
Il vero privilegio della Casta è il conflitto d'interessi istituzionalizzato che consente ai politici di metter becco dappertutto: banche, ospedali, aziende pubbliche e società parapubbliche, università, giornali, Rai, cinema, sport. Tutti i recenti scandali che hanno scoperchiato cupole e cupolette dedite alla grassazione di miliardi hanno un unico denominatore, che non è più nemmeno la classica mazzetta: è il conflitto d'interessi. L'intreccio inestricabile fra controllori e controllati. Questo è il vero banco di prova del governo tecnico, più ancora delle misure di pronto soccorso finanziario: una normativa che prevenga e punisca duramente i conflitti d'interessi. Solo un governo tecnico può credibilmente presentarla, posto che mai i politici rinuncerebbero alla loro mangiatoia. Se Tanzi potè accumulare in Parmalat una voragine di 15 miliardi è perché fu protetto da tutta la classe politica che, lo confessò lui, era finanziata da lui: destra, centro, sinistra, Prima e Seconda Repubblica.
La stessa classe politica che controllava i controllori che non controllavano: Consob, Bankitalia, Guardia di Finanza. I furbetti del quartierino, cui i giudici di Milano hanno confiscato mezzo miliardo di euro, godevano del tifo trasversale di Forza Italia, Lega e Ds, per non parlare dei politici pagati direttamente da Fiorani (Brancher, Calderoli, Grillo) e indirettamente da Gavio (Penati, secondo la Procura di Monza). La truffa da 860 milioni allo Stato contestata alla Menarini col trucco dei rimborsi di farmaci a prezzi gonfiati passava - l'ha rivelato "l'Espresso" - attraverso emendamenti che l'azienda imponeva al governo tramite politici amici (nelle intercettazioni emergono i nomi di Letta e Scajola). La Cricca della Protezione civile ingrassava grazie al pappa e ciccia fra gli imprenditori che vincevano gli appalti e i Bertolaso Boys che ne ricevevano soldi e favori, protetti a Palazzo Chigi dal solito Letta. Risultato: i lavori per il mancato G8 alla Maddalena passarono da 295 a 476 milioni; e per i 150 anni dell'Italia unita il solo Parco della musica di Firenze lievitò da 80 a 236 milioni. Il sistema Finmeccanica era tutto un conflitto d'interessi: fondi neri e tangenti all'ombra di Selex amministrata da Marina Grossi e controllata (si fa per dire) dal marito Guarguaglini, controllato (si fa per dire) dal suo grande sponsor, naturalmente Letta.
Lo stesso che aveva infiltrato nelle istituzioni un soggetto come Bisignani. Eppure Letta è continuamente elogiato come statista da Napolitano, Monti, Casini, Berlusconi e piddini sciolti, sebbene rappresenti la quintessenza dei conflitti d'interessi, a partire dalla sua natura di servitore di due padroni: lo Stato e Fininvest-Mediaset. Ora che i buoi sono scappati dalla stalla, è ingenuo pensare che basti tagliare qualche testa e rimpiazzare qualche faccia. Il rischio è che i nuovi manager facciano parte del sistema degenerato che ha prodotto quelli vecchi: il neoamministratore di Banca Intesa, Cucchiani, è un vecchio amico di Bisignani; il neopresidente dell'Antitrust, Pitruzzella, è l'avvocato di Schifani; il nuovo capo dell'Enav, Garbini, parlava al telefono di strane fatture col precedessore Pugliesi. Ogni ricambio rischia di sostituire un gattopardo a un altro, senza una legge che: punisca col carcere i conflitti d'interessi; ripristini il reato di finanziamento illecito ai partiti e ai politici sopra i 5 mila euro (e non sopra i 50, come da riforma bipartisan del 2006); proibisca ai politici di prender soldi tramite fondazioni o associazioni "culturali"; vieti gli appalti senza gara e le nomine senza curriculum; crei il delitto di traffico d'influenze illecite previsto dalla Convenzione europea anticorruzione firmata nel 1999 e mai ratificata dall'Italia; separi le carriere di controllati e controllori vietando il passaggio da una funzione all'altra se non dopo cinque anni di quarantena. Vero, ministro Passera?