"Miss Italia non deve morire": il mito, la crisi e l'ipocrisia (di Tele Meloni)

Il documentario Netflix mostra l’attaccamento al concorso di bellezza. Che la Rai non ha più voluto trasmettere. Ma solo per non correre blandi rischi

Patrizia Mirigliani è come l’ultimo giapponese, che non si vuole arrendere, lotta in solitaria sull’isola deserta delle idee e si ritrova da sola a difendere il regno che non c’è. Una storia triste quasi quanto vuota quella di “Miss Italia non deve morire”, il documentario Netflix che, in maniera del tutto inedita, è riuscito a mostrare la desolante desertificazione generale con l’assenso dei suoi protagonisti. Perché solitamente, si tratti di venditrici di creme sciogli pancia o di star televisive ex mogli di calciatori bomber, le protagoniste delle storie ritratte riescono sempre in qualche modo a uscirne con una dignità sopravvalutata. In questo caso invece no, senza appello di sorta. 

 

L’attaccamento viscerale che mostra Mirigliani nei confronti della creatura di famiglia, ha una maniacalità che la mostra completamente nuda, assai più delle forme delle miss. «C’è una piccola nicchia radical chic con un femminismo terribile che non vuole Miss Italia, come se esibire la bellezza fosse una colpa», dice Patrizia Mirigliani, mentre echeggiano le parole di accusa di Laura Boldrini alla Camera. E mentre il tempo scorre, come mosche impazzite gli agenti regionali di reclutamento delle gambe lunghe cercano idee geniali per rinnovare il format. «Ho scoperto che ci sono sessanta emergenze mondiali: le miss ne possono parlare». Oppure: «Buttiamole sugli anniversari: per esempio, c’è l’8 settembre no?». In sostanza il doc assai ben fatto ideato da Pietro Daviddi, David Gallerano e Gregorio Romeo, mostra l’irresistibile discesa del concorso che ha portato alla notorietà le dive dei tempi d’oro, ha avuto il suo fulgore sulla televisione pubblica, si è trascinato su altre reti con l’affanno per poi finire online sponsorizzato dai ristoratori del radicchio. 

 

Eppure quale miglior momento storico per far tornare il concorso antico ai fasti altrettanto antichi? Lo dice senza filtri Casimiro Lieto, uno degli autori dell'edizione 2023: «Identità nazionale, sovranismo. Io penso che Miss Italia non debba temere nulla. Se è vero che un ente di Stato come la tv pubblica è espressione, per legge, del Governo e dei partiti politici, noi siamo a cavallo». Invece no, nessun cavallo, tantomeno quello di viale Mazzini che lo esclude dal palinsesto. E mentre la patron Mirigliani piange calde lacrime per il destino gramo inflittole proprio da Tele Meloni, viene da chiedersi se Miss Italia sia morta per davvero perché il Paese si è nobilmente evoluto. O semplicemente se questa televisione non abbia più voluto correre blandi rischi. Tanto la rappresentazione delle donne più o meno è sempre quella, ma senza concorso facciamo finta di non vederlo.

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