Il piano della premier era aprire il centro di permanenza per i rimpatri come mossa da campagna elettorale. Ma al momento non c'è nessun lavoro. E nell’ex aeroporto, off limits, pascolano le capre

«Largohu. Mos bëni foto». L’uomo con la casacca gialla urla verso di noi appena mettiamo piede sul bordo del cantiere albanese del nuovo Cpr italiano, il Centro di permanenza per i rimpatri, in costruzione. Nella sua lingua con fare minaccioso dice di andare via e di non fare foto, perché i lavori sono top secret e nessuno ha il permesso di entrare. Ma basta spostarsi qualche metro più in là dal cancello per osservare che nell’immensa ex base militare dei tempi di Enver Oxha non c’è ancora nemmeno un mattone in piedi. A Gjader, piccolo villaggio a pochi km dalla città di Lezha, sembra che i lavori vadano a rilento e infatti nel cantiere ci sono solo due escavatori che spostano terriccio e un basamento di cemento che delinea un quadrato.

 

«Questo è quello che si scorge da questo ingresso - spiega Elidon, un giornalista locale – ma il resto della zona è lontana, perché l’area si estende verso l’ex pista di atterraggio per i velivoli militari». Seguendo la strada si arriva, effettivamente, all’ingresso principale di quello che fu un aeroporto e una coppia di militari sbarra la strada. Non si vede niente dell’interno ma Elidon prontamente mostra le immagini girate il giorno prima con il suo drone. «Non c’è niente, non si vede nessuna costruzione», spiega.

 

Secondo i piani di Giorgia Meloni, il centro avrebbe dovuto già essere aperto, giusto in tempo per le ultime battute di campagna elettorale per elezioni europee. Ma le cose stanno andando molto più a rilento di quello che si potesse immaginare e secondo le fonti albanesi i centri, sia quello di Gjader sia quello di Shengjin, non saranno pronti nemmeno per novembre, forse per i primi mesi del 2025.

 

Da Gjader riprendiamo la strada e torniamo verso Lezha per poi girare verso il mare. Al porto di Shengjin nessun giornalista ha il permesso di entrare e le foto sono vietate anche dalla strada. Bisogna salire in alto sulle colline per avere una visuale completa della banchina dove sorgeranno delle costruzioni provvisorie per la prima accoglienza dei migranti e la loro registrazione. Anche al porto, però, sembra che i lavori siano molto indietro. Ci sono dei container stipati su un lato ma al centro non c’è ancora nessun tipo di struttura. Eppure, sarà proprio lì che le motovedette della guardia costiera italiana e della Guardia di finanza dovranno attraccare per far scendere i naufraghi salvati nel Mediterraneo centrale. Dal porto, con navette e bus, i migranti saranno trasportati nel centro di Djader, attraversando 20 km di strade che normalmente sono trafficate e che d’estate diventano uno spaventoso lungo ingorgo. «Sarà un disastro», dice qualcuno. «Ma chi se ne importa», dice qualcun altro. Per ora nessuno sta prendendo sul serio la questione Cpr italiani su suolo albanese. Nessuno ha ancora visto una struttura in piedi e tra propaganda del governo e notizie confuse in pochi hanno davvero capito che cosa succederà. O almeno questo è quello che i media vicino al governo di Edi Rama vogliono far pensare.

 

«La gente di Gjader, di Lezha e di Shengjin è favorevole all’accordo con l’Italia - spiega ancora Elidon – perché pensa che in questo modo gli italiani sistemeranno la rete idrica, che in alcune zone non c’è affatto, e la rete elettrica, che è rovinata. Sono felici perché gli italiani aggiusteranno le strade e porteranno vita nei villaggi di Gjader e Kakariq dove non c’è più nessuno». Alcuni, alla domanda sul centro di rimpatrio, che sarà un vero e proprio carcere, dicono che non importa, perché se anche i migranti dovessero scappare, è un problema degli italiani. «Tanto pagano tutto loro…». Chiacchierando al bar, qualcuno ascolta la conversazione e dice che Rama ha fatto bene a fare l’accordo con l’Italia, perché Giorgia Meloni ha promesso in cambio uno sponsor per far entrare l’Albania in Europa. Qui, in questa zona a poco meno di due ore da Tirana quasi al confine con il Montenegro, parlano tutti almeno un po’ di italiano e il 98% della popolazione ha un parente che vive e lavora tra Palermo e Trento. Tutti d’accordo, dunque, tutti favorevoli, nessun problema…anzi.

