Editoriale
La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa
Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce
Tempi duri per l’Unione Europea. In seguito alla rinnovata complicità tra Stati Uniti e Russia, il Vecchio Continente rischia di diventare un attore secondario sul palcoscenico geopolitico mondiale, dove invece per decenni ha interpretato un ruolo indiscusso di co-protagonista.
L’ascesa di Trump alla Casa Bianca ha duramente scosso le fondamenta del diritto internazionale, trasformando la gestione del conflitto ucraino in un esempio di come i valori democratici e il quadro normativo internazionale potrebbero vacillare pericolosamente. Fino a poco tempo fa l’invasione russa dell’Ucraina era stata condannata da un coro unanime di nazioni, compatte nel sostenere il legittimo diritto di Kiev alla propria sovranità. Quelle stesse nazioni, ora, si trovano di fronte alla prospettiva di un nuovo negoziato, gestito principalmente da Mosca e Washington, che le esclude totalmente e nel quale il conflitto non si risolve riaffermando la legittima sovranità dell’Ucraina, la giustizia e la democrazia, ma attraverso il compromesso. E così si parla di pace, certo, ma a quale prezzo?
Le voci si moltiplicano: scambi di territori, concessioni strategiche, l’accesso ai ricchi giacimenti di terre rare, il tutto in una sorta di nuova Jalta senza l’Unione Europea. L’idea di sacrificare parte della sovranità ucraina per placare l’aggressione russa sta purtroppo guadagnando terreno anche se sarebbe un tradimento di quei valori che l’Europa si è sempre impegnata a difendere. Francamente non è questa la pace che avremmo voluto. Fortunatamente il vertice d’emergenza convocato dal presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito con fermezza che l’Europa non abbandona l’Ucraina, anche se i leader intervenuti sono apparsi divisi sull’invio di forze militari di pace per garantire l’eventuale cessate il fuoco e mentre si fa strada l’ipotesi di escludere dal calcolo del deficit e dai parametri di Maastricht l’aumento delle spese militari che supereranno il 2 per cento del Pil.
La crisi mediorientale con il conflitto israelo-palestinese rappresenta l’altro banco di prova per l’Europa, scavalcata anche qui dall’ irruenza di Trump e dalla sua idea di un “nuovo” progetto: il trasferimento forzato dei palestinesi dalla Striscia di Gaza per trasformare la regione in un paradiso turistico. Di fatto un piano per cancellare l’identità e la storia di un popolo, riducendolo a merce di scambio, e cancellando ogni diritto umano. La prospettiva di un resort di lusso che si erge sulle macerie di una nazione distrutta è tanto fuori da ogni logica giuridica, quanto diabolica. E anche qui l’Unione Europea, messa all’angolo dalla storia, sembra assistere impotente a questo dramma. Eppure ha sempre avuto le potenzialità per essere un faro di cooperazione, stabilità e promozione dei diritti. Che fine ha fatto la diplomazia europea? Perché l’Unione si è ridotta a mera spettatrice che subisce le decisioni altrui? Mentre la geopolitica del XXI secolo sta cambiando in modo vertiginoso, l’Europa deve ritrovare la sua voce: non come un’entità debole in balìa delle tempeste, ma come un’attrice capace di promuovere valori e diritti. E magari riflettere seriamente sull’invito rivolto al Parlamento Europeo da Mario Draghi: «Per far fronte alle sfide dell’Unione Europea, è chiaro che dobbiamo agire sempre più come se fossimo un unico Stato».