Alla soglia degli 88 anni, il pontefice parte in missione tra le comunità cattoliche dell’Indonesia minacciate dal fondamentalismo islamico, per spingersi poi nella Nuova Guinea, tra i poveri di Timor Est, nell’opulenza a due facce di Singapore. Con l’obiettivo di andare fuori dal recinto del cattolicesimo occidentale ed esplorare periferie del mondo segnate da sofferenze e conflitti e dimenticate dai grandi media

Due continenti, quattro nazioni, 32.814 chilometri da percorrere in aereo oltre a quelli in auto. È curioso: più il trascorrere degli anni lascia segni inevitabili e profondi sul fisico di Papa Francesco più lui si impegna in imprese estremamente faticose. Più i veleni di Curia e le opposizioni nel tessuto ecclesiale tentano di ostacolargli il governo della Chiesa più lui prende decisioni audaci anche se divisive, come quelle sulla benedizione alle coppie gay o lo stop alla Messa cosiddetta in latino.

 

Il viaggio di 12 giorni che dal 2 al 13 settembre lo vede in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore è il più lungo dei suoi oltre dieci anni di pontificato. Un viaggio in parte già ipotizzato in passato nelle Sacre Stanze ma mai realizzato a causa della pandemia. Sono ragioni pastorali ad aver spinto Francesco a compierlo adesso, certo, ma anche il desiderio di mostrare che nonostante l’età e gli acciacchi (oramai si muove quasi unicamente in sedia a rotelle e l’ultimo viaggio internazionale previsto, a Dubai, era stato annullato all’ultimo per problemi di salute) il timone della Chiesa è ancora in grado di reggerlo con grande energia.

 

Bergoglio, profondo conoscitore degli umori di Curia e di quelli degli episcopati mondiali, ben sa che un papa che si mostra fisicamente debole dà l’idea di essere al termine del suo pontificato, e quando questo si verifica ogni decisione che prende viene accolta con l’ironia di chi aspetta che il successore ne cambi rotta e colore. «Sono ancora vivo nonostante alcuni mi volessero morto, e so che ci sono stati persino incontri tra prelati che preparavano il conclave», ha rivelato Bergoglio in un incontro a porte chiuse coi confratelli gesuiti dopo l’operazione al colon che subì al Gemelli (operazione che in realtà fu molto più seria e rischiosa di quello che emerse sui media).

 

Paolo VI in Indonesia

 

E allora, in un periodo in cui persino alcuni cardinali non esitano a criticare pubblicamente il suo pontificato, quando parte dei cattolici mostra diffidenza se non aperta ostilità verso le sue decisioni, quando intere conferenze episcopali spingono in opposte direzioni ritenute da Francesco pericolosamente estreme (semplificando: tedeschi troppo progressisti, americani troppo conservatori), quando c’è chi, come monsignor Carlo Maria Viganò, dopo aver ricoperto ruoli importantissimi, come quello di Segretario del Governatorato dello Stato Vaticano e poi nunzio, cioè ambasciatore del Papa, negli Stati Uniti, proclama uno scisma sentendosi un novello Lefebvre e viene solennemente scomunicato, ecco che in questo complesso scenario Jorge Mario Bergoglio vuole mostrare di essere in grado di governare la Chiesa con tutta l’energia e la visione richieste a un Pontefice del Terzo Millennio.

 

E persegue, incurante dell’età e della fatica, quegli obiettivi che gli stanno più a cuore e che appena eletto ha proclamato essere al centro del suo pontificato: portare l’annuncio cristiano fuori dallo stretto e comodo recinto delle consolidate anche se per molti versi asfittiche cattolicità occidentali e far puntare i riflettori sulle periferie del mondo dimenticate dai grandi media, là dove ci sono, pur se trascurati, acuti conflitti politici e religiosi, e umane sofferenze. E comunità cristiane decisamente interessanti. «Nei Paesi che il Papa visiterà le comunità cristiane vivono per molti versi le condizioni che viveva la Chiesa delle origini», spiega Gianni Valente, direttore dell’agenzia di stampa Fides che monitora con grande attenzione la vita delle Chiese sparse in quelle che sono chiamate terre di missione. «Il vivere in contesti plasmati culturalmente da tradizioni religiose non cristiane – aggiunge Valente – è la condizione normale per la maggior parte di quelle comunità, una prospettiva che conviene suggerire anche alle Chiese occidentali di antica cristianità».

