Niente "sindaca" o "avvocata". E, chi non si adegua, dovrà pagare cinquemila euro di multa. Non è uno scherzo, ma l'ultimo disegno di legge partorito dal Carroccio. Ma, dopo le polemiche, il partito lo rimuove: «Iniziativa personale, non è la nostra linea»

È durata 24 ore la guerra alla grammatica prima che alla logica, lanciata dalla Lega, impegnata ogni giorno a distinguersi dentro la maggioranza di governo per matrice identitaria.  Dopo lo scontro sul canone Rai e contro obbligatorietà vaccinale, aveva provato a mettere i lacci alla lingua italiana. Basta con "avvocata" e anche con "sindaca", ha chiesto il Carroccio. Una polveriera di critiche e polemiche ha spinto i vertici a giocare allo scarica barile: "La Lega precisa che la proposta di legge del senatore Manfredi Potenti è un'iniziativa del tutto personale. I vertici del partito, a partire dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, non condividono quanto riportato nel ddl Potenti il cui testo non rispecchia in alcun modo la linea della Lega che ne ha già chiesto il ritiro immediato".

 

La proposta di legge "Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere" depositata al Senato, puntava a vietare negli atti pubblici "il genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge". Il testo, porta la firma del senatore leghista minore, Manfredi Potenti militante più vecchio della regione Toscana, iscritto dal 1992, avvocato 42enne di Castiglioncello. Da sei anni in Parlamento, finalmente riesce a portare il suo nome sulle prime pagine nazionali sotto il colonnino "polemica del giorno".

 

Si trattava in realtà di una bozza da sottoporre al drafting, ma è già chiarissima nelle premesse: "La presente legge intende preservare l'integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l'impropria modificazione dei titoli pubblici, come 'Sindaco', 'Prefetto', 'Questore', 'Avvocato' dai tentativi 'simbolici' di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo". 

 

Manfredi Potenti

 

Si legge: "Occorre scongiurare che la legittima battaglia per la parità di genere, al fine di conseguire visibilità e consenso nella società, ricorra a questi eccessi non rispettosi delle istituzioni", si spiega. E, per questo, si ritiene "necessario un intervento normativo che implichi un contenimento della creatività nell'uso della lingua italiana nei documenti delle istituzioni". All'articolo 3 sull'uso della lingua italiana negli atti pubblici è messo nero su bianco il "divieto del ricorso discrezionale al femminile o sovraesteso od a qualsiasi sperimentazione linguistica. È ammesso l'uso della doppia forma od il maschile universale, da intendersi in senso neutro e senza alcuna connotazione sessista". Obiettivo - come recita l'articolo 1 - è "preservare la pubblica amministrazione dalle deformazioni letterali derivanti dalle necessità di affermare la parità di genere nei testi pubblici". Capitolo a parte le multe (articolo 5): "La violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro"

 

Sono insorte così le opposizioni. "È senza confini la misoginia leghista. Ed anche ridicola, espressione di una sotto cultura priva di pensiero e di attenzione perfino a quanto raccomandato dall' Accademia della Crusca", commenta la capogruppo di AVS alla Camera Luana Zanella. Per la collega di partito, Aurora Floridia, questa iniziativa "rappresenta un grave passo indietro nella lunga e faticosa lotta per la parità di genere". Ma anche dal Pd le reazioni non tardano ad arrivare: "Secondo la Lega in nome della lingua italiana dovremmo sanzionare chi l'italiano lo parla correttamente. I trogloditi che per rimuovere il rispetto del genere femminile farebbero di tutto leggano la Treccani", interviene la dem Michela Di Biase. E la senatrice Cristina Tajani, per sostanziare i suoi argomenti, rispolvera una preghiera: "...Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi" ... chissà se il senatore Potenti, che propone di proibire l'uso del femminile professionale, vorrà multare anche i fedeli che recitano il Salve Regina".

 

Critica anche la sociolinguista Vera Gheno che sulle colonne del Corriere della Sera spiega: «In primis, il senatore Potenti e chi ha proposto questo ddl sono persone che ignorano la storia stessa della lingua che dicono di voler difendere: i femminili esistono da tempi molto antichi (si vedano ministra e soprattutto avvocata, uno dei nomi della Madonna), quindi non si tratta di alcuna “sperimentazione”. Secondo, l’idea di sanzionare chi non si adegua alla loro ignoranza è degna dei peggiori regimi totalitari, complimenti. Questa voglia di repressione nei confronti di chi usa il linguaggio di genere è la dimostrazione migliore di quanto queste persone siano in cattiva fede nel momento in cui ne minimizzano la rilevanza: se i femminili fossero poco importanti, non si agiterebbero tanto nel tentativo di vietarli».