È americano Chris Bangle, uno dei più importanti designer del mondo che a metà degli anni 90 ha rivoluzionato lo stile delle Bmw. Americano dell’Ohio, ma si capisce subito che nel suo cuore c’è tanta Italia. Primo, perché dal 2009 vive nelle Langhe, in un casale di Clavesana, dove si è trasferito dopo aver lasciato il Centro Stile del marchio tedesco che ha diretto per 17 anni. Secondo, perché un uomo nato in una città che guarda caso si chiama Ravenna, qualcosa di italiano nel suo destino ce lo doveva pur avere. Eccolo, dunque, Chris Bangle, classe 1956, protagonista di una seconda vita, diversa ma uguale. Sempre con la testa e con il cuore nel design, alle prese con sfide quotidiane e pronto a superare tutti i confini. D’altronde come poteva fermarsi il designer che ha “reinventato” le linee della Bmw, sfidando le consuetudini e stravolgendo l’immagine delle auto che hanno fatto innamorare tedeschi ed europei? Talmente “rivoluzionario” che al tempo venne organizzata addirittura una petizione online per licenziarlo.
E come poteva fermarsi il designer che all’inizio della sua carriera per creare gli interni di un’auto (una concept car della Opel, dove venne assunto nel 1981) si era ispirato all’Ikea? «Volevo che arrivasse nuda al cliente e poi ognuno poteva riempirla a piacere, acquistando i vari pezzi come l’autoradio, il contagiri e aggiungerli secondo i propri gusti». Così oggi, Chris Bangle continua a inventare. Senza limiti o frontiere come nel caso del progetto Big Bench, panchine giganti legate a una fondazione no profit che sostiene le comunità, il turismo e le eccellenze artigiane dei luoghi in cui vengono posizionate. Dalla prima a Clavesana nel 2009, sono diventate 404 e 72 sono in fase di costruzione negli angoli più belli del mondo per guardare l’orizzonte sempre da un altro punto di vista. Chris Bangle adesso dirige la società che porta il suo nome e si occupa di progettazione di barche, astronavi, auto elettriche, gioielli e animazione di oggetti di design. E poi? La scrittura. Ha appena pubblicato “Leggende tra le righe del Car Design” (Edizioni Minerva), per raccontare la sua avventura professionale e umana. Sempre alla ricerca di un modo di interpretare e vivere tutto quello che ci circonda.

Bangle, cominciamo dal libro.
«Ho sempre disegnato sketch ma non c’era mai stata occasione di metterli insieme. Quando questa occasione è arrivata ho scritto 102 capitoli e ne ho fatto un libro. Un modo per innescare pensieri che ho condensato nei testi. È il mio punto di vista, un modo per concludere un lungo periodo di indagine sul car design. Per raccontare la mia vita piena di oggetti e di modi di vedere la vita. Ma non è niente di tecnico, anzi. Per esempio, uno dei capitoli s’intitola: “venire, andare, cagare, falciare”. Era la visione di un gruppo organizzato negli anni della grande Depressione americana, la scena tipica di un cantiere: di quattro persone, una viene, una va, una caga e l’altra falcia. Evidentemente quella che falcia è l’unica a svolgere un vero lavoro. L’ho applicata come regola generale negli uffici. Oggi, infatti, si vedrebbe una persona che arriva da una riunione, un’altra che ne fissa o ne annulla una, una che sta al bagno e soltanto una curva sul tavolo che svolge il vero lavoro».
Nell’introduzione del libro cita e sposa un vecchio proverbio: “Tutto riguarda il sesso tranne il sesso che riguarda il potere”. Ci spiega cosa c’entra con le auto?
«Parto da questo presupposto: solo per il fatto di essere desiderato ti senti sexy. Avviene per le persone e anche per le auto. È proprio questo che mi attrae nelle macchine, perché si collocano in quel particolare punto di incontro tra sesso e potere».
Dal desiderio all’emozione. Un capitolo si intitola “riportare l’emozione alla guida”. Significa che oggi non esiste più?
«Significa che abbiamo sbagliato a definire l’emozione di guida, identificandola, per esempio, con la velocità. No, anche l’emozione deve essere desiderio. È la base della bellezza, la premessa di felicità. Quindi l’emozione non riguarda le curve ma il piacere. Qualcosa che ti fa sentire bene. Quando ero alla Bmw il mantra era che la gioia e il valore del veicolo risiedono nell’effettiva esperienza di guida».
Da cosa è rappresentata la bellezza in un’auto?
«Per descrivere i diversi tipi di bellezza delle auto faccio sempre riferimento alle donne. C’è quella superficiale della Fashion Model Beauty, come le ultime Ferrari, le McLaren e le supercar in genere: un’attrazione istantanea che dura finché non arriva quella successiva. Poi la Super Model Beauty: esagerata, fuori dall’ordinario come la Lamborghini Countach. Le supercar di oggi sono troppo prevedibili, troppo educate e troppo prêt-à-porter per essere allo stesso livello della Countach, esageratamente osé, spudorata e sensuale (azzarderei erotica). Quindi c’è la Pin Up Beauty, quella che ti fa immaginare cosa faresti, potresti e se solo… come la Miura, allettante e sexy come un poster di Sophia Loren nei suoi stivali nel film Arabesque, un sex appeal sicuro e in dosi perfette. Infine, ci sono le Bellezze classiche, come Audrey Hepburn o Grace Kelly, apoteosi della femminilità. Solo alcune auto saranno sempre amate come bellezze classiche come l’Alfa Duetto, la Lancia Fulvia Coupé o la Ferrari Dino».
E qual è la sua idea di bellezza?
«Quella delle Tragic Beauty che ti strappano il cuore perché vorresti stare con loro, abbracciarle ma sai che non puoi farlo. Sono le auto degli anni Trenta, l’età d’oro della carrozzeria. L’unica soddisfazione è vedersi riflessi nelle cromature della loro carrozzeria. È questa la vera tragedia della loro bellezza».
Oggi, quali auto la colpiscono?
«Quelle inaspettate ma plausibili. Purtroppo, molte sono soltanto plausibili. Come quelle che ho trovato quando sono arrivato, agli inizi degli anni 90 in Bmw».
Ci racconti in che situazione era la Bmw.
«Era un marchio alla fine della sua plausibilità. Continuando a fare sempre le stesse cose in termini di stile, le loro auto non colpivano più la gente e quindi non potevano funzionare. Occorreva abbattere quel ponte. E questo poteva accadere soltanto con qualcosa di molto radicale. Ho iniziato con la Serie 3. Certo, a posteriori appare più educata che scioccante. Aveva comunque linee considerate moderne per la vecchia guardia Bmw. Ma è stata la Serie 5, l’idea più radicale, un’auto scandalosa».
Come hanno accolto queste innovazioni?
«Molti top manager soffrivano della stessa incapacità di Mark Twain di immaginare il nuovo. Lo scrittore diceva: “Sono completamente a favore del futuro, è il cambiamento che non sopporto”. Così mi ripetevano ad ogni occasione: “Perché la prossima auto non può assomigliare all’ultima?”».
Insomma, il trionfo della standardizzazione a scapito della libertà creativa. Tutto quello contro cui Bangle ha combattuto e combatte. Un designer per cui la bellezza risiede nell’originalità e nel coraggio di rompere gli schemi. Proprio come la sua Reds, realizzata nel 2017, un prototipo di citycar elettrica che trasformava l’auto in un salotto mobile: lunga 2 metri e 97 e in grado di ospitare 5 persone. Forse, l’auto che oggi tutti vorrebbero.