si basa sul superamento dell'identità di genere dal punto di vista fisico. Non è niente di offensivo, si può dire. La teoria esiste. Come esiste quella scientifica della relatività. Mi vuole dire che non esiste la relatività. Le teorie scientifiche sono provate».  

 

Esiste l'incongruenza di genere. È una condizione riconosciuta a livello scientifico, sanitario e legale. C'è una legge in Italia del 1982 la 164.  Le persone trans esistono, non sono una teoria. Lei fa una politica che esclude le donne trans?
«Se intende quelle che hanno fatto un percorso e sono donne, no. Non le puoi escludere. Io non metto in dubbio tutto questo. La mia legge non è contro le donne trans. Ma metto dei paletti sull'educazione nelle scuole».

 

La sua proposta di legge, nella relazione, esprime dubbi anche sulla carriera alias, cioè uno strumento che esiste dal 2003, inquadrato come un profilo burocratico, alternativo e temporaneo. Dove un nome scelto sostituisce, ad esempio sul libretto elettronico, il nome anagrafico, quello scritto nei documenti ufficiali e dato alla nascita in base al sesso biologico. Se un ragazzo trans in attesa che cambino anche i nomi dei documenti vuole cambiare nome che corrisponde alla persona che è, a lei cosa cambia?  
«Assolutamente nulla ma non è stato applicato così nelle scuole, non come dice lei. Ci sono casi e casi: se c'è una persona che ha fatto un percorso va bene, altro è cambiare nome così da un giorno all'altro. No, non ci sto perché sono tentativi che vanno sempre a discapito delle donne».  

 

Per lei una donna trans che ha fatto un percorso deve essere considerata una donna a tutti gli effetti?
«Lì è diverso. Sono situazione diverse. Ho massimo rispetto per una persona che si sottopone a un percorso, non è un sentiment del momento ma è una cosa maturata tantissimo, spesso anche molto dolorosa. Ma se venisse mia figlia a 11 anni dicendo "Mi sento un uomo" aspetterei un attimo prima di farla sottoporre a un percorso di transizione. Poi se convintamente dirà a 18 anni che è quella la sua identità bene, l'accetterei».

 

La sua proposta ha al momento attirato molte critiche. Sui social è stata anche bersagliata da insulti, nella pagina dell'attivista Cathy La Torre le hanno detto di tutti i colori. 
«Sono una coraggiosa liberale. Ho ricevuto insulti vergognosi ma io ritengo che ognuno possa essere quello che vuole nella sua vita. Ho rispetto per le persone che transitano da un genere all'altro ma queste cose non vanno insegnate a scuola. Non sono un'oltranzista del cazzo. Il problema è che c'è uno scontro ideologico alimentato sia da una destra che non mi appartiene ma anche da quella militanza arcobaleno che è cieca. Io faccio una fatica tremenda per i diritti: ho fatto votare un Odg sulla 194 a 15 deputati della Lega, ho una proposta di legge che parla di educazione e rispetto delle donne. Insomma non mi si può proprio dire nulla».

 

Quindi la sua pdl è contro l'educazione sessuale nelle scuole (che comprenderebbe anche l'identità di genere e l'orientamento sessuale). Ma forse l'aver parlato e titolato una proposta di legge con "teoria gender", parola che viene usata come grimaldello per disumanizzare e attaccare le persone Lgbt, non aiuta alla comprensione.
«Su ideologia potrei darle ragione. Ma su teoria no. Esiste anche la teoria della relatività, ripeto. Poi sa che le dico: se serve per aprire un dibattito essere provocatori è il mio scopo. Lo scriva, non lo faccio per questioni elettorali ma per aprire un dibattito. Parliamone».