 

Alloggi militari abbandonati nel villaggio di Gjader

 

Basta poco, però, per capire che dietro queste dichiarazioni c’è qualcosa di più che una convinzione. «Non importa a nessuno dei diritti umani, questo accordo serve come disincentivo», dice una delle fonti. «È come il Ruanda per il Regno Unito. Se gli africani sanno che verranno portati in Albania, ci penseranno due volte prima di partire». La frase sembra già sentita, perché già qualcun altro l’ha ripetuta almeno un paio di volte durante il soggiorno in Albania. E l’intera narrazione comincia ad appare come uno slogan pro-Cpr e pro-Rama.

 

«È tutta una bugia». A cambiare la visione sul trattato Italia-Albania ci pensa Alberto, albanese di 52 anni che per 30 ha lavorato tra Italia e Gran Bretagna e che abita proprio a meno di 100 metri dal cantiere del Cpr di Gjader. In macchina ripercorriamo la stradina per arrivare all’ex base militare, perché Alberto ci porta a casa sua, lì dove ha appena finito di costruire un nuovo grande edificio. «Ci ho messo metà della mia vita di sacrificio per farla e adesso stanno rovinando l’intera zona». Se costruiranno davvero anche il muro perimetrale alto 7 metri, sarà a solo 50 metri dalla sua villa e gli oscurerà l’intera visuale.

 

 «Qui sono tutte case nuove e vuote – spiega Alberto – perché i proprietari vivono all’estero e le hanno realizzate per poterci tornare con la famiglia in estate o per i figli che studiano ancora. Nessuno del governo ci ha chiesto un parere e forse hanno approfittato proprio del fatto che qui sono rimasti solo i vecchi. Chi vuoi che protesti? Li hanno riempiti di bugie e propaganda. Se in 50 anni il nostro governo non ci ha fatto arrivare l’acqua – dice ancora – dobbiamo aspettare un contratto così assurdo per farcela portare dagli italiani?». Alberto e sua moglie sono preoccupati, non tanto per la sicurezza, quanto per il fatto che saranno a pochi metri da un carcere. E che la zona da bucolica e tranquilla, si trasformerà in un inferno di traffico, caos e disperazione.

 

Bar sulla spiaggia a Shenjin

 

A non essere d’accordo con l’operazione del governo, in realtà, sono in tanti, anche se molti hanno paura di esprimere il proprio dissenso apertamente. Non ha nessun timore, invece, Ndre Molla, uno degli avvocati che lo scorso dicembre ha contribuito alla stesura della documentazione per la Corte costituzionale. I giudici, a sorpresa, avevano sospeso l’accordo siglato tra Albania e Italia proprio alla vigilia di un Consiglio europeo. «Il contratto è anticostituzionale e viola la sovranità del territorio albanese», spiega l’avvocato Molla. «Ma Edi Rama controlla tutti in questo Paese, anche i giudici. E così, dopo neanche un mese, si sono rimangiati il parere contrario. Questo centro è contro tutti gli interessi dell’Albania», dice ancora l’avvocato. Nel suo ufficio nel centro di Lezha, Nndre Molla spiega che nessuno è contro gli i migranti, ma l’Albania non può diventare un parcheggio per esseri umani, nemmeno se lo chiede l’Italia. «Il timore è che se questo progetto dovesse funzionare e se le elezioni europee andassero in un certo modo, anche altri Paesi potranno pensare di aprire i loro Cpr in Albania», ammette Molla. Il pensiero va a Ursula von der Leyen, che ha elogiato l’idea dei Cpr in Albania di Meloni definendola «un ottimo pensiero fuori dagli schemi».

 

E poi ci sarebbe anche un altro problema. L’Albania è uno dei Paesi che i migranti attraversano lungo la rotta balcanica e un centro pieno di uomini sarebbe sicuramente una calamita per i trafficanti. In auto, con i taxi, con i bus, a piedi. Basterebbe poco per attivare un business per portare i migranti dall’Albania verso Montenegro e poi Bosnia e poi Croazia. Non sarebbe la prima volta.

 

Contraria fin dal primo momento al progetto è anche Lindita Metaliaj, parlamentare del partito democratico d’Albania, che è a destra e all’opposizione rispetto al partito di Edi Rama. «Il protocollo non è compatibile con la nostra Costituzione – spiega Metaliaj – È indegno diventare un magazzino di rifugiati, non è giusto per noi albanesi e nemmeno per i diritti di questa povera gente». Non appena il Cpr prenderà forma, qualcuno inizierà a protestare davvero, dicono. Per ora nel cantiere continuano a pascolare placide solo le capre.