La Grecia di Capossela, le confessioni di Neil Young, il Gaber di Luporini. Una scelta di titoli tra parole e note d'autore

Frank J. Barret, "Disordine armonico: leadership e jazz" (Egea). Prefazione a due voci di Paolo Fresu e Severino Salvemini.
Musicista professionista e studioso di management, Barret usa la metafora del jazz per costruire una partitura incalzante e vellutata come una suite di Duke Ellington. Accettare il disordine, coltivare l'improvvisazione, alternarsi negli "a solo", insomma imparare a pensare come un jazzista è il segreto per creare una cultura dell'innovazione e difendersi dal potere della routine. L'autore condisce le sue argomentazioni alternando esempi tratti dal mondo della musica e dal mondo imprenditoriale. In sintesi: volete diventare manager di successo? Studiate meno teoria del marketing e ascoltate di più Miles Davis.

Toni Bertorelli, "L'effetto del jazz" (Iacobelli)
Uno scantinato quasi invisibile dalla strada, al posto dei tavoli dei banchi di scuola e un palco grande abbastanza per ospitare giusto un pianoforte e una batteria. Questo era lo Swing Club di Torino, il primo leggendario jazz club italiano. Quando vi entra per la prima volta, alla fine degli anni Sessanta, il protagonista di questo diario romanzato è un pivello di sedici anni e ne rimarrà folgorato: «Perché il jazz è quella roba lì lo sapete, una malattia, una febbre da cui pochi scampano, i contrae per contaminazione...». All'epoca i rocchettari e i sessantottini non erano ancora comparsi, ma gli studenti e gli operai già agitavano le piazze. E così quei giovani attraversati dal mito della Beat Generation e del viaggio in India che gravitavano attorno a quel locale fumoso. Tutti pazzi per il bebop e soggetti alle stesse derive tossiche dei loro eroi: Miles Davis, Charlie Mingus, Thelonious Monk anche loro transitati dallo Swing Club e ritratti in questo spaccato d'epoca e che ha il gusto acido e l'ironia di un "Trainspotting" virato in jazz.

Vinicio Capossela, "Tefteri - il libro dei conti in sospeso" (Il Saggiatore)
Capossela ha percorso le strade della Grecia l'anno del tracollo finanziario. Di giorno come al solito se la dormiva, di notte rianimato dal vino se ne andava in giro ad ascoltare gli ultimi depositari del rebetiko, l'equivalente del blues, per le taverne di Atene, Salonicco, Creta. Sul suo "Tefteri", taccuino, ha catturato le visioni, le ebbrezze e le magie di questi incontri. Ne esce è il ritratto di una Grecia inedita, sofferente e fiera, la registrazione dei debiti e dei crediti che bisogna fare «per imparare il mestiere di campare».

Neil Young, "Il sogno di un Hippie" (Feltrinelli)
Tutti conoscono questo cautautore canadese ormai sulla breccia da più di quarant'anni, l'icona della musica popolare con al suo attivo trentasei album, l'autore di canzoni destinate a restare nel tempo come "The Needle and the Damnage Done" e "Old man". Pochi invece sanno della sua passione per i treni elettrici e per le auto d'epoca, dei suoi drammi familiari (il figlio Ben affetto da paralisi cerebrale), delle sue battaglie per l'ambiente, per i diritti civili e in difesa dei disabili. In quest'autobiografia scritta con sincerità e passione Young non solo ripercorre le tappe della sua carriera lunga e fortunata, dai Buffalo Springfield alle collaborazioni con Crosby Stills e Nash, ma rivela anche le sue paure segrete, le sue fragilità e i suoi sogni di hippie e di imprenditore con il pallino dell'innovazione tecnologica.

Sandro Luporini, "Vi racconto Gaber" (Mondadori)
Il pretesto è l'incontro tra Luporini e uno studente milanese in cerca di notizie per una tesi su Gaber e il Teatro Canzone. Ed ecco che a dieci anni dalla scomparsa, il suo coautore e amico di una vita alza il sipario su uno dei più straordinari sodalizi artistici
di cui si è nutrita la nostra canzone. Luporini ricorda le discussioni, le idee, i dubbi qualche volta i litigi che hanno dato origine ai loro capolavori. Ma anche aneddoti e particolari inediti di un uomo fuori dall'ordinario, ironico e curioso di tutto, «che lavorava anche quando sembrava fare altro e andava al mare con le Clark».

Leonard Cohen, "Libro della misericordia" (Minimum Fax)
«È il mio libro segreto; una sacra conversazione privata», così Cohen commentò questa raccolta uscita nel 1984 e pubblicata adesso dalla casa editrice romana come ultimo tassello della sua opera letteraria nella traduzione di Giancarlo De Cataldo e Damiano Abeni. La rivista "Books in Canada" lo definì a suo tempo «uno dei tentativi più onesti e coraggiosi di affrontare la verità ultima dell'esistenza». In realtà una raccolta non di vere e proprie poesie ma di cinquanta prose poetiche a metà tra le meditazione e la preghiera, dichiaratamente influenzate dalla tradizione bibblica e talmudica. E d'altronde in ebraico Cohen vuol dire proprio "sacerdote", come lui stesso ricordò in una bellissima canzone del 1992, "The Future": «I'm the little jew who wrote the Bible...».