Giustizia
Quelle morti senza fine nelle celle della vergogna
Picco di suicidi tra detenuti e agenti. Strutture carenti e ricorso alla detenzione come unica risposta securitaria per un sovraffollamento record, con San Vittore in cima
L’ultimo detenuto si è tolto la vita nel carcere di Cremona. Aveva 31 anni. Prima di lui, a uccidersi è stato un venticinquenne nella sua cella del reparto isolamento della Casa Circondariale di Rieti. Era rinchiuso lì dopo che, con altri detenuti, si era rifiutato di rientrare in cella per protestare contro il sovraffollamento. Poche ore prima a impiccarsi era stato uno di 27 anni nel carcere “La Dogaia” di Prato, in Toscana, dove stava scontando una pena definitiva che si sarebbe dovuta concludere tra otto anni, nel 2032. Sono i suicidi numero 60, 61 e 62 dall’inizio dell’anno, una media di uno ogni due giorni. L’anno scorso erano stati 71, l’ago indica un nuovo record per quest’anno. «Il carcere è al collasso. Siamo in piena emergenza umanitaria, sia sulle problematiche carcerarie degli adulti sia sul tema della giustizia minorile».
A lanciare l'allarme è il portavoce dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale e Garante Campano Samuele Ciambriello: «Del tema se ne parla in un acceso dibattito politico e sociale ma sul quale la politica, purtroppo non dà risposte concrete». Secondo il report del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Felice Maurizio D'Ettore, visionato da L'Espresso, alla data del 31 luglio i detenuti presenti sono 61.140; i posti regolarmente disponibili ammontano a 46.982, rispetto alla capienza regolamentare di 51.269 (con un divario di -4.262 posti). «Questa criticità è dovuta all’attuale inagibilità di diverse camere di pernottamento e in alcuni casi di intere sezioni detentive (come per esempio Milano San Vittore, dove il sovraffollamento si attesta al 231,15% ed è l’istituto che sui 190 detiene il massimo primato). A livello nazionale la criticità determina un indice di sovraffollamento del 130,06%».
Sono 150 (pari al 79%) gli istituti con un indice di affollamento superiore al consentito che in 50 istituti risulta superiore al 150%. Ci sono regioni come la Puglia (165,37%), Basilicata (150,99%), la Lombardia (151,50%), il Veneto (145,54%), il Lazio (144,05%) che mostrano un preoccupante indice di sovraffollamento.
L’elenco delle voci che compongono l’emergenza carcere è lungo, fatto di tanti numeri e raccontano di una polveriera. In uno sforzo di sintesi e di chiarezza i garanti territoriali elencano, oltre i suicidi: forme di autolesionismo, mancanza di figure sociali, psicologi, assistenti sociali, psichiatri, mediatori linguistici. Ricordano che sono «trascorsi ormai quattro mesi dall'appello sui suicidi in carcere con cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, invitava la classe politica del nostro Paese ad adottare, con urgenza, misure immediate per allentare il clima di tensione che si respira nelle carceri italiane».
Intanto i detenuti vivono l'inferno. Il sovraffollamento crea anche mancanza di risorse per la loro gestione, a partire dalla carenza di personale di polizia penitenziaria, questione che i sindacati che li rappresentano lamentano con regolarità. Le condizioni di lavoro, spesso caratterizzate da turni massacranti, hanno portato tra le altre cose a vari suicidi anche tra gli agenti di polizia penitenziaria.
È cronaca parlamentare recente, a pochi giorni dalla pausa estiva, il primo via libera da parte del Senato alla conversione del decreto pensato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, che prevede tra le altre cose l'assunzione straordinaria di mille nuovi agenti della polizia penitenziaria, la semplificazione del procedimento per la liberazione anticipata, l'incremento del numero di colloqui telefonici per i detenuti, e l’istituzione di un elenco delle strutture residenziali idonee all'accoglienza e al reinserimento sociale dei detenuti. Nella sintesi di Erika Stefani, senatrice della Lega, il decreto carceri «è importante perché il grande principio che abbiamo nel nostro ordinamento è che la pena deve essere tendente alla rieducazione. E nelle carceri deve essere assicurata la dignità dell'uomo. Ma noi non vogliamo più che, nel dire che le carceri non sono dignitose, si creino alibi per le scarcerazioni. Niente liberazioni, niente sconti, un rigore nel rispetto di una pena comunque dignitosa». E per quanto riguarda il rafforzamento dell'organico della penitenziaria, «noi dobbiamo fare in modo che anche la polizia penitenziaria sia messa nella condizione di poter lavorare, di custodire queste carceri e di fare sì che il loro intervento vada proprio nell'ottica del rispetto dello stesso mondo carcerario». Secondo le opposizioni, però il decreto non risolverà il problema del sovraffollamento, che sta producendo condizioni di vita insostenibili e un numero di suicidi che sommato a quello degli agenti tocca la tragica cifra di 68: la senatrice di Avs Ilaria Cucchi ne ha letto tutti i nomi in aula (ma tra loro ci sono anche diversi “nomi sconosciuti”, soprattutto stranieri).
Per Cucchi «non ci vorrebbe poi tanto a ridurre il sovraffollamento: basterebbe un po' di buona volontà, perché una grossa percentuale è composta per esempio da detenuti tossicodipendenti che dovrebbero essere curati in strutture più adeguate, da detenuti affetti da problemi a volte anche gravi e di tipo psichiatrico che diventano un problema, un pericolo per se stessi e per gli altri e che anch'essi dovrebbero essere seguiti in strutture più adatte, e non lasciati lì costituendo poi un aggravio di energie anche per gli agenti di polizia penitenziaria, che oltretutto non hanno nemmeno una formazione sufficiente per gestire ormai le situazioni ordinarie». Pensiamo poi, aggiunge, «a chi è in carcere ancora in attesa di giudizio, pensiamo a chi vi è per i cosiddetti reati minori: già così, facendo un po' di calcoli, direi che il problema sarebbe in parte risolto».