Il tema delle liberalizzazioni è prepotentemente entrato come tema principale dell'agenda politica del nostro Paese. Si tratta di uno sviluppo positivo, visto che l'Italia langue da decenni in fondo alle classifiche della competitività e della facilità di iniziativa imprenditoriale e tale stato di cose ha certamente contribuito al suo incontestabile e sin qui inarrestabile declino.
Gli avversari delle liberalizzazioni in genere hanno due argomenti: il primo è che esse distruggono ricchezza perché immiseriscono gli architetti, i commercianti, i notai, le imprese municipalizzate, i farmacisti o chi volete voi. La seconda è che l'apertura alla competizione andrebbe a detrimento della qualità che i nuovi entranti non saprebbero assicurare. E comunque, se proprio si deve cominciare, ciascun esponente di qualsiasi corporazione lamenta il fatto che la propria è già fin troppo esposta alla concorrenza e che bisognerebbe iniziare a deregolamentare da ben altri potentati economici rispetto al proprio.
Questi argomenti, a un'analisi appena un poco attenta, non reggono. Un qualsiasi manuale di microeconomia insegna che il monopolio e l'oligopolio più insidiosi sono quelli garantiti dalla legge. La barriera all'entrata più insormontabile è quella delle manette, si potrebbe dire. E che l'oligopolio e il monopolio distruggano ricchezza è facilissimo da dimostrare: tenendo i prezzi più alti essi impediscono che alcuni consumatori possano accedere al bene o al servizio che sarebbe alla portata delle loro tasche se solo fosse ammessa la presenza di nuovi operatori in grado di fare prezzi più bassi. Inoltre, il soprapprofitto del monopolista costituisce una risorsa che potrebbe essere indirizzata verso investimenti in altri settori promettenti. La mancanza di concorrenza, poi, soffoca la diffusione della conoscenza, in quanto la competizione tra imprese è soprattutto un processo di scoperta: scoperta dei gusti dei consumatori, di nuovi prodotti, tecniche di lavorazione, esigenze, mercati, tecnologie. La concorrenza migliora la qualità, insomma, e fa sì che le imprese meritevoli crescano e prosperino.
C'è un'obiezione verso la quale provo un po' di comprensione ed è quella proveniente da chi già adesso non naviga nell'oro, sgobba molto ed in più è additato come exemplum mirabilis del lobbysmo. Tipico caso è quello dei tassisti, il cui mercato deve essere ovviamente liberalizzato ma che non sono certo la fonte di tutti i mali del Belpaese.
In effetti vi sono delle attività nevralgiche per lo sviluppo dell'economia, individuate anche dall'Autorità Antitrust, che ancor oggi sono regolamentate in modo da non permettere il pieno dispiegarsi delle forze di mercato. Un elemento interessante di questa situazione è che la scarsa liberalizzazione dipende spesso dalla mancata privatizzazione o da una vendita effettuata molto tardi e male.
Exemplum, questo sì mirabilis, di quest'ultima situazione è la tormentata vicenda Alitalia, costata secondo gli studi più accreditati 4 miliardi di euro al contribuente e che, oltretutto, per essere finalizzata ha comportato la sospensione delle regole antitrust sulla rotta Linate-Fiumicino; sospensione che, fortunatamente, dovrebbe finire col 2012. Nel traffico aereo un problema importante è dato dalla concessione degli slot (partenze ed arrivi) che sempre a Linate sono appannaggio di Alitalia che li utilizza tutti (sebbene con un tasso di riempimento degli aerei medio del 50 per cento) pur di non fare entrare concorrenti. Anche qui, la pausa delle norme sulla concorrenza ha impedito qualsiasi azione.
Ciò detto, stando ai dati di bilancio, Alitalia sembra comunque più efficiente ora di quando era statale.
Il settore degli aeroporti è complicato: i diritti aeroportuali vengono stabiliti con decreto ministeriale con criteri spesso contestati visto il ritardo nel recepimento della direttiva europea sui trasporti aerei che introduce principi di trasparenza e non discriminazione. C'è poi la saga del numero degli aeroporti: il ministro Passera afferma siano troppi mentre gli amministratori locali stanziano soldi per costruirne di nuovi (da ultimo, la regione Calabria con 35 milioni per un nuovo scalo). In realtà non sono né pochi né tanti se la loro costruzione e gestione è lasciata in mano ai privati, i quali rischiano il loro denaro e se sbagliano peggio per loro. Diversa è invece la corsa degli enti pubblici a investire risorse per tagliare nastri e creare finta occupazione.
