La strana storia della campionessa di tennis tavolo che aveva smesso a vent'anni e che è arrivata alle Olimpiadi a 58. E la parabola di Rafa che non si vuole arrendere al tempo

Zhiying Zeng racconta che da bambina era sempre circondata da tavoli da ping-pong. La madre, allenatrice, non le ha lasciato scampo.  Zhiying Zeng ad appena 5 anni teneva in mano la racchetta come una veterana imprimendo alla pallina effetti che sembravano usciti dal cappello di un mago. Zhiying Zeng è nata a Guangzhou, nel sud della Cina e quando ha compiuto 11 anni si è reso necessario trasferirla a Pechino perché quel talento andava indirizzato. Quel talento serviva a rendere grande la Cina. Dice proprio così, Zhiying Zeng, che ricorda ancora le trasmissioni televisive in bianco e nero con la visita di Richard Nixon a Pechino, anche lui circondato da tavoli da tennistavolo. La diplomazia del ping-pong, la chiamarono.

 

 

Dagli 11 ai 20 anni Zhiying Zeng ha giocato a ping-pong per sei ore al giorno, si è preparata alla sua prima Olimpiade ma poi, di colpo, si è spento qualcosa. Come se nell’amigdala fosse partito un fusibile. Alla soglia dei 20 anni Zhiying Zeng ha smesso di giocare a ping-pong. La Cina sarebbe dovuta diventare grande senza di lei. Quando ancora oggi le chiedono il perché, non esista un istante: “Perché era il momento buono”.

 

 

Zhiying Zeng ha oggi 58 anni ed è a Parigi per competere nel torneo olimpico di tennistavolo. Suona un po’ come se un distratto contabile della esistenza, si fosse improvvisamente ricordato di una vecchia fattura da saldare. 

 

Zhiying Zeng oggi vive in Cile e col marito gestisce una piccola fabbrica di mobili. Nel 2020, durante un lockdown durissimo, ha ordinato su Amazon un tavolo da ping-pong nuovo di pacca e alcune racchette professionali. Quando il Covid è passato ha deciso che sarebbe stato persino divertente iscriversi a un torneo locale. Così, per ammazzare il tempo. Tre anni dopo era diventata la numero 1 del ranking cileno, ha vinto il torneo Sudamericano nel 2023 ed è volata fino a Parigi rappresentando proprio il Cile che non ha bisogno di diventare grande grazie a lei. Si fa chiamare Tania (“perché i cileni non sanno proprio pronunciare il mio nome”) e ricorda le prime volte in cui entrava in una palestra: “Signora, le lezioni di ballo sono accanto”.

Cosa può aver spinto Tania a fare questa pazzia, 38 anni dopo aver dato l’addio alla racchetta? «Se mi alleno troppo poi mi fa male la spalla, ma la verità è che quando gioco sono piena di felicità».

 

 

Rafa Nadal

 

 

Siamo scesi ieri al Roland Garros pieni di quell’ingenua speranza che solo i bambini coltivano senza contegno, quella di vedere Rafa Nadal competere contro Novak Djokovic in una delle sfide più affascinati che il tenni possa regalare, peraltro con in palio la romantica possibilità di vincere on oro olimpico, mica il solito grasso montepremi. Siamo atterrati sul Philippe Chatrier pensando al passato di Rafa, ma invece era il passato che pensava a Rafa e avrebbe voluto riprenderselo.

 

 

In circa novanta minuti struggenti è andata in scena la versione tennistica di Rocky contro Apollo Creed e alla fine non c’era neppure Adriana ad asciugare le ferite al povero Rafa. Lo spagnolo sembrava muoversi dentro a una vasca piena d’olio, le palline gli passavano accanto ignorandolo,il suo i’impatto sulla palla – in apparenza poderoso – produceva frutti malconci con cui Djiokovic ha fatto scorpacciata. A fine partita Rafa ha alzato un po’ la voce con i reporter perché si è stufato si sentirsi chiedere quando si ritirerà.

Forse non è pronto. È possibile che non lo sarà mai. Un fumettista americano, James Grover Thurber, una volta scrisse che non bisogna guardare al passato con rabbia o al futuro con ansia, ma che bisogno guardarsi attorno con attenzione.

Rafa ha poi detto che resterà al Villaggio per godersi fino a fondo l’esperienza dei Giochi (e perché è ancora in corsa nel torneo di doppio assieme a Carlos Alcarar). Magari guardandosi attorno proprio al Villaggio, riuscirà a fare la conoscenza di Zhiying Zeng e chissà, quella gli racconta la storia del “momento buono” che viene per tutti, a 20 anni oppure a 38. Perché una cosa è certa, dentro al Nadal che abbiamo visto ieri, non vi era alcuna felicità.