Il post che ha scatenato le polemiche è stato cancellato. Ma è solo l'ultima uscita social discutibile dell'esponente del Carroccio

«Anche a Mantova è tornato il fascismo», annuncia lapidario sul suo diario di Facebook il segretario cittadino della Lega Cristian Pasolini. Una consapevolezza nata «dopo quindici secondi di dialogo» con due donne a un banchetto «pronte (parole loro) a tenere fuori dai consultori associazioni pro vita». La lezione imparata da quell’incontro, il segretario la racconta in prima persona e si riassume in una colpevolezza della sinistra italiana, «che forma queste menti poco brillanti ad una visione sempre meno tollerante dell'altro, del diverso pensiero e della dialettica». E, come racconta nei suoi post, è un maestro della tolleranza dell’altro. 

 

Pasolini poi viene colpito da una specie di visione. Quei quindici secondi di dialogo in cui viene zittito dalle due donne gli fanno «rivedere gli studenti che sputano in viso ai poliziotti, che minacciano i politici nelle università o li attaccano per farli star zitti, che spaccano le vetrine». 

 

Ma non è questo il caso che ha reso il segretario mantovano noto alle cronache. Bensì un altro pensiero esposto e condiviso con il popolo di Facebook. Il contesto è questo: c’è il taglio del nastro di una palestra in una scuola della città. Il commento di Pasolini è: «Ennesimo taglio del nastro con foto di rito e tradizionale prima fila con bambino negroide (bimbo di colore, se non vogliamo usare correttamente i termini)». Fermo restando che nella foto in questione non ci fossero più file di bambini, ma una sola, il segretario dovrebbe rivedere il concetto di «comunicazione». Con il quale titola il suo stesso pensiero del giorno. Nei commenti pare si sia difeso, «utilizzando i termini corretti della lingua italiana. Caucasoide, negroide, mongoloide, australoide sono termini corretti e non hanno un significato offensivo. È la lingua italiana, quella che ci ha insegnato Dante», risponde. Eppure adesso del post non ce n’è più traccia. 

 

Forse sarà stato il mancato appoggio da parte della Lega Lombarda o l’ondata di rabbia che si è tirato dietro con il post. Fatto sta che il sindaco di Mantova ne ha chiesto le dimissioni: «Usare un bambino per attaccare me è disgustoso. I bimbi nella foto che tagliano il nastro sono quattro, però Pasolini - commenta il primo cittadino Mattia Palazzi, Pd - si sofferma solo sul bimbo di colore. Il motivo è tanto chiaro quanto indegno. La politica fatta così mi fa schifo». Stesso tono per il capogruppo Dem della Lombardia, Pierfrancesco Majorino: «Tenga giù le mani dai bambini. Difficile immaginare parole più sprezzanti, ingiuriose. Affermazioni di istigazione all’odio. Salvini e Fontana cosa dicono?». 

Nel frattempo i leghisti mantovani prendono le distanze: «Quella non è la posizione del partito». E il coordinatore della Lega Lombarda Francesco Cecchetti rincara la dose: «Il post del segretario non rappresenta il pensiero di nessuno nella Lega».

 

Ma il commento sembra essere un pattern dando un occhio al profilo di Cristian Pasolini. Qualche volta se la prende con i «ragazzi transgender, non binari, fluidi o non so cos’altro» che, secondo lui, avrebbero «seri problemi di comprensione e ragionamento» e che andrebbero aiutati. Altre volte con gli studenti pro Palestina che «okkupano l’Università statale della rossa Milano». È un fan del generale Vannacci, «un uomo risoluto che rompe gli schemi del politicamente corretto e dice la verità che in molti condividono ma non “possono” dire». Tra una foto di un panino con la mortadella e l’altra, c’è anche spazio per domandarsi ironicamente se il termine «frociaggine» possa essere utilizzato o meno. Post anche questo scomparso. E confessa ai lettori di star invecchiando. Sì perché «quando leggi la classifica delle quindici perversioni sessuali più diffuse e scopri che quattro o cinque di queste sono pratiche che nemmeno sapevi esistessero ti senti un po' anziano». 

 

E infine si dichiara un fervente antifascista, «il problema è che si sono messi di mezzo i cretini». Perché a lui pronunciando quella parola vengono in mente «quelli che bruciano le associazioni per la vita, fanno cortei per impedire ai politici di parlare nelle università e prendono aerei per spaccare la faccia a chi nemmeno conoscono». Ogni riferimento è puramente casuale. Perché alla fine «anche in Italia i detenuti in attesa di giudizio vengono condotti in Tribunale in catene e posti nelle gabbie. Invece di rompere i coglioni al mondo, faremmo meglio ad insegnare ai nostri figli che si esprimono le opinioni a parole e non con i manganelli». E forse, vista la contingenza storica, andrebbe ricordato anche agli adulti.