«Sono fascisti, ma metterli al bando sarebbe stupido». Un sociologo di sinistra che li studia da tempo spiega la sua tesi controcorrente

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Emanuele Toscano, sociologo, è ricercatore all'Università di Roma "Sapienza". Insieme a Daniele di Nunzio, ricercatore dell'Ires, ha appena scritto "Dentro e Fuori CasaPound. Capire il fascismo del terzo millennio", edito da Armando Editore. Il libro riporta una ricerca sociologica fatta sul movimento CasaPound durante gli ultimi due anni. A supporto del libro è stato creato un blog allo scopo di articolare un dibattito intorno ai temi principali del testo. Premessa: Emanuele Toscano è tutto tranne che un simpatizzante di destra. E' stato tra gli organizzatori del Popolo Viola ai tempi del No-B. Day e non è raro incontrarlo ai convegni e alle manifestazioni del Pd e della sinistra, a Roma e alltrove.

Emanuele, cominciamo dal fondo: secondo te dopo l'omicidio dei senegalesi è ragionevole l'idea di chiudere Casapound?
«Ti dirò: a me pare che la cosa più pericolosa in assoluto sia associare ad un gruppo le responsabilità di un singolo: il che, tra l'altro, è alla base di tutte le discriminazioni. Detto questo, mi pare ovvio che il gesto di Casseri sia sì una follia, ma comunque di matrice razzista: perché gli spari non sono stati diretti nella folla, ma contro obiettivi accuratamente scelti in base al colore della loro pelle, e hanno ucciso Samb Modou e Diop Mor».

Quindi chiusura sì o chiusura no?
«Chiusura no, e questo per almeno tre motivi: prima di tutto perché questo genererebbe un effetto di ritorno consistente nella vittimizzazione di questo gruppo politico; secondo, perché la riduzione per legge degli spazi di agibilità politica, come dimostra la legge Mancino del 1993, non ha affatto debellato il fascismo, pur negando la possibilità ad alcuni gruppi di ricostituirsi; terzo, più in generale, perché sono convinto che le idee che consideriamo sbagliate vadano combattute discutendole nel merito, e credo che la sinistra abbia tutte le carte per contrastare le idee di Casapound culturalmente, socialmente e politicamente. Perché non farlo?».

Già, perché? Arriviamoci dall'inizio. Perché avete deciso scrivere questo libro?
«Perché ci eravamo resi conto che Casapound, come realtà politica, a Roma aveva acquisito una visibilità che non riuscivamo a spiegarci, e siccome questo è il nostro mestiere volevamo indagare una realtà che nella letteratura sociologica è praticamente assente. Perché tanta gente aderisce a un movimento di destra? Pochi hanno provato a chiederselo, a farsi qualche domanda sulle proposte, sui discorsi, sulle opportunità e sui limiti che un individuo trova in un movimento del genere».

Proposte, opportunità e limiti. Già che ci siamo vediamoci chiaro su qualche parola chiave che ha circolato in questi giorni. Quelli di Casapound sono xenofobi?
«No, anche se forse qualcuno tra i militanti lo è».

Neanche tra le righe? Voglio dire, al di là del modo più o meno diretto di presentare la questione dell'immigrazione, la sostanza è comunque xenofoba?
«Ripeto, penso che all'interno di Casapound ci possano essere persone con posizioni razziste, ma almeno altrettante che non ne hanno».

Andiamo avanti. Omofobi?
«Secondo me no. Ho letto la loro proposta sulle coppie di fatto, e ci ho trovato lo sforzo concreto di attribuire a due persone dello stesso sesso un riconoscimento formale e sostanziale».

Violenti?
«Più che altro direi che in Casapound viene coltivata una fascinazione della violenza: il gruppo, la falange, sono tutte immagini che rimandano a una violenza estetizzata. Sicuramente non sono pacifisti, ma non mi sembra che facciano della violenza uno strumento di lotta».

Fascisti?
«Sicuramente sì».

Ci siamo. E adesso come la mettiamo con la 12ª disposizione transitoria della Costituzione?
«Secondo me va messa così: la questione è riconoscersi o non riconoscersi all'interno della cornice della democrazia».

Parola difficile…
«Be', se ne possono dare due interpretazioni. Dal punto di vista formale vale la definizione di Bobbio: la democrazia è l'insieme delle regole che permettono a un collettivo di delegare a un numero più ridotto di persone la responsabilità di prendere decisioni che valgano per tutti».

Se uno si limita a questa definizione, però, può essere lecito e quindi "democratico" impedire a qualcuno di parlare, purché ci si dia democraticamente la regola di farlo.
«Questo, se vuoi, è il paradosso della democrazia dal punto di vista formale. Perché, ad esempio, se si decidesse democraticamente di non votare più e di affidare i poteri a un dittatore, allora la democrazia verrebbe a cessare per decisione democratica…».