 

E così, solo pochi mesi prima dell’apertura dell’impegnativo Anno Santo, ecco che Francesco compie il viaggio forse più inatteso del suo pontificato. Inatteso per la durata, certo, ma anche perché alla soglia dei suoi 88 anni (li compirà il 17 dicembre) non solo tocca Paesi così lontani da Roma ma tocca anche alcuni dei punti nevralgici della Chiesa contemporanea, che mostrano quali saranno le sfide del futuro: dal rapporto con l’Islam al terrorismo religioso, dal problema delle guerre all’urgenza di affrontare i cambiamenti climatici che hanno un effetto devastante in questa parte del mondo, dalla questione femminile agli abusi sessuali compiuti da sacerdoti fino al tentativo di dare identica dignità a tutte le Chiese sparse nel pianeta, tanto che in alcuni dei Paesi che visiterà ha creato i primi cardinali della storia della nazione.

 

Un viaggio prevalentemente incentrato sull’Asia, il continente che, come ha detto il “capo” di Francesco, il Superiore mondiale dei gesuiti Arturo Sosa Abascal, «può rappresentare il domani del cattolicesimo».

 

INDONESIA
Una mucca. È questo il dono che ogni anno il cardinale di Giacarta fa, a nome di tutti i cattolici della nazione, alla comunità musulmana in occasione della Festa islamica del Sacrificio. Regalo di certo singolare, ma significativo del desiderio di improntare sul rispetto reciproco i rapporti religiosi. Perché l’Indonesia ha un record nel mondo islamico: è il Paese con più musulmani del pianeta. E i cattolici sono una piccola ma vivace minoranza, con numeri in forte crescita. Solo a Giacarta ogni anno ci sono ben quattromila battesimi di adulti e le chiese sono piene di giovani.

 

In questo insieme di isole con connotazioni diversissime la convivenza tra religioni non è sempre facile, la storia della nazione ha registrato scoppi di odio anticristiano drammatici, date le spinte di gruppi fondamentalisti che vorrebbero eliminare i cattolici e radicalizzare il Paese. Non rari, in alcune zone dell’Indonesia, gli attacchi alle chiese e le uccisioni di cristiani. Ma ora gli episodi di crudele intolleranza sono diminuiti, e la convivenza è più armoniosa in gran parte della nazione.

 

Veglia a Giacarta

 

Il cardinale di Giakarta Ignatius Suharyo dice quanto sia grande l’attesa per la visita di Francesco, e sui rapporti con l’Islam e sul contrasto al fondamentalismo è ottimista: «Negli anni scorsi vi sono stati tentativi di creare un Islam transnazionale sul tipo dell’Isis, ma l’Islam indonesiano è riuscito a respingerli. In linea generale, i cattolici in Indonesia vivono in armonia con il resto della nazione che a larga maggioranza professa l’Islam. Le persecuzioni, rispetto alla vastità della nazione, si registrano solo in pochissime zone».

 

Francesco non è il primo pontefice a visitare l’Indonesia: Paolo VI vi fece tappa nel 1970 e Giovanni Paolo II nel 1989. Bergoglio varcherà, significativamente, sia la soglia della Cattedrale dedicata a Nostra Signora dell’Assunzione, dove la statua della Madonna “madre di tutte le etnie” è raffigurata con volto e vesti indonesiane, sia la soglia della grande moschea Istiq’lal posta esattamente di fronte alla cattedrale, uno dei luoghi di culto più grandi al mondo, dove parteciperà a un incontro interreligioso.

 

PAPUA NUOVA GUINEA
Questa nazione dell’Oceania ha un capo di Stato che abita molto lontano: Re Carlo III d’Inghilterra. Il Paese fa parte del Commonwealth e ha una natura fino a poco tempo fa rimasta incontaminata: il tema della difesa dell’ambiente sarà al centro dei discorsi del Papa. La maggioranza degli abitanti, 69%, è cristiana, 36% i cattolici e 33% i protestanti, mentre i musulmani solo l’1%.

