Arabopolis
"I bambini di Gaza" volano sul surf e costruiscono l'amicizia tra Israele e Palestina
In programma al Guerra&Pace Filmfest di Nettuno un film che oggi sembra una favola ma è ispirato a una storia vera. Dove il figlio di un colono e l'orfano di un combattente si salvano dall'odio grazie a una passione comune
Due bambini, due tavole da surf, un mare agitato e, alle spalle della riva, la guerra. E un’amicizia che nasce grazie all’amore per lo sport, una passione più forte dell’odio e dei pregiudizi cementati da decenni e ravvivati ogni giorno da bombe, sassaiole, incendi, attentati.
“I bambini di Gaza”, scelto dal Gerra&Pace Film Fest di Nettuno tra i titoli che raccontano la guerra infinita tra Israele e Palestina, è un film coraggioso, quasi temerario. Già solo girarlo è stata un'impresa: iniziato durante la pandemia tra problemi per trovare set alternativi a Gaza e per far viaggiare gli attori palestinesi, era pronto poco prima del massacro del 7 ottobre e la sua uscita è stata sospesa per mesi.
Se vince la sua scommessa è grazie alla qualità: non solo della storia che racconta (ispirata dal romanzo per ragazzi “Sulle onde della libertà” di Nicoletta Bortolozzi per Mondadori); non solo della regia (di Loris Lai, italiano trapiantato a Los Angeles, debuttante con alle spalle una lunga gavetta di video musicali e spot pubblicitari); o della recitazione dei piccoli protagonisti (Marwan Hamdan e Mikhael Fridel) e della madre palestinese (un’ipnotizzante Lyna Khoudri, francoalgerina premiata come migliore attrice a Venezia e con il César per “Non conosci Papicha”); non solo per le musiche di Nicola Piovani (voce e parole sono della bravissima Sonia Ben Ammar, figlia di Tarak, che di questo film girato tra Capo Verde e Tunisia è il produttore insieme a Elda Ferri, che ha prodotto “La vita è bella”), ma anche per gli effetti speciali che rendono plausibile l’accostamento di combattimenti e allenamenti. E soprattutto per l’attenzione ai dettagli più duri della ricostruzione storica, quelli che legano l’intifada del 2003, epoca a cui rimanda il film che è ispirato a una storia vera, e la guerra in corso da quasi sei mesi.
Nel ritratto di vita dei piccoli di Gaza di vent’anni fa ci sono tutte le paure degli israeliani di oggi: bambini che vengono educati all’odio e addestrati a diventare martiri, cioè a farsi uccidere combattendo Israele. Anche i cuori dei piccoli si inaridiscono: «Tutto bene», dice Mahmood, orfano di un "martire", dopo l'uccisione del suo migliore amico, e approfitta degli attacchi israeliani per rubare riviste e videogame. Non solo è impossibile la pace ma anche il più semplice dei dialoghi: diventa tradimento anche un rapporto banale come vendere erbe a una famiglia di coloni israeliani (nel 2003 ce n’erano ancora, dentro la striscia di Gaza).
L’angelo che guida il palestinese Mahmood e l'israeliano Alon verso l’amicizia è un fantasma, il “fantasma di Gaza”, un giovane americano distrutto dal dolore per la morte della sorella, volontaria uccisa dagli israeliani. La nuova strada passa da una terza lingua - «L’inglese ti darà un futuro», dice la madre al piccolo Mahmud – diversa dall’arabo e all'ebraico che i due gruppi parlano tra loro. Ma è una strada che i due bambini dovranno costruire da soli, senza poter contare sull’aiuto di nessuno. Il film non vende illusioni: la speranza c'è - lo ha detto anche Papa Francesco lodando il film dopo una preview - ma è impegnativo vederla, avvolta com'è dal fumo nero delle esplosioni.