Un altro settore dove privatizzazione e liberalizzazione potrebbero andare mano nella mano è quello dei servizi postali. Nonostante l'entrata in vigore della direttiva europea, Poste italiane gode ancora di alcuni vantaggi, quali una definizione del "servizio universale" (che quindi può svolgere in esclusiva) molto ampia e una concessione di 15 anni dell'affidamento di tale servizio. Il bilancio di Poste viene poi rinfrancato dall'esistenza di Banco Posta, un'invenzione geniale che consente di fare concorrenza alle banche profittando di una rete di uffici pagata negli anni passati dal contribuente e senza un completo assoggettamento alle regole del Testo Unico Bancario. Ora, se Poste e Banco Posta fossero separate e vendute, lo Stato incasserebbe bei quattrini e non ci sarebbe più ragione per avere l'occhio di favore che finora si è avuto per l'ex monopolista.
Non dimentichiamoci dei trasporti ferroviari. In questo caso è indubbio che l'attuale management sia stato molto bravo, raddrizzando in parte una situazione di sprechi che era fuori controllo. Onore al merito, ma non ci sarebbe niente di male a separare Trenitalia da Rfi, vendere la prima e metterla in concorrenza con la Ntv di Montezemolo e Della Valle e chiunque altro voglia competere senza fare la fine della povera Arenaways, che per collegare Torino a Milano era sottoposta a orari impossibili e non poteva fare fermate intermedie ed è stata perciò costretta a portare i libri in tribunale (articolo a pag. 106).
Né sembra sensato che non sia possibile trovare gli orari dei treni Deutsche Bahn o delle ferrovie svizzere nelle nostre stazioni: sarebbe come se gli aeroporti informassero solo sui voli Alitalia! Assai inefficiente è poi il sistema di concessione dei trasporti regionali su rotaia, anch'essi in mano a società pubbliche. La futura Autorità dei trasporti servirà sperabilmente ad aumentare il tasso di concorrenzialità: il taglio del cordone ombelicale con lo Stato sarebbe il suggello di una gara ad armi pari.
Prendiamo un altro settore caro ai lettori de "l'Espresso", quello televisivo. Si è evitata (sembra) l'assegnazione gratuita delle frequenze sul digitale, ma non basta. Tutte le licenze dovrebbero essere liberamente trasferibili tra operatori, anzi, direttamente acquistabili, ponendo un limite antitrust non sui ricavi ma, come ha proposto Alessandro Penati, sul numero delle frequenze. Inoltre, la Rai dovrebbe essere completamente privatizzata per sottrarre almeno in parte il settore all'inane fardello del conflitto di interessi che lo ha dominato finora. Con una Rai completamente privata, il gioco di sponda con Mediaset sarebbe più difficile, sia con che senza Berlusconi al governo.
Come dimenticarci dei servizi pubblici locali? Qui è addirittura l'Antitrust che propone non solo di liberalizzare ma anche di privatizzare. Si sollecita la messa a gara dei servizi come regola sottoposta a rarissime eccezioni e una scadenza anticipata degli affidamenti esistenti che non sono il frutto di un confronto competitivo a meno che l'ente pubblico non ceda le proprie quote nella società affidataria a dei privati attraverso un'asta.
Peraltro, le gestioni in house e i privilegi di cui hanno goduto le imprese municipali, refugium peccatorum di politici trombati e fonte di sprechi ed inefficienza, sono ormai fonte di una letteratura sia scientifica che giornalistica enorme.
E, volendo concludere in bellezza, perché l'Inail deve essere un monopolio pubblico che sovvenziona i datori di lavoro meno attenti alla sicurezza a scapito di quelli virtuosi, facendo pagare a tutti gli stessi contributi assicurativi per gli infortuni?
D'altronde, quando regolatore e regolato sono entrambi espressione di nomine politiche, appaltatore e appaltante hanno lo stesso proprietario, legislatore e impresa hanno un forte legame (basti pensare a quello tra Rai e politica), è inevitabile che favoritismi, conflitti di interesse e inefficienze fiocchino.
Perciò, se l'opera liberalizzatrice di Monti vorrà essere pienamente credibile ed efficace è bene che faccia suo un motto di stampo cavouriano: liberi nello Stato, liberi dallo Stato.
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