Abbandonato per decenni alla foresta, riaperto dieci anni fa ai visitatori dopo una ripulitura sommaria, il Beatles Temple sarà restaurato e aperto al pubblico nel giugno del 2026. Così promette l’archistar indiano Bimal Patel cui è stato assegnato il progetto con un costo pari a 900 milioni di dollari. Siamo nella piccola Rishikesh, piena di templi alle falde dell’Himalaya, in un’ansa del sacro fiume, qui nell’ashram del Maharishi Yogi, maestro della Meditazione trascendentale, all’interno del Royal Tiger Reserve, il parco delle tigri, dove si consumò l’happening artistico-spirituale più celebre dell’epoca moderna.
L’architetto Patel è concittadino e amico personale del premier Narendra Modi, entrambi della regione del Gujarat, ed ha all’attivo la costruzione del Gandhi Ashram nella stessa regione e il nuovo Parlamento a Delhi. Il progettista ha assicurato, in un’intervista al quotidiano The Indian Express, che il centro sarà aperto ai visitatori solo durante le ore diurne e avrà una «destinazione turistica a basso impatto». «Una caffetteria, un negozio del museo e un ufficio amministrativo – ha precisato – saranno ospitati negli edifici ristrutturati. Gli altri saranno dedicati solo a mostre su Maharishi, i Beatles e il Rajaji National Park. Abbiamo in programma di riparare e restaurare 12 dei 25 edifici, i rimanenti saranno lasciati così come sono per servire come ricordo del tempo passato».
Dubbi sulla destinazione, però, sono nell’aria. Associazioni ambientaliste e gli stessi zoologi del parco si mostrano preoccupati, temono che il restauro dell’ashram – nonché l’aumento esponenziale dei visitatori – comprometterà l’habitat degli animali e del grande parco nel suo complesso, tigri comprese. Scetticismo amplificato dalla dichiarazione di un alto funzionario statale, poi smentita, e cioè che i cottage verranno trasformati in resort per ospitare i turisti. Il ministro delle Foreste dell’Uttarakhand, Subodh Uniyal, ha così risposto ai timori: «Non molto di ciò che si trova all’interno dell’ashram verrà toccato. Il piano è di mantenerlo così com’è, preservando l’eredità dei Beatles».
Ma cosa ci facevano i quattro di Liverpool, al picco della loro fama, in quell’angolo ancora ignoto di mondo? Mentre 400 milioni di spettatori ascoltavano sul neonato satellite televisivo “All you need is love” (Tutto ciò che hai bisogno è amore), che preludeva alla svolta spirituale, John, Paul e George incontravano per la prima volta Maharishi nella sala da ballo dell’Hotel Hilton a Londra. Il guru aveva il suo seguito a Hollywood come nelle pianure del Galles e lì lo seguirono, consapevoli del suo magnetismo e degli insegnamenti che aiutavano a vivere in equilibrio nella vorace società ipercapitalistica nascente. Fu così che accettarono il suo invito in India per un ritiro spirituale.
John Lennon e George Harrison, con le loro mogli, atterrarono per primi all’aeroporto di Nuova Delhi con un volo notturno da Londra. Erano le 8 e15 del 16 febbraio 1968 quando furono accolti dall’assistente Mal Evans e dalla giovanissima diva Mia Farrow che aveva appena finito di girare “Rosemary’s Baby” diretto da Roman Polanski. Lennon e Harrison nessuno li riconobbe. E per una volta non furono assediati dalle ragazze in delirio. «Il nostro arrivo a Delhi passò inosservato – raccontò John – Fummo caricati in tre vecchi taxi indiani malconci, senza il solito trambusto e la corsa frenetica». A dorso di asino l’ultimo tratto in salita, dalla banchina del Gange fino all’ashram del maestro che aveva conquistato centinaia di migliaia di adepti in occidente.
Tre giorni dopo, ecco i più scettici Paul McCartney e Ringo Starr, nonché Donovan, Mike Love, leader dei Beach Boys, all’epoca secondi solo ai Beatles nella classifiche, l’attrice Candice Bergen, il maestro del sitar Ravi Shankar, nonché duecento tra giornalisti e fotografi convenuti da ogni dove e tutti accampati dietro ai cancelli del resort spirituale, decine di cottage in pietra con tetto a guglia e una caseggiato principale nei cinque ettari di foresta concessi in affitto ventennale al guru all’interno della Riserva delle tigri reali. E costruito con i centomila dollari di una giovane ereditiera americana. Tutti, tranne uno. Il trentenne reporter Lewis Lapham, inviato e non ancora assunto del Saturday Evening Post, magazine Usa da tre milioni di copie, fu incredibilmente ammesso da Maharishi e raccontò in presa diretta anche in un libro, poi tradotto in italiano (I Beatles in India, Edizioni e/o) e che viaggiò al ritorno dopo soli dieci giorni con Ringo che non vedeva l’ora di tornare a casa.
Furono le settimane che cambiarono la musica globale, con le contaminazioni orientali del sitar di Shankar e i brani del disco multiplo “White Album” che preannunciò la separazione dei Fab Four. A breve sarebbero scesi in piazza gli studenti del Maggio francese, Mao avrebbe guidato la Rivoluzione culturale, con Martin Luther King e Bob Kennedy sarebbe stato ucciso il sogno americano, altri 40mila giovani yankees sarebbero morti nelle risaie del Vietnam, Woodstock avrebbe aperto la via alla musica ribelle. E, come scrisse Lapham, divenuto nel tempo uno dei migliori reporter del secondo Novecento, «la cocaina prendeva il posto della marijuana nei mercati della trascendenza». Nemmeno due anni dopo, i Beatles prematuramente si sciolsero: fu uno choc per milioni di ventenni nel pianeta.
I Fab Four entrarono in pieno nel clima olistico dell’ashram, tanto che composero decine di brani, in buona parte arrangiati da Lennon, il quale era arrivato con una doppia aspirazione: trovare il suo centro di gravità permanente e recuperare il rapporto con la moglie Cynthia, causa la sbandata per Yoko Ono, l’artista dell’alta borghesia giapponese cresciuta negli States, che lo aveva stregato. John, però, non potè fare a meno di scendere ogni mattina alle poste e ritirare il telegramma di Yoko. Quando lei gli scrisse che «se vedi adesso quella nuvola passare, la mia anima sta volando a salutarti», così pressappoco lei gli scrisse, John comprese che il suo matrimonio era finito. Al suo ritorno divorziò, convolando a nozze con Yoko.
Nella pace di Rishikesh s’intersecava un altro celebre matrimonio infranto: Frank Sinatra voleva la giovane moglie Mia Farrow nel suo film, ma lei stava ancora girando con Polanski. Lui, marito padrone, le inviò l’avvocato sul set con le carte del divorzio da firmare. E l’attrice, col cuore infranto, volò in India dove il guru, che non disdegnava sesso e denaro, avrebbe provato a sedurla nel momento più sbagliato. La Farrow si sottrasse e partì per Goa. Ma dieci giorni dopo tornò avvolta da un candido abito bianco, racconta Lapham, e fu invitata con un morbido sorriso da Maharishi a sedere in prima fila. Le tensioni che nacquero tra lo yogi e i Beatles si dileguarono tempo dopo a Londra con la riconciliazione e un abbraccio corale. Oggi, in tempi di grande business dei viaggi, il settore vale 24 miliardi di dollari per l’India. Da qui la scelta di restaurare il leggendario ashram per destinarlo al turismo. Gli insegnamenti dello yoga e la musica celestiale dei Beatles non hanno evitato che il tarlo del denaro corrodesse il mondo.