Un ciclo di udienze pubbliche coinvolge 265 realtà da tutto il mondo. Si parla anche dei diritti delle popolazioni indigene, dei giovani e del razzismo ambientale

Camila ha 14 anni e senza troppo imbarazzo prende la parola in un’aula piena di adulti. Il microfono all’inizio non funziona. Un piccolo inghippo. Un sospiro e poi: «Recordemos: nada sobre nosotros sin nosotros». Nulla su di noi, senza di noi. Camila rappresenta la Rete latinoamericana e caraibica delle bambine, dei bambini e degli adolescenti, Rednnyas, e siede al fianco di Joselim, 17 anni, di Molacnats, il coordinamento dei movimenti Nats, cioè delle organizzazioni che riuniscono i giovani lavoratori nati per contrastare lo sfruttamento. 

 

Davanti a loro ci sono le toghe della Corte interamericana dei diritti dell’essere umano: è la prima udienza consultiva sui cambiamenti climatici. Un evento «storico» che, dopo la richiesta avanzata da Colombia e Cile lo scorso anno, mette a confronto vari input ed esperienze al fine di discutere non solo di crisi ambientale, ma anche di delineare quali siano le responsabilità degli Stati. «Rappresentiamo tantissime bambine, bambini e giovani di Paesi diversi. Per raccontare come stiamo vivendo la crisi climatica e il suo impatto sui nostri diritti», spiega ancora Camila: a essere minacciato per primo è il diritto alla salute, a causa di «morti e malattie dovute alle ondate estreme di calore, inondazioni, aria inquinata». Ma anche come conseguenza della siccità, della carenza di cibo e della diffusione di malattie per via dell’acqua contaminata. «Tutto questo, a sua volta, genera povertà e migrazioni». 

 

Gli effetti degli stravolgimenti della Terra per mano umana, infatti, si riflettono sulle giovani generazioni deteriorando molti aspetti della loro vita: «L’indice del cambiamento climatico per l’infanzia rivela che, a livello mondiale, è a rischio la salute di un miliardo di bambine e bambini. Ne è una dimostrazione il fatto che oltre il 90 per cento dei ragazzi sia esposto quotidianamente a livelli di materiale contaminato che superano le linee guida stabilite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità». Ma non basta. Come spiegano gli attivisti durante l'udienza, la crisi climatica costringe molti anche a migrare, soprattutto famiglie: «Solo nel 2022 ci sono stati 32.6 milioni di sfollati a causa di inondazioni, siccità e carenza di raccolti e impossibilità di accedere a servizi di base. Secondo una previsione, il cambiamento climatico causerà 200 mila morti in più ogni anno tra 2030 e 2050. E la salute generale sarà così compromessa da costare tra due e i quattro milioni di dollari ad anno entro il 2030».

 

Proprio per ribadire questo Camila a 14 anni si ritrova davanti a tanti adulti: «Serve un piano di impatto climatico che contenga nel budget l’acquisto di medicinali, forniture adeguate e necessarie per allergie e malattie respiratorie nei centri sanitari». Ma anche «migliorie per le infrastrutture sanitarie e la promozione della diversificazione delle attività di coltivazione». Perché - continua Joselim - «il cambiamento climatico impedisce a molte e molti anche un’istruzione di qualità. Noi siamo la generazione speranza, che vuole una trasformazione e un mondo più verde».  

 

Gli interventi delle due giovani attiviste si uniscono a quelli di altre 265 organizzazioni che arrivano da tutto il mondo. «La più grande partecipazione della storia», l’ha definita la presidente della Corte interamericana dei diritti dell’essere umano, Nancy Hernández López. Il ciclo di udienze pubbliche fa parte della 167esima sessione straordinaria della Corte, avviata lo scorso 20 aprile a Brasilia. E poi spostatasi a Manaus, nel cuore della foresta Amazzonica brasiliana. L’idea è che alla fine dell’anno la Corte emetta un parere consultivo. Non obbligatorio, ma che - se riconosciuto dai Paesi - possa influenzare legislazione e politiche pubbliche. In altre parole, attraverso interventi di esperti, organizzazioni e associazioni, e comunità la Corte sta valutando la portata degli obblighi degli Stati di rispondere all’emergenza climatica, nel quadro del diritto internazionale sui diritti umani. I commenti generali che verranno prodotti al termine degli incontri, che si concluderanno il 29 maggio, serviranno da consulenza sulle azioni necessarie per aumentare la resilienza climatica nei Paesi. 

«Con la scomparsa delle foreste primarie, scompare anche la nostra lingua, le nostre credenze e le nostre medicine tradizionali. Usiamo l’ambiente in modo rispettoso, senza distruggere, perché una volta distrutto è difficile da ricostruire», denuncia l'attivista Junior Anderson. Dalla sua terra, il Mato Grosso do Sul, dove vive Guarani Kaiowa, la «seconda comunità indigena più numerosa del nostro popolo» spariscono gli alberi, gli animali e i fiumi sono inquinati. «Questo per me è il razzismo ambientale».