Crisi climatica. L'errore di credere alla buona volontà

Su 195 Stati, in 13 hanno presentato i piani chiesti dall’accordo di Parigi. I governi hanno altri interessi

È scioccante che solo 13 Paesi su 195 abbiano aggiornato i propri Ndc, con la maggior parte delle nazioni ricche in ritardo sulla scadenza: avvertiamo un’allarmante mancanza di volontà politica sugli impegni presi a Parigi». Le parole di Tasneem Essop, direttore esecutivo del Climate Action Network, sono dirette e inequivocabili. Sta succedendo qualcosa di gravissimo nel silenzio generale della politica e della gran parte dei media.

 

Lo scorso 10 febbraio scadeva il termine in cui consegnare ufficialmente alla Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, gli impegni concreti per ridurre le emissioni di gas climalteranti. Si tratta dei nuovi “Nationally Determined Contributions”, i piani nazionali determinati ogni cinque anni dai governi per raggiungere l’obiettivo stabilito dall’accordo di Parigi durante la Cop21, la conferenza sul clima del 2015. Quale obiettivo? Tenere l’aumento della temperatura della Terra entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, consapevoli che un’ulteriore crescita avrebbe conseguenze catastrofiche per la nostra specie. Il problema è che dei 195 che hanno siglato l’accordo di Parigi solo 13 hanno rispettato la scadenza. Il 95 per cento degli Stati non ha presentato i nuovi piani richiesti dall’Onu. 

 

L’Unep, il programma ambientale Onu, diversi anni fa ci aveva messo in guardia dalla fragilità dello strumento degli Ndc per contrastare la crisi climatica. Calcolando i contributi volontari, già negli anni passati veniva fuori come, in realtà, la temperatura della Terra in questo secolo sarebbe aumentata di 3,2 gradi, altro che 1,5. Affidare i destini dell’umanità esclusivamente alle promesse volontarie dei governi, sempre più ostaggio degli interessi speculativi dei comparti industriali legati ai fossili, è stato un grande errore.

 

La realtà dice che mancano all’appello i piani di Stati che rappresentano l’83 per cento delle emissioni e l’80 per cento dell’economia mondiale. Tra questi vi sono Unione europea, Cina, Russia e India. Mentre gli Stati Uniti del negazionista climatico Donald Trump sono appena usciti dall’accordo di Parigi. Non che con l’amministrazione Biden andasse tanto meglio, considerando che gli Ndc presentati erano completamente insufficienti. L’Ue ha invece fatto sapere che il ritardo è dovuto all’avvio della nuova legislatura che non ha consentito di presentare i nuovi Ndc. In molti, però, fanno trapelare come gli obiettivi precedenti siano irraggiungibili e l’azzeramento delle emissioni entro il 2050 sia a rischio. Eppure, il tempo e i soldi per armi e guerre li trovano. Dinanzi a questo generale disimpegno, le Nazioni Unite hanno rinviato la scadenza. Al più tardi bisogna avere gli Ndc entro settembre per includerli nel rapporto di sintesi che uscirà prima della Cop30, che quest’anno si terrà a Belem, in Brasile, afferma Simon Stiell, segretario per il Clima. Tutto ciò conferma la debolezza di strumenti volontari senza una politica comune su questioni che riguardano la sicurezza di tutti e tutte. Ha ragione il presidente Sergio Mattarella: a Marsiglia, ha affermato che «le attuali istituzioni non bastano più, servono idee nuove e non l’applicazione di vecchi modelli». Se vogliamo imprimere una svolta serve il coraggio di dare finalmente voce a un’altra visione, alimentando un’altra agenda politica, costruendo istituzioni nuove in grado di garantire la partecipazione di chi difende beni comuni e diritti della natura, investendo su un’economia di pace e su un altro modello di società. Facciamo Eco!

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