Il progenitore dello spyware israeliano di nome Pegasus fu acquisito dai Servizi messicani per la lotta alla droga, ma fu usato dai trafficanti e contro gli oppositori del governo

E questo aggeggio come si chiama?». «Pegasus, generale. Come il cavallo alato della mitologia greca. È uno spyware. Consente di intercettare un telefonino senza lasciare traccia. Può sapere tutto in tempo reale: mail, foto, contatti, chiamate in entrata e uscita. Può persino vedere cosa fa la persona tramite l’obiettivo. La quale, ovviamente, non si accorge di nulla».

 

Il generale dell’esercito messicano restò in silenzio mentre guardava scettico i sei tecnici israeliani della Nso Group che aveva davanti. La trattativa si era arenata. Sul prezzo: 60 milioni di dollari non erano uno scherzo. Ma se Pegasus, come lo chiamavano, avesse funzionato, chi lo aveva in mano avrebbe avuto un’arma imbattibile. Avrebbe avuto occhi e orecchi ovunque. C’era imbarazzo e una certa tensione. Il generale alleggerì il clima con un largo sorriso e una proposta. «Ci vediamo stasera, in un posto più discreto – disse – sono certo che raggiungeremo un accordo». Il posto era un locale di spogliarelliste. I pochi presenti furono mandati via e i sei emissari della più sofisticata società di informatica al mondo si ritrovarono di nuovo a discutere con il generale e i suoi ufficiali. L’affare andò in porto e il Messico fu il primo Paese al mondo a munirsi di uno strumento di spionaggio che solo quattro anni dopo sarebbe stato scoperto con una denuncia clamorosa: Pegasus aveva intercettato, ascoltato, pedinato fino a 15mila persone. Non potenziali terroristi o pericolosi criminali come prevedeva l’accordo di compravendita. Ma semplici cittadini. Passeranno almeno 10 anni prima di scoprire l’esistenza del fratello minore della Paragone, quello scoperto in Italia.

 

La storia, confermata da quattro fonti dirette, appare sul New York Times nel 2014, tre anni dopo l’acquisto da parte del governo messicano di quella che viene definita dallo stesso quotidiano Usa «l’arma cibernetica più potente che esista». Il lungo reportage provoca un vero scandalo. Anche perché si scopre che era stato usato per spiare giornalisti, attivisti e oppositori politici, docenti e intellettuali, compresi alcuni parlamentari. Presidente del Messico è Enrique Peña Nieto. Il quale nega qualsiasi coinvolgimento del suo governo. Eppure, ci sono tracce di Pegasus che risalgono nel tempo, al 2012, quando al potere c’era Felipe Calderón. L’esponente del Pan (Partito azione nazionale) resterà famoso nella storia del Paese per la sua guerra contro i Cartelli della droga che provocò una vera mattanza tra la popolazione: 100mila morti. Si sospetta che siano stati proprio i vertici dell’esercito di quegli anni a cercare qualcosa sul mercato in grado di infrangere il muro di protezione che avvolgeva i narcotrafficanti. Intercettarli era impossibile. Usavano i Blackberry, un modello di telefonino inattaccabile.

 

Dopo la notte passata allo strip club, il 25 maggio del 2011 Eran Reshef, un rappresentante dell’industria della difesa israeliana che aveva contribuito a mediare l’accordo, scrisse una mail al presidente della Nso e ai suoi due fondatori annunciando che «la dimostrazione al presidente del Messico e al segretario della Difesa avrà luogo venerdì prossimo». Si riferiva a Felipe Calderón e a Guillermo Galván Galván. Copia di questa mail è finita tra le carte di una causa israeliana avviata sulle presunte commissioni ottenute dalla società di informatica con la vendita di Pegasus al Messico. Nel corso del processo, due testimoni, presenti alle trattative, dichiararono che l’incontro definitivo si svolse in una grande base dell’esercito alla periferia di Città del Messico.

 

Calderón e Galván furono fatti sedere davanti a dei grandi schermi piazzati sulle pareti dove appariva un telefono hackerato. Udi Doenyas, direttore tecnico Nso, progettista dello spyware, confermò durante la causa di essere stato lui a collegare il sistema a uno degli schermi e di aver consegnato a uno dei presenti un telefono Blackberry. L’ufficiale dell’esercito iniziò a premere qualche pulsante, tanto per scrivere un semplice testo di un messaggio da spedire. Tutto sembrava normale. Il cellulare non dava segni di compromissione. Ma Pegasus iniziò metodicamente a estrarre ogni singolo pezzo dei dati, trasmettendoli sullo schermo in modo da essere visibili a tutti. «Era esattamente quello di cui avevano bisogno», ammetterà più tardi Guillermo Valdés, ex direttore del Cisen, che in Messico equivale alla Cia. «Fino a quel momento se qualcuno che intercettavamo spegneva il telefono non sapevamo più dove fosse finito».

Quattro mesi dopo, nel settembre del 2011, circa 30 dipendenti della Nso volano in Messico per installare lo spyware. Lo testano e istruiscono un gruppo di 50 soldati e ufficiali su come usare quella tecnologia. Le autorità messicane sono entusiaste. Tanto che dopo l’insediamento del presidente Enrique Peña Nieto l’accordo con la società informatica israeliana è rinnovato dall’ufficio del procuratore generale e dal Cisen. È servito ad arrestare perfino il Chapo Guzmán. Ed è proprio in questo periodo che è stato usato contro giornalisti, difensori dei diritti umani e politici dell’opposizione. Grazie alla Apple, come ha fatto Meta in Italia con il Graphite della Paragone Service, questa enorme operazione di spionaggio abusivo viene a galla. Un messaggio arriva sul cellulare di Santiago Aguirre, un noto esponente a difesa dei diritti civili. «Ti hanno hackerato», avverte la multinazionale di Cupertino. Era bastato aprire un sms. Un semplice click e Pegasus, come un cavallo di Troia, era entrato nel cellulare. La cosa suscita sempre più clamore. Il presidente Nieto continua a negare qualsiasi coinvolgimento del suo governo. Ma una commissione d’indagine parlamentare conferma la presenza di questo spyware grazie ai test forensi condotti da Citizen Lab, un gruppo di controllo con sede presso l’università di Toronto a cui le vittime si erano rivolte.

 

Vengono indagati quattro alti funzionari, tra cui Tomás Zerón, l’ex capo degli investigatori della procura generale ai tempi di Calderón. L’inchiesta non approda a nulla. Zéron, responsabile anche delle indagini sulla scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa, fugge e si ripara in Israele che si rifiuta tuttora di estradarlo. Si viene a scoprire che sia la procura generale sia l’esercito seguirono grazie a Pegasus tutte le fasi di questo giallo del 2014 che non è mai stato chiarito. Dopo aver giurato che se ne sarebbe liberato, anche il presidente Obrador ha continuato a farlo usare dalle sue strutture di intelligence. Il grande orecchio e occhio orwelliano si era nel frattempo diffuso in tutto il mondo. Almeno 19 Paesi, Italia esclusa, lo hanno usato o preso in considerazione. In Messico è finito in mano ai Cartelli che hanno avuto gioco facile a pedinare i giornalisti e a ucciderli in pieno giorno in mezzo alla strada. In Turchia è stato usato dai sicari sauditi per fare fuori Jamal Khashoggi, il noto editorialista e scrittore attirato in una trappola e fatto a pezzi nel consolato di Riad a Istanbul.