 

Fedeli in Papua Nuova Guinea

 

Il Papa, oltre che del cambiamento climatico parlerà della povertà, endemica nel Paese, e di un’attività mineraria che è spesso spietata. «Il Paese ha grandi risorse naturali», spiega padre Abzalón, superiore generale dei Missionari del Sacro Cuore che conta 155 membri nati nel Paese. «Aziende internazionali stanno sfruttando il territorio, distruggendo ampie porzioni di territorio alberato e creando enormi problemi alla popolazione: una estrazione mineraria senza volto umano».

 

TIMOR EST
Ex colonia portoghese, Timor Est è, assieme alle Filippine, l’unico Paese dell’Asia a maggioranza cattolica: oltre il 97% della popolazione. L’isola è divisa in due: l’altra parte, Timor Ovest, è indonesiana. E fu proprio la musulmana Indonesia a invadere la cattolica parte est dell’isola nel 1975, dopo la proclamazione dell’indipendenza dal Portogallo. La questione religiosa giocò un ruolo fondamentale in tutto questo. La guerra portò in 22 anni alla morte di ben un quarto della popolazione. Ancora oggi molte delle ferite di quel crudele conflitto sono aperte, metà delle donne dell’isola sono vedove. «La Chiesa continua a portare avanti un cammino di riconciliazione anche con i vicini indonesiani, lo sente come dovere fondamentale e come parte della sua vocazione», dice Juliana che ha quattro figli e fa la catechista in una parrocchia della Capitale «anche se molti fanno fatica ad accettare che i carnefici siano dall’altra parte della frontiera». 

 

Fedeli a Timor Est

 

A Timor Est la questione femminile, spiega Juliana, è cruciale. La violenza di genere è una delle questioni più urgenti in materia di diritti umani ed è prevedibile che anche il dolorosissimo tema degli abusi sessuali perpetrati da sacerdoti troverà spazio nei discorsi del Papa. «Siamo rimasti sconvolti –  dice Juliana – quando il vescovo Carlos Filipe Ximenes Belo, insignito del premio Nobel per la pace nel 1996, è stato accusato di pedofilia». La Congregazione vaticana per la Dottrina della fede, che ha aperto una inchiesta, ha imposto severe restrizioni disciplinari per il vescovo, incluso il divieto di contatti con minori.

 

SINGAPORE
Questa città-Stato è uno dei Paesi più ricchi della terra, il quarto principale centro finanziario del pianeta. Qualche anno fa Singapore ha raggiunto la più alta concentrazione di milionari al mondo in rapporto alla popolazione, ma tra i suoi quasi 6 milioni di abitanti ci sono enormi, drammatiche disparità economiche. Un tema estremamente caro a Papa Francesco, che mette incessantemente in guardia contro un capitalismo selvaggio che, dice, «crea ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri». Quella cattolica è l’unica religione in crescita nella nazione, grazie anche a una delle comunità più dinamiche e vitali del Sud Est asiatico. Forte la presenza della Chiesa nel campo sociale.

Editoriale
Il viaggio di papa Francesco tra periferie e speranze di pace
02-09-2024

Ma un obiettivo di questa tappa è posto fuori dai confini della nazione. Un quarto della popolazione di Singapore è cinese, e lo sguardo di Francesco sarà rivolto proprio alla Cina. Bergoglio – gesuita come Matteo Ricci, il missionario che nel 1600 venne accolto alla corte dell’Imperatore cinese – ha una speranza, che ha il sapore di una sfida: riuscire a stabilire rapporti normali tra Chiesa cattolica e Cina, dopo gli anni della grande persecuzione nei quali esistevano una chiesa patriottica legata al regime e una chiesa sotterranea legata a Roma, discriminazioni solo rallentate dall’accordo, tuttora segreto, firmato alcuni anni fa tra il Vaticano e Pechino. Per Francesco questo è uno dei grandi sogni del suo pontificato, e della sua audace visione ecclesiale che ha inevitabili implicazioni geopolitiche.