Come un ghiacciaio, il Ssn è scivolato a valle. In rapporto al Pil i fondi sono diminuiti e caleranno ancora. Urge un patto per rilanciare l’efficienza del sistema.

l diritto alla tutela della salute è il più importante tra i tutti i nostri diritti, ma al tempo stesso è il più fragile e il più evanescente. È il più importante non solo perché è l’unico che i Padri costituenti hanno definito «fondamentale», ma perché la nostra salute ci consente di esercitare gli altri diritti sociali e civili. Ma è anche il più fragile perché, a differenza di altri diritti come il lavoro o l’istruzione, nessuno può esercitarlo in autonomia: servono strutture, tecnologie e professionisti qualificati in grado di erogare la migliore assistenza basata sulle migliori evidenze scientifiche. Ovvero è un diritto che dipende dall’efficienza del Servizio sanitario nazionale (Ssn), la più grande “opera pubblica” mai costruita in Italia per garantire universalità, equità e uguaglianza nell’accesso alle prestazioni. Infine, è il diritto più evanescente, perché la «Repubblica» che, secondo l’articolo. 32, tutela la nostra salute si identifica oggi con la leale collaborazione tra governo e Regioni. Che si è ormai involuta in un conflitto istituzionale tra poli indeboliti, con compromessi al ribasso che si ripercuotono a cascata su tutti gli attori del Ssn e soprattutto sulle persone più vulnerabili e svantaggiate. E in questa evanescenza delle responsabilità pubbliche, quando il Ssn arranca il cittadino-elettore, non riuscendo a identificare le responsabilità, è incapace di orientare il suo voto per proteggere il suo diritto fondamentale. È il governo che ha stanziato poche risorse? Sono le Regioni icapaci di programmare l’assistenza sanitaria? Sono le Asl e gli ospedali che non riescono ad erogare adeguatamente servizi e prestazione sanitarie?

 

Già nel marzo 2013 la Fondazione Gimbe aveva lanciato l’allarme dando il via alla campagna “Salviamo il nostro servizio sanitario nazionale”, affermando che la perdita del Ssn non sarebbe stata annunciata dal fragore improvviso di una valanga, ma si sarebbe manifestata come il silenzioso scivolamento di un ghiacciaio, attraverso anni, lustri, decenni. Un fenomeno che, lentamente ma inesorabilmente, avrebbe eroso il diritto alla tutela della salute. E se per anni il tema della sostenibilità del Ssn è rimasto tra gli addetti ai lavori, dopo lo stress test della pandemia il ghiacciaio è talmente scivolato a valle che la crisi della sanità pubblica oggi preoccupa 60 milioni di persone. Dati, narrative e sondaggi confermano all’unisono che il fiore all’occhiello del Paese Italia si è avvizzito, compromettendo i diritti delle fasce socio-economiche più deboli, degli anziani fragili e del Mezzogiorno. Ma i problemi, di fatto, investono la quotidianità di tutte le persone: interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollati, impossibilità di trovare un medico di famiglia, diseguaglianze regionali e locali, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata e impoverimento delle famiglie sino alla rinuncia alle cure. Intanto, altrettanto in sordina, si è deteriorato il valore del Ssn nella percezione pubblica: la salute non è più un bene supremo da tutelare, ma una merce da vendere e comprare. Un’involuzione che spiana la strada a una sanità regolata dal libero mercato, con prestazioni accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o disporrà di costose polizze assicurative. Che, in ogni caso, non potranno mai garantire una copertura globale come quella offerta dal Ssn. 

 

Inevitabilmente, il tema del finanziamento alla sanità è diventato terreno di scontro politico senza esclusione di colpi. Da un lato il governo celebra con proclami populisti «investimenti record». Dall’altro l’opposizione denuncia tagli e anela a un finanziamento pubblico di almeno il 7 per cento del Pil, obiettivo tanto ambizioso quanto irrealistico. Una stucchevole querelle che va ripetutamente in scena di fronte a quei 4,5 milioni di “spettatori” che nel 2023 hanno già rinunciato alle cure. Proprio quegli indigenti a cui la Repubblica dovrebbe garantire cure gratuite. Ma, considerato che «i numeri possono essere torturati sino a farli confessare», chi ha ragione? Il Fondo sanitario nazionale (Fsn) in termini assoluti negli anni è sempre cresciuto, fatta eccezione per il 2013 quando la spending review del governo Monti impose tagli drastici per risanare la finanza pubblica del Paese. Ovvero, se l’unità di misura sono i miliardi di euro, l’ultimo governo in carica potrà sempre affermare di aver aumentato il finanziamento della sanità. Viceversa, in rapporto al Pil, il Fsn si è ridotto progressivamente dal 6,6 per cento del 2012 al 6,06 per cento del 2023, fatta eccezione per gli anni della pandemia quando il crollo del Pil nel 2020 ha dato l’illusione di un’inversione di tendenza. E, secondo quanto disposto dalla manovra 2025, il Fsn dal 2027 scenderà sotto la soglia psicologica del 6 per cento, per poi precipitare al 5,7 per cento nel 2029. In altre parole: basta cambiare unità di misura per passare dalle «cifre record» al «minimo storico». 

 

Se dunque la politica intende realmente preservare e rilanciare un Ssn basato su princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità è indispensabile un rifinanziamento progressivo della sanità pubblica accompagnato da coraggiose riforme di sistema. Ma dove reperire le risorse in un Paese stretto tra crescita economica stagnante, interessi sul debito pubblico e vincoli europei? E con politiche sull’evasione fiscale che, parafrasando Faber, vanno «in direzione ostinata e contraria»? Serve una combinazione integrata di strategie. Introdurre tasse di scopo su prodotti che danneggiano la salute (sigarette, alcol, cibi e bevande zuccherati, gioco d’azzardo), spostando una quota delle imposte sui consumatori con nuove politiche di prevenzione e promozione della salute. Redistribuire i redditi: tassare i milionari e gli extra-profitti delle multinazionali. Potenziare le partnership pubblico-privato con una governance rigorosa e trasparente. Ridurre gli sprechi: prestazioni inutili, inefficienze amministrative e organizzative o addirittura frodi. Senza usare l’alibi degli sprechi per non aumentare il finanziamento pubblico. 

 

Perdere il Ssn non significa solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi: ecco perchè la Fondazione Gimbe invoca un nuovo patto politico e sociale che vada oltre gli avvicendamenti di governo e le ideologie partitiche. Un patto che riconosca nel Ssn un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico del Paese. Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti responsabili e consapevoli del valore del Ssn e a tutti gli attori della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare il bene comune. Se non si agisce in fretta il disastro sanitario economico e sociale è dietro l’angolo. Medici e infermieri demotivati abbandoneranno sempre più il Ssn, lasciando scoperti reparti ospedalieri e persone senza medico di famiglia. L’accesso alle costose innovazioni farmacologiche sarà un privilegio per pochi. Sempre più persone saranno costrette a pagare di tasca propria, sino a rinunciare alle cure concretizzando il più crudele dei paradossi: un Paese che abbandona proprio gli indigenti. Ecco perché garantire il diritto alla tutela della salute non è solo un dovere costituzionale, ma anche un imperativo morale ed economico. Il Ssn non è un lusso, ma un investimento sulle persone e sul futuro del Paese che necessita di consistenti risorse e coraggiose riforme, ma ancor prima richiede una visione.

 

Ovvero, la politica deve rispondere con onestà a una domanda molto semplice: quale sanità vuole lasciare in eredità alle future generazioni? Perché senza una rapida inversione di rotta nelle politiche allocative del Paese, senza riforme in grado di ammodernare la sanità pubblica, senza restituire valore sociale al Ssn, il “ghiacciaio” continuerà inesorabilmente a scivolare.

 

E noi tutti assisteremo impotenti al dissolversi del Ssn. Con buona pace dell’articolo 32 che tutela il più importante, ma anche il più fragile ed evanescente dei nostri diritti.