Ma si tratta, per l'appunto di un paradosso.

«Infatti, perché a nostro parere dal punto di vista sostanziale la democrazia si sostanzia nei tre concetti di libertà, uguaglianza e solidarietà. Ed è anche su questi tre concetti che abbiamo intervistato i militanti di Casapound».

E loro ci sono o non ci sono, nella cornice dalla democrazia?

«Qui c'è il nodo, cioè quello che loro criticano del nostro punto di vista e che qualcuno a sinistra avrebbe fatto meglio a leggere, per capire meglio di cosa si tratti. Semplicemente, la visione dei diritti dei militanti di Casapound è 'federale': cioè riconoscono il diritto di essere liberi, di costruire un mondo solidale e hanno una visione dell'uguaglianza, ma non in termini universali. Questi diritti vengono riconosciuti su base statale».

Una visione dello Stato molto forte, direi.

«Decisamente. Per spiegarla un ragazzo di Torino, durante l'intervista, ha fatto l'esempio del padre e dei figli. Lo Stato è il padre, i cittadini i figli. Il compito del padre, ci ha detto, è quello di tutelare i figli. Questo non significa che se il vicino di casa ha bisogno di aiuto il padre glielo debba negare, ma solo se prima ha messo a posto i propri, di figli. Questo è un esempio chiaro della loro visione del mondo, assai lontana dalle posizioni del razzialismo biologico che ha attraversato drammaticamente il XX secolo. Nessuna delle persone che abbiamo intervistato ha posto la questione in questi termini, tant'è che alcune campagne di Casapound sono fortemente improntate alla solidarietà internazionale: penso al sostegno nei confronti dei Karen, il gruppo etnico localizzato tra la Thailandia e la Birmania, nei quali Casapound individua una battaglia per l'autodeterminazione su base identitaria».

Forte concetto di Stato, dicevamo. Non è che quelli di Casapound sono di sinistra?
«Secondo me no. Io credo che le battaglie per i diritti debbano essere universali, ed in questo mi definisco di sinistra. Loro, ammesso che le categorie di destra e sinistra abbiano ancora senso, no».

Torniamo all'attualità. Una delle affermazioni più gettonate dai fautori della chiusura è che Casapound sarebbe una fucina di odio.
«Be', se il criterio dovesse essere quello del "brodo di coltura", allora avremmo potuto ipotizzare di chiudere il 'Corriere della Sera' perché ospitava gli editoriali della Fallaci, o la Lega Nord per le gesta del prosindaco Gentilini, o il sito Pontifex perché traduce alla lettera i moniti biblici. Però nessuno lo chiede».

E perché lo si chiede per Casapound, allora?

«Perché Casapound è diventata concorrente diretta di alcune formazioni a sinistra che agiscono sul piano sociale e culturale, e che ora hanno un competitore che interviene sugli stessi livelli e quindi è percepito come pericoloso. Bada: le posizioni antiabortiste, clericali, antieuropeiste e quelle sì, violente di Forza Nuova, tanto per fare un esempio, sono molto più pericolose di quelle di Casapound; però la sinistra di cui parlo non le vede come un pericolo perché sono posizioni che considera marginali».

Un fenomeno interessante, direi.

«Tranne che per gli italiani, a quanto pare».

Cioè?
«Quello che ha colpito molto Daniele e me è che dopo la tragedia dei senegalesi uccisi nessun giornalista italiano ci ha cercato per farci due domande. Voi dell'Espresso siete i primi. Ci hanno telefonato dalla Francia, dalla Spagna, dalla Germania, e tutti hanno esordito in modo banale: abbiamo cercato su Internet e abbiamo visto il libro, ci dite cos'è Casapound?».

E perché gli italiani no?
«Perché non si sente la necessità di approfondire, di capire in che modo una realtà come quella di Casapound abbia preso piede: si dice solo che bisogna chiuderla. Forse bisognerebbe chiedersi perchè molti giovani si avvicinano a un movimento come questo. Tutti pazzi sanguinari? Non credo».

Vittimismo, si diceva. E il bello è che storicamente la marginalizzazione della destra ne ha provocate, di scintille…
«Guarda, sappiamo tutti benissimo qual è il rischio di dare spazio a quelli che vogliono chiudere chi porta avanti un pensiero diverso dal loro: nella storia degli ultimi 30 anni ce ne sono stati, di precedenti, che sono costati cari anche a sinistra. Quanta gente è andata in galera il 7 aprile 1979 senza aver fatto niente?».

Avere memoria, quindi…
«Avere memoria. E, se possibile, non ripetere due volte gli stessi errori».