Con il no alla rielezione di Ursula von der Leyen, la premier ha dimostrato di avere sbagliato i conti. Per la prima volta siamo fuori dalla maggioranza che guida l’Ue. Ed è stata messa nell'angolo anche dai suoi amici delle destre sovraniste

Qualcosa è cambiato, tra Ursula e Giorgia. Von der Leyen è stata rieletta con un’ampia maggioranza, mentre Meloni – che sembrava volesse convertire l’amicizia personale in un’alleanza politica, ma alla fine ha dato ordine di non votarla – è rimasta isolata, unica tra i leader dei maggiori Paesi europei. La lunga intervista al Corriere della Sera con la quale la premier ha spiegato il suo no aveva un titolo che riassume il suo punto di vista: «La Ue sbaglia strategia».

 

Non le viene neanche il dubbio che a sbagliare strategia sia lei, che dopo il G7 di Borgo Egnazia si dichiarava «fiera di un’Italia al centro del mondo» e «orgogliosa di guidare una nazione che oggi viene guardata con grande rispetto», dopo che nella partita di Bruxelles non ha toccato palla. Forse sperava che, come accadde cinque anni fa, i franchi tiratori rivelassero la debolezza della maggioranza, rendendo indispensabili i suoi voti. O magari ha deciso all’ultimo momento che si poteva applicare anche con von der Leyen lo «schema Draghi» che ha fatto la sua fortuna: rimanere sola all’opposizione mentre tutti gli altri leader appoggiano il vincitore. Eppure non era mai successo, prima d’ora, che il partito del presidente del Consiglio italiano non facesse parte della maggioranza che guida l’Europa.

 

È successo, e presto vedremo quali saranno le conseguenze sui rapporti tra l’Ue e il governo italiano. Ma oggi nell’organigramma del potere europeo l’Italia non c’è. Alla guida della Commissione c’è una tedesca. Alla Bce una francese. Alla presidenza del Consiglio europeo un portoghese. La presidente del Parlamento europeo è maltese. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri è estone. Il Rappresentante speciale della Nato sul fronte Sud è spagnolo. L’unica bandierina Fratelli d’Italia l’ha piantata sulla poltroncina di vicepresidente dell’Assemblea di Strasburgo. Un po’ poco, per una che sognava di spostare gli equilibri del potere in Europa.

 

Non le è andata meglio sul terreno della politica. Meloni è risultata troppo a destra per i leader dell’Europa che conta, ma troppo poco per quelli del suo campo. Fino a giugno il partito di cui lei è presidente, quello dei Conservatori e riformisti europei, a Strasburgo aveva il terzo gruppo più numeroso. Il successo ottenuto da Fratelli d’Italia il 9 giugno avrebbe dovuto rafforzare il suo peso in Europa. Invece è successo l’esatto contrario. Colpa di Viktor Orbán, il suo vecchio amico ungherese, che rubandole la bandiera nazionalista ha radunato nel nuovo gruppo dei Patrioti per l’Europa non solo i francesi di Marine Le Pen e gli italiani di Matteo Salvini, ma anche gli spagnoli di Santiago Abascal, il leader di Vox per il quale la premier ha fatto il suo comizio all’estero più famoso («Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy italiana, soy cristiana!»).

 

Dopo l’addio degli spagnoli, con i 24 eurodeputati meloniani sono rimasti solo i 18 polacchi di Diritto e giustizia e una macedonia di partitini che nei loro Paesi contano quasi zero: un bulgaro, due greci, un estone, tre lettoni, un olandese, tre svedesi, un cipriota, quattro francesi, un danese, un finlandese, tre belgi, due lituani, un lussemburghese, tre cechi, sei rumeni e un croato. Il baricentro della destra europea adesso è altrove.