Niente più “padre” e “madre”, ma un neutrale “genitori”. La Corte di Cassazione ha messo la parola fine sulla spinosa questione della dicitura da usare per la carta d’identità, dopo aver bocciato un ricorso del ministero dell’Interno contro la decisione della Corte d'Appello di Roma di disapplicare il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019, con il quale era stato eliminato il termine “genitori”. “La dicitura ‘padre/madre’ è discriminatoria”, spiegano i giudici della Cassazione, perché “non rappresenta tutti i nuclei familiari e i loro legittimi rapporti di filiazione”. La decisione della Suprema corte è una bocciatura della battaglia culturale portata cara al centrodestra. La scelta di usare “padre” e “madre” al posto del più generico “genitori” era stata presa direttamente da Salvini, quando era al Viminale, durante il governo Conte I, quando la Lega governava con il Movimento 5 stelle. Il decreto ministeriale andava a modificare i termini contenuti nelle disposizioni approvate nel 2015, quando al governo c’era Matteo Renzi (“… o dai genitori o tutori in caso di morte”, sostituendole con “… o dal padre o dalla madre, disgiuntamente, o dai tutori, in caso di minore”).
Il tribunale di Roma - contro cui il ministero dell’Interno ora guidato da Matteo Piantedosi ha fatto ricorso - aveva già ritenuto la norma discriminatoria per i figli di coppie omosessuali: una scelta obbligatoria affinché il documento, “valido per l’espatrio, desse una rappresentazione corrispondente allo stato civile del piccolo, che aveva il diritto a ottenere una carta d'identità, utile anche per i viaggi all'estero, che rappresentasse la sua reale situazione familiare". Un diritto che il modello attuale non garantisce perché "non rappresenta tutte 'le